29 dicembre 2011

Stanno uccidendo i greci


www.rivoltaildebito.org
In Grecia ci sono già bambini che hanno fame, e malati che non hanno medicine. A pochi mesi dall'inizio della crisi, a pochi chilometri dalle nostre coste.

Quando ho letto questa notizia pensavo fosse l'esagerazione di qualche blog catastrofista, tanto mi sembrava incredibile.

Parlando con il sito online Newsit.gr, la donna ha affermato che nelle ultime settimane "sono stati registrati circa 200 casi di neonati denutriti perche' i loro genitori non sono in grado di alimentarli come si deve", mentre gli insegnanti delle scuole intorno all'istituto da lei diretto fanno la fila per prendere un piatto di cibo per i loro alunni che non hanno da mangiare. Il ministero della Pubblica Istruzione, che in un primo momento aveva definito la denuncia come "propaganda", si e' visto costretto a riconoscere la gravita' del problema.Invece è l'ANSA. Vi riporto qualche estratto:

Come hanno detto alcuni insegnanti al quotidiano To Vima, il problema di denutrizione esiste e viene individuato piu' facilmente nelle scuole a pieno tempo: "Molti ragazzivengono in classe senza il pranzo e dicono di averlo dimenticato a casa perche' si vergognano di dire la verita'". E non mancano nemmeno i casi di pazienti che, dopo essere guariti, non vogliono lasciare l'ospedale perche' non hanno dove andare a dormire.

Stanno uccidendo i greci, e non solo con la fame. L'Unità, qualche settimana fa:

I ricoveri nelle strutture private sono crollati del 30% tra il 2009 e il 2010, mente quelli negli ospedali pubblici sono aumentati del 24%. Contemporaneamente, gli ospedali pubblici hanno subito tagli per il 40% del loro budget, molti lavoratori sono stati licenziati e quindi il personale è carente. Le code per una visita o per un ricovero sono diventate lunghissime, tanto da scoraggiare i pazienti e da alimentare il sistema delle bustarelle elargite a medici e infermieri.

Inoltre, cominciano a scarseggiare alcuni medicinali. Molte ditte farmaceutiche hanno infatti deciso di sospendere l'approvvigionamento di farmaci agli ospedali greci perché le fatture non venivano pagate da anni. Un esponente della Roche ha dichiarato sempre al Wall Street Journal che il gruppo svizzero ha interrotto la fornitura di alcuni farmaci anticancro, Novo Nordisk ha smesso di mandare insulina e Leo Pharma non spedisce più un farmaco anticoagulante e uno contro la psoriasi.

Questo blog si occupa di Grecia da tempo. Nel dicembre 2008, tre anni fa, sapevamo già che i greci sarebbero stati "i primi". E Pietro cominciò a seguire da vicino la Grecia nel gennaio 2010, due anni fa. Malgrado ciò, sono stupita dalla rapidità con cui la situazione si sta deteriorando. Non possiamo fare altro che assistere inorriditi alla tragedia che si consuma a poche ore di navigazione dalle nostre coste, con la sempre più ineluttabile consapevolezza che i prossimi saremo noi.

La solidarietà armata


di Luca Kocci ilmanifesto 24/12/2011
È toccato al ministro per la Cooperazione internazionale e l'integrazione Andrea Riccardi dare l'annuncio, al termine della riunione del consiglio dei ministri di ieri, dell'approvazione del decreto Milleproproghe - ribattezzato Poche proroghe - che contiene, fra l'altro, il rifinanziamento delle missioni militari all'estero delle Forze armate.
Niente da fare, quindi, per le organizzazioni non governative italiane impegnate nella cooperazione allo sviluppo che hanno denunciato con forza i continui tagli ai progetti internazionali di solidarietà da un lato e l'intangibilità degli stanziamenti per le armi e per le missioni militari dall'altro. Il "loro" ministro conferma tutto: nessuna riduzione, le missioni all'estero delle Forze armate continuano.
Del resto non è una novità: Riccardi, ministro ma soprattutto fondatore e principale animatore della Comunità di sant'Egidio - neolaureato honoris causa dall'Università di Friburgo anche per il suo impegno per «il dialogo interreligioso e la pace nell'era della globalizzazione» - da sempre riesce a far convivere solidarietà e armi. Finmeccanica infatti, la prima industria armiera italiana in queste settimane anche al centro di episodi di corruzione che hanno coinvolto i suoi massimi vertici, è da sempre uno dei principali sponsor del progetto Dream (Drug resource enhancement against aids and malnutrition), un programma di prevenzione e cura dell'Aids in Africa, avviato da Sant'Egidio nel 2002 e oggi attivo in Mozambico, Malawi, Tanzania, Kenya, Repubblica di Guinea, Guinea Bissau, Nigeria, Angola, Repubblica Democratica del Congo e Camerun. In Africa quindi - dove è finita la metà degli armamenti italiani esportati nel 2010 - Finmeccanica vende armi; poi, anche grazie a Sant'Egidio, si rifà il trucco finanziando progetti sanitari in quegli stessi territori e può scrivere con orgoglio sulla sua pagina web: «La solidarietà non ha confini. Non geografici, né politici, né religiosi».
Ma non c'è solo Finmeccanica fra gli sponsor ambigui del movimento fondato da Andrea Riccardi: finanziano le attività di Sant'Egidio - tutte benedette e sostenute dalla Conferenza episcopale italiane - Unicredit e Intesa San Paolo, fra le principali "banche armate", ovvero gli istituti di credito che sostengono l'export di armi italiane e i programmi internazionali di riarmo, come i 131 cacciabombardieri F-35, per cui il nostro Paese spenderà almeno 15 miliardi di euro nei prossimi 15 anni; sempre il programma Dream è sponsorizzato da Farmindustria (la federazione delle aziende farmaceutiche italiane associate a Confindustria) e dalle multinazionali farmaceutiche Glaxo, Boehringer e Merck, tutte aderenti al cartello di 39 società che, anni fa, avviarono una causa contro l'allora presidente del Sudafrica Nelson Mandela che aveva concesso alle aziende locali di produrre farmaci anti-Aids a basso costo aggirando così lo strapotere delle multinazionali che commercializzavano le medicine ad altissimo prezzo; e in passato la Fondazione per la pace di Sant'Egidio è stata finanziata dalla Nestlé, quando la multinazionale era sottoposta ad un boicottaggio internazionale per violazione del codice internazionale di commercializzazione del latte in polvere.
Armi e solidarietà. Anzi solidarietà anche con i soldi delle armi. E poi una bella marcia della pace, come quelle che la Comunità di Sant'Egidio organizzerà in tutta italia l'1 gennaio. A Roma si concluderà a piazza san Pietro, per ascoltare il papa. E Riccardi, c'è da scommettere, sarà in prima fila.

18 dicembre 2011

I semi dell'odio germogliano....


L’Italia non è un paese razzista, le sue leggi e le sue istituzioni invece lo sono.

Qualche giorno fa un gruppo di “bravi cittadini” di Torino (con la presenza della presidente della circoscrizione e segretaria del PD torinese) ha pensato bene di vendicare un inventato stupro contro una “donna italiana” andando in corteo a bruciare un campo Rom situato nel quartiere.

L’altro giorno a Firenze un neonazista italiano – ovviamente subito derubricato a “folle” – ha sparato su ragazzi senegalesi che vendevano al mercato, uccidendone due di loro e ferendone altri.Ma non c’è nulla di cui stupirsi, purtroppo. Dopo anni di razzismo istituzionale si vedono i frutti velenosi. In questo paese ci sono forze politiche di destra (dalla Lega al Pdl) che sui provvedimenti razzisti e xenofobi hanno costruito una parte importante delle loro fortune elettorali; c’è il principale partito di “opposizione” che ha inseguito la retorica della “sicurezza, del controllo, della tolleranza zero” fino ad applicare nelle diverse città (Firenze compresa) ordinanze che discriminano i migranti e impediscono la loro libertà di circolazione; e c’è una destra radicale che ha rialzato la testa e si permette le sue scorribande razziste e fasciste, spesso protetta e coccolata dallo stesso Pdl che fornisce sedi, coperture istituzionali, patrocini. Vogliamo la chiusura immediata delle sedi neofasciste – in particolare di Casa Pound, che riceve da anni sostegni diretti e indiretti dalle istituzioni e dai partiti di centrodestra.

All’odio e alle politiche razziste si deve rispondere con una forte mobilitazione dei migranti e degli antirazzisti, delle organizzazioni democratiche e antifasciste – non solo per mostrare solidarietà e vicinanza alle famiglie delle vittime e alle comunità colpite – ma soprattutto per imporre un’alternativa politica e sociale abrogando ordinanze e leggi razziste come la Bossi-Fini, per la chiusura dei Cie, per la fine dello sfruttamento del lavoro migrante, per nuove norme sulla cittadinanza e l’apertura delle frontiere europee.

Per questo saremo nelle piazze il 17 e il 18 insieme alle comunità migranti nella giornata globale dei diritti dei migranti, che assume ora un carattere di mobilitazione antirazzista e solidale.

Sinistra Critica - Organizzazione per la sinistra anticapitalista

20/12 No Veneto City

DOPO IL CLAMOROSO SUCCESSO DELLA PRIMA PUNTATA

VIENI A VIVERE CON NOI LA DIRETTA

...LO SPETTACOLO CONTINUA!

STOP VENETO CITY

MARTEDI’ 20 DICEMBRE

DALLE ORE 14.30 DAVANTI AL MUNICIPIO DI DOLO

In vista della manifestazione di martedì, CAT organizza anche:
- Domenica 18/12: dei presidi silenziosi ma luminosi in giro per il paese di Dolo; appuntamento ore 17.00 davanti al Municipio
- Lunedì 19/12: una veglia per la democrazia e contro Veneto City davanti al Municipio di Dolo a partire dalle ore 18.30

Per ragioni organizzative vi chiediamo di segnalare la vostra eventuale partecipazione a questi 3 appuntamenti, ma in particolare per la manifestazione di martedì. Fate il massimo per esserci, vi aspettiamo numerosi.

Guarda il video di martedì 13 su: http://www.youtube.com/watch?v=ai-e3rt4W-k

15 dicembre 2011

No Veneto City

Cittadini Comitati e Associazioni bloccano Veneto City.
Una contestazione non violenta ma assordante ha reso impossibile l’approvazione dell’accordo di programma per il Polo del Terziario Avanzato. Tutto rinviato alla prossima settimana.
Un grande successo ma anche una lezione democratica a degli amministratori sempre più asseragliati nel “fortino” della politica. Ora la mobilitazione continua con ancora più determinazione. I Comitati non si arrendono.
Oltre 300 cittadini, attivisti e simpatizzanti di comitati, hanno “assediato” per ore in modo pacifico e non violento quello che ormai è diventato il simbolo del “fortino” della politica, ripristinando almeno per un po’ di ore il principio costituzionale secondo il quale “la sovranità appartiene al popolo” (Art. 1 Costituzione Italiana). La manifestazione organizzata ha determinato la mancata approvazione dell’Accordo di Programma su Veneto City. Un successo fatto di grande civiltà.
Lo sgombero coatto degli attivisti presenti all’interno del Consiglio Comunale, imposto dal Sindaco di Dolo dopo 5 ore di assordante contestazione, dimostra una volta di più come la vicenda Veneto City sia diventata una questione di democrazia, e non solo una battaglia per la difesa dell’ambiente e della salute. Una manciata di Consiglieri e Assessori di due comuni, votati da meno di 8.000 persone, decidono su un progetto che avrà conseguenze pesantissime per un territorio molto più vasto e popoloso (almeno 240.000 abitanti coinvolti). Una decisione presa non tenendo in minima considerazione migliaia di osservazioni e prese di posizione contrarie di decine di Comuni, Enti autorevoli come ARPAV e USSL 13, Associazioni di Categoria (Confesercenti, ASCOM, Associazione Consumatori, Associazione artigiani), sindacati, rappresentanti della Chiesa, gruppi regionali di opposizione, esponenti politici di Lega e PDL, Sindaci (Orsoni e Zanonato), e ben 11.000 cittadini che hanno sottoscritto la petizione popolare promossa da CAT e associazioni. Insomma a favore di Veneto City sono rimasti solo i proponenti e i due Sindaci ai quali pure il Presidente Luca Zaia ha addossato ogni responsabilità.
Per di più mancano i presupposti di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità dell’opera per applicare lo strumento dell’Accordo di Programma, e nemmeno la normativa nazionale ambientale in materia di Valutazione Ambientale Strategica è stata rispettata.
CAT smentisce categoricamente le accuse di insulti e aggressioni denunciati dal Sindaco Maddalena Gottardo. Tutti gli attivisti e i simpatizzanti hanno mantenuto un atteggiamento non violento e non offensivo seppure vivace e determinato. In ogni caso, in relazione alla presunta aggressione, il Sindaco aveva la possibilità e il dovere di segnalare l’accaduto alle decine di Carabinieri presenti. CAT ringrazia tutte le organizzazioni che hanno sostenuto e partecipato alla manifestazione, ma anche le forze dell’ordine per l’atteggiamento pacato e dialogante che hanno mantenuto.
Ora la mobilitazione continua con ancora più determinazione di prima. I Comitati non si arrendono!!!

Parole di un senegalese sulla strage razzista di Firenza

14 dicembre 2011

I morti di Firenze: la solidarietà non basta



Non basta condannare l'omicidio freddo e violento di Samb Modou e di Diop Mor, i due migranti senegalesi uccisi a Firenze. Non basta sperare che Moustapha Dieng vinca la sua battaglia contro la morte e che gli altri feriti guariscano in fretta. Non basta esprimere solidarietà alle famiglie dei morti e ai feriti. La solidarietà adesso costa poco e conta ancor meno. Non siamo di fronte al gesto improvviso di un fascista folle. Siamo invece di fronte al risultato della follia sistematica che la legge Bossi/Fini quotidianamente produce e riproduce nella forma del razzismo istituzionale. Le leggi dello Stato trattano i migranti come uomini e donne che possono essere espulsi dopo anni di lavoro in Italia per la mancanza di lavoro. Uomini e donne che possono essere rinchiusi nei Cie praticamente senza alcun diritto. Molti sindaci democraticamente eletti dichiarano pubblicamente che i migranti devono essere eliminati dalle graduatorie per le case popolari. Il razzismo delle istituzioni e quello da bar, assieme a decine di altre sopraffazioni sono parte del quotidiano razzismo prodotto dalla legge Bossi-Fini. Se si tollerano discorsi che fanno degli immigrati sempre e comunque il capro espiatorio della crisi, perché stupirsi se un fascista pensa che sia anche possibile passare all'azione uccidendo due migranti senegalesi?

Di fronte al razzismo pubblico e istituzionale, così come di fronte alla violenza fascista la solidarietà non basta! Anche per Samb Modou, per Diop Mor e Moustapha Dieng è ora di farla finita con la Bossi/Fini e il razzismo, lo sfruttamento e l'odio che essa quotidianamente produce.

Per Samb Modou, per Diop Mor, per Moustapha Dieng e gli altri feriti di Firenze, per tutti coloro che sono quotidianamente colpiti dal razzismo chiamiamo perciò tutti, migranti e italiani, a un presidio sabato 17 dicembre alle ore 10.30 in Piazza Nettuno.

Comunità senegalese di Bologna

Coordinamento migranti Bologna e Provincia

Migranda

Laboratorio On the Move

Info e adesioni: coo.migra.bo.@gmail.com; 3275782056

Razza Umana

Quel che è successo ieri a Firenze non è la conseguenza di un'isolata follia, ma il prodotto dell'intolleranza promossa dal razzismo istituzionale. Come accaduto pochi giorni fa a Torino con l'incendio pianificato di un campo Rom e le violenze contro i Tamil a Palermo, l'uccisione di due senegalesi e il grave ferimento di un terzo, mostrano che l'intreccio tra razzismo delle istituzioni e razzismo da bar continua a produrre il suo orrore. Per la legge Bossi-Fini i migranti sono solo braccia da sfruttare, da riccattare o da richiudere in un CIE senza documenti. Questa, anche, è la radice del razzismo presente oggi in Italia: se è lo Stato stesso a fare dei migranti i nemici, bisogna alzare la voce contro le leggi sbagliate. Mentre si discute della finanziaria, vogliamo dire a chi pensa che siano questioni separate, che senza lottare contro il razzismo istituzionale non sarà nemmeno possibile uscire dalla crisi e dalla precarietà, che è stata costruita in questi anni anche sulla pelle dei migranti legando il permesso di soggiorno al contratto di lavoro.
Anche per questo dobbiamo reagire, tornare in piazza a fianco della comunità senegalese, dei rom e di tutte le vittime del razzismo:
- per lottare assieme a loro contro la cultura dell'odio,
- per una società multiculturale e solidale, che riconosca i diritti delle persone e la libertà di circolazione,
- per chiedere a questo governo segnali di discontinuità reali rispetto alla vergognosa politica di quello che lo ha preceduto.

Aderiamo alla manifestazione di sabato 17 dicembre a Firenze in P.zza Dalmazia alle ore 15:00 e invitiamo tutti a partecipare

Rete Comitati 1° Marzo

Laboratorio Torino


di Marco Revelli
ilmanifesto 13/12/2011
Un pogrom. Diciamola la parola, per terribile che possa apparire. Quello di Torino è stato un pogrom in senso proprio, come quelli che avvenivano nella Russia ottocentesca. O nella Germania degli anni Trenta. Di quei riti crudeli ha tutti gli elementi, a cominciare dall'uso distruttivo del fuoco, per liberare la comunità dall'intruso considerato infetto (per "purificarla", si dice). E poi l'occasione scatenante, trovata in un presunto - e falso - atto di violenza su una vittima per sua natura innocente (può essere il neonato "rubato", come qualche anno fa a Ponticelli o, appunto, la "vergine" violentata). E lo stato di folla che s'inebria della propria furia vendicatrice, convinta di compiere un "atto di giustizia".
Ora, che il mostro si sia materializzato, in questo dicembre del 2011, a Torino dovrebbe farci riflettere. Qui, nella ex "capitale operaia". Nella città delle lotte del lavoro, dove è nata la nostra democrazia industriale. Né serve ripetere la stanca litania che Torino è un esempio di "integrazione e di accoglienza". Che la maggioranza la pensa diversamente dalle poche decine di invasati che a colpi di fiaccola e di accendino ha tentato una strage. Non è così.
Se una ragazzina spaventata e (per questo) bugiarda ha evocato i "due zingari" per accreditare una violenza mai avvenuta, è perché ha pensato che quell'immagine rendesse credibile - in famiglia e nel quartiere - un racconto altrimenti improbabile. Se centinaia di persone sono scese in piazza in una fredda serata d'inverno per manifestare, non è purtroppo perché si trattava di una violenza sessuale (quante sono passate ignorate in questi anni!), ma perché i suoi presunti (e falsi) autori erano di un'etnia odiata a priori. Se le decine di incendiari hanno potuto agire sotto lo sguardo compiacente degli altri abitanti del quartiere, è perché mettevano in scena un comportamento condiviso.
La verità è che la "città dell'accoglienza" è oggi priva di anticorpi contro i nuovi mostri che emergono dalle sue viscere provate dalla crisi. Politica e informazione ne sono responsabili. Da anni ogni discussione in Consiglio comunale sui "campi nomadi" si apre e si chiude sempre e solo su un unico tema, gli sgomberi.
E il quotidiano cittadino La Stampa ha dato notizia del fatto, poco prima che la sedicenne confessasse, sotto l'indecente titolo a quattro colonne: Mette in fuga i due rom che violentano la sorella. Perché i giovani balordi delle Vallette dovrebbero essere migliori dei loro amministratori e giornalisti? Perché gli abitanti sbrindellati, spaesati e logorati dai debiti e dalla disoccupazione, di questo che era, fino a tre decenni fa, il quartiere dormitorio dov'era stokkata la forza-lavoro di Mirafiori e del Lingotto, e dove ora si accumulano i detriti di una composizione sociale in disfacimento, dovrebbero essere più consapevoli, e "politicamente corretti", delle loro élites?
Torino, da anni, si compiace della bellezza ritrovata del proprio centro, brillante e patinato. Del fascino delle proprie piazze-vetrine e delle dimore sabaude restaurate. Oggi scopriamo che quel centro geometrico e luccicante è un po' come il volto intatto ed eternamente giovane di Dorian Gray - l'inquietante personaggio di Oscar Wilde -, mentre il suo ritratto, invecchiato e sfregiato, lo si può scorgere qua, nel quartiere di periferia dove si è scaricata tutta la carica di degrado e di bruttura accumulata in questi anni: lo sfarinamento della sua industria, l'erosione dei diritti sociali, l'impoverimento e la precarizzazione del lavoro, la crisi della socialità e della solidarietà. Tra il vuoto di diritti e di potere che si è aperto a Mirafiori, e questo pieno di rancore e di passioni funeste che si è condensato nel suo antico dormitorio, corre il filo nero di un'infausta profezia.
Auguriamoci che Torino non sia, ancora una volta, "laboratorio". Che non anticipi i segni di un'involuzione antropologica mortale. Il lungo piano inclinato della crisi, via via più ripido, lascia intravvedere inediti scenari weimariani, minacce fino a ieri impensabili. Il conflitto sociale, rimosso ed esorcizzato al vertice, rischia di ricomparire al fondo della piramide sociale, con il volto sfregiato della "folla criminale", del linciaggio e della ricerca feroce del capro espiatorio. Se la caduta dovesse accelerare, e la situazione precipitare, allora, con molta probabilità, il pogrom di Torino non resterebbe un fatto isolato.

13 dicembre 2011

Cremaschi: “Sciopero: azione simbolica. Bene solo quando Cgil e Fiom hanno fatto da sole”

Lo sciopero di 3 ore complessivamente non è andato bene e non poteva che essere così. E’ stato organizzato nella totale confusione, come uno sciopero pressoché simbolico. (...)
E’ stato preceduto da un ridicolo incontro con il governo ove Cgil, Cisl e Uil hanno solo mostrato debolezza e impotenza di fronte a un esecutivo che prendeva il sindacato (sobriamente) a pesci in faccia.
Gli unici successi sono quelli degli scioperi e delle manifestazioni della sola Fiom e della sola Cgil, che si sono tenuti a Brescia, in Emilia, in parte a Torino e in altre sedi. I presidi unitari, dove sono stati organizzati, sono stati veri e propri piccoli presidi.
Si conferma che mentre contro i lavoratori viene sferrato un attacco senza precedenti, la debolezza e la confusione con cui si muovono Cgil, Cisl e Uil, non solo non rappresentano una risposta ma anzi sono, in alcuni casi persino controproducenti, perché rafforzano le intenzioni di chi, nel padronato, nel governo e nelle banche, vuole andare fino in fondo con il rigore.
Il vecchio modello di azione sindacale è morto, in Italia e in Europa. O si fa sul serio o non si conta nulla.
Per questo gli unici punti di tenuta della giornata odierna sono stati quegli scioperi e quelle manifestazioni che erano contro Monti, contro Marchionne e senza Cisl e Uil che oggi non hanno alcuna credibilità nel lottare contro una politica economica e contro un attacco ai diritti che finora hanno accettato.
Così non va, l’abbiamo detto e lo ribadiamo, occorre costruire un’opposizione vera a Monti, Marchionne e alla Bce, ed è per questo che ci troviamo il 17 a Roma.

La svolta della Fiat


di Salvatore Cannavò
da ilfattoquotidiano.it

Per Sergio Marchionne l’accordo del gruppo Fiat rappresenta “una svolta storica”. Su questo punto ha ragione perché l’intesa conclude quel percorso avviato con il piano Fabbrica Italia e passato attraverso le “battaglie” di Pomigliano, prima e di Mirafiori, poi. Marchionne ottiene l’obiettivo che si era dato quando impose l’accordo separato di Pomigliano e il relativo referendum: avere un contratto speciale, valido solo per i propri stabilimenti, privo delle strettoie che impongono le regole di concertazione a cui è ancora sottoposta la Confindustria dalla quale, non a caso, la Fiat è uscita. Nelle aziende della famiglia Agnelli, il sindacato ha ormai come controparte un industria che ha sedi in tutto il mondo che, come dice il presidente John Elkann, conserva il suo cuore in Italia ma che sempre più ha spostato il cervello negli Stati Uniti. L’intesa siglata, con la collaborazione decisiva dei sindacati, è cucita addosso alle caratteristiche globali dell’azienda Fiat ma soprattutto alla sua politica di sviluppo ed espansione che poggia non tanto sulla capacità di innovazione dei prodotti quanto sulla maggiore flessibilità del lavoro. Nel gruppo Fiat, da gennaio 2012, saranno ridotte le pause, gli straordinari saranno portati da 40 a 120 ore annue, i turni a 18 su sei giorni ma soprattutto saranno introdotte limitazioni per le assenze malattia e sanzioni per chi viola l’accordo stesso. Difficile capire quanto tutto questo possa aiutare a vendere più auto. Il progetto Fabbrica Italia, del resto, è stato messo nel cassetto dopo che la Consob si è azzardata a chiedere maggiori chiarimenti e le prospettive industriali dell’azienda restano nere. Marchionne ha puntato alla produzione di 6 milioni di autovetture nel 2014 ma al momento il gruppo Fiat-Chrysler è fermo a 4 milioni e la recessione deve ancora venire. Nuovi modelli non se ne vedono e gli stabilimenti sono falcidiati dalla cassa integrazione.

Marchionne ottiene, per il momento, soprattutto un risultato politico, l’estromissione della Fiom dalle sue fabbriche. Con il nuovo contratto, che il sindacato di Landini non ha firmato, la Fiom non avrà infatti diritto alle prerogative sindacali stabilite dallo Statuto dei lavoratori: delegati, distacchi, permessi, assemblee, spazio nelle bacheche aziendali e nemmeno la trattenuta sindacale in busta paga. Il sindacato più rappresentativo del gruppo viene di fatto cancellato da un giorno all’altro. Logico, quindi, che Maurizio Landini perli di lesione democratica oltre che di peggioramento delle condizioni dei lavoratori.
La “questione democratica” in effetti si pone in forma evidente. Come è possibile che a Somigliano, Mirafiori e Grugliasco si siano svolti dei referendum e invece gli oltre 80 mila lavoratori del gruppo non possa esprimersi sul contratto? Perché privarli di un voto di ratifica?

L’accordo apre poi un’altra partita nel campo delle relazioni sindacali. Per evitare di essere esclusa dagli stabilimenti Fiat, la Fiom chiede al governo una riforma dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori che regola la rappresentanza sindacale. Secondo tale norma, hanno accesso alla rappresentanza solo i sindacati che siglano gli accordi aziendali nonostante la loro rappresentatività. La Fiom chiede di ripristinare questo aspetto ma la sua richiesta ha già prodotto una ferma reazione della Fiat che non accetterebbe mai una tale riforma. Solo che, allo stesso tempo, il governo vuole rivedere l’intero pacchetto del mercato del lavoro con riforme dell’articolo 18 dello Statuto, una maggiore flessibilità in uscita con la probabile introduzione di un contratto unico di inserimento, un reddito garantito con la riforma degli ammortizzatori sociali. Tutto questo si tiene e la modifica dell’articolo 19 si inserirebbe in questo contesto. La Confindustria sarebbe d'accordo e non è detto che la Cgil e la stessa Fiom non siano disponibili a una discussione complessiva. Da qualsiasi punto lo si guardi, il contratto Fiat apre una nuova stagione di relazioni sindacali e sarà propedeutico a modifiche strutturali del mercato del lavoro

12 dicembre 2011

Consigli ai compagni del PD

di Alessandro Robecchi
ilmanifesto 11/12/2011
Consigli ai compagni del Pd per fare bella figura in società. Ricordare che il governo Monti non è un governo di sinistra. Giusto. Quindi sostenere la decisione di votarlo per responsabilità e senso dello Stato. Deplorare gli estremisti che si lamentano, ricordando quello che c'era prima. Contemporaneamente, recarsi alla manifestazione della Cgil che contesta le misure del governo Monti. Informarsi con garbo se sia meglio votare la manovra con la mano destra e tenere il cartello Giù-le-mani-dalle-pensioni con la sinistra. Per i mancini, invertire. Ricordare con veemenza che è grazie alle pressioni del Pd che si salvano le pensioni più basse dall'inflazione. Deplorare con un rapido inciso che grazie all'inflazione aumentata (benzina, Iva, ecc.) le pensioni decenti saranno indecenti. Sostenere gli sforzi del governo Monti che ci dà più credibilità in Europa. Incrociare le dita nella speranza che prima di finire la frase l'Europa ci sia ancora. Sollevare con veemenza la questione dell'Ici della Chiesa cattolica. Minimizzare con eleganza e tatto la questione dell'Ici della Chiesa cattolica. Dispiacersi dell'assenza, nella manovra, della patrimoniale. Aggiungere pudicamente: «Però per le grosse fortune». Dolersi per i sacrifici del ceto medio. Consolarsi ricordando che però la prima alla Scala si è svolta in un clima di elegante sobrietà. Se qualcuno nomina il ministro Fornero, ribattere ricordando il ministro Gelmini e far notare l'indiscutibile evoluzione della specie. Approvare l'Ici sulla prima casa. Disapprovare l'Ici sulla prima casa. Ricordare la sacrosanta tassa su yacht ed elicotteri, vanto del comunismo nel mondo. Deplorare l'insufficiente azione sui capitali scudati. Rivendicare la tassazione sui capitali scudati che sarà bassa, ma è meglio di niente. Dolersi del fatto che i capitali scudati non si trovano più ed è difficile tassarli. Indignarsi per quest'ultima triste realtà e sbottare: «Ci vorrebbe un governo veramente liberale!». Oh, cazzo, questa vi è scappata. Ricominciare da capo.

07 dicembre 2011

Dal caimano ai coccodrilli


Nota dell'Esecutivo Nazionale di Sinistra Critica

L’annunciata manovra “salva Italia”è arrivata e rappresenta una violenta stangata antipopolare che ha lavoratrici e lavoratori e pensionate/i come bersaglio principale.

Una manovra all’insegna del “rigore” e dell'attacco ai più deboli, nella quale l’ipocrita retorica dell'equità si è tradotta in una gigantesca truffa ai danni di lavoratori, lavoratrici e pensionate/i – senza alcun vantaggio per le giovani generazioni, che saranno ancor più allontanate dal mondo del lavoro o utilizzate come concorrenza con la prossima creazione di una contrattazione duale.

Così il governo “tecnico” presenta la manovra più politica che si ricordi – con l’obiettivo di dare un preciso segnale ai "mercati": questo paese punta a spremere tutto quello che è spremibile dai soggetti più deboli e non toccherà in nessun modo le rendite, i profitti, gli interessi che quei mercati presidiano e difendono.

I provvedimenti racchiusi nella manovra vanno tutti in questa stessa direzione: aumento dell’età per andare in pensione e peggioramento degli assegni pensionistici; riproposizione dell’Ici e aumento delle rendite catastali; taglio delle imposte sulle imprese; liberalizzazione di interi settori dei servizi (quindi nuovo attacco all'acqua pubblica ma anche ai trasporti locali); rilancio delle grandi opere come la Tav.

In questo modo il governo mette in luce la sua natura politica, che ha il volto delle banche e della finanza che hanno festeggiato il suo insediamento.

L’appoggio unanime di centrodestra e centrosinistra (a parte l’ipocrita “opposizione” della Lega Nord che cerca di approfittare di questa “intesa nazionale” per rifarsi il trucco...) rende ancora più pericolosa l’operazione politica di Monti-Napolitano, perché cerca di affermare l’esigenza dell’“unità nazionale” di fronte alla crisi e del carattere “necessario e indifferibile” dei sacrifici.

La scelta del PD di schierarsi in prima fila in questa operazione è altrettanto significativa della natura di questo “partito naturale di governo”, avversario degli interessi delle classi più deboli e di una qualsiasi alternativa politica di sinistra.

Le prevedibili (e previste) scelte del governo Monti-Napolitano richiedono un impegno forte di tutta l’opposizione politica e sociale per rilanciare un’iniziativa unitaria e di massa contro il governo e contro le politiche di austerità. Unità dal basso, senza scorciatoie politiciste, ma capace di coinvolgere milioni di lavoratrici e lavoratori, pensionate/i, giovani precari/e e studenti – quelle donne e uomini che avevano riempito le strade di Roma il 15 ottobre - vittime sacrificali dei coccodrilli di governo.

Unità dell’opposizione politica e sociale capace di affermare il rifiuto delle politiche di austerità e delle nuove liberalizzazioni, per ribadire la scelta del non pagamento del debito illegittimo e del recupero delle risorse necessarie ad un nuovo welfare e alla difesa degli interessi delle classi deboli (in particolare per garantire diritti e reddito a tutte/i) con il taglio delle spese militari, la cancellazione delle grandi opere inutili e dannose, il recupero dell’immensa evasione fiscale....

Unità dell’opposizione che può e deve partire da un vero sciopero generale e generalizzato capace di dare una risposta ferma e forte alla manovra del governo e alla sua stessa natura politica.

Sinistra Critica è impegnata nella costruzione di questa larga opposizione sociale e politica:

* saremo in tutte le piazze degli scioperi contro la manovra – il 12 dicembre e soprattutto il 16 con la Fiom e lavoratrici e lavoratori della Fiat (dove si sperimentano le nuove forme di sfruttamento e cancellazione dei diritti dei lavoratori).
Serve uno sciopero generale vero ed efficace e un'unità sindacale (a partire da quella dei sindacati di base) basato sulla difesa di diritti fondamentali non più negoziabili sull'altare della concertazione;
* il 17 dicembre a Roma nell’assemblea del “Comitato No debito” che vogliamo diventi un appuntamento aperto e unitario organizzato da tutto il fronte di opposizione politica e sociale – anche per organizzare insieme a tutte le forze che si oppongono al governo Monti, una grande manifestazione nazionale;
* nella partecipazione alla campagna “Rivolta il debito” e per una Audit pubblico sul debito illegittimo – con iniziative nelle diverse città italiane nella settimana tra il 10 e il 17 dicembre.

05 dicembre 2011

Lacrime di coccodrillo


di Salvatore Cannavò ilmegafonoquotidiano.it

Mario Monti ha presentato le sue carte e ha buttato sul tavolo una manovra economica all'altezza delle aspettative. Quelle del rigore e dell'attacco ai più deboli. Come avevamo già capito la retorica dell'equità si è tradotta in una gigantesca truffa ai danni di lavoratori, lavoratrici e pensionati. Un indebito prelievo nelle tasche di chi ha già pagato, di chi ha poco da dare e di chi è la vera vittima designata di tutta l'operazione politica che porta alla nascita del governo Monti. Sì, perché la nascita del governo "tecnico" presenta la manovra più politica che si ricordi. L'attacco verso i lavoratori è spietato e chirurgico e prescinde dall'entità dell'intervento finanziario. Se davvero l'Italia è a rischio "default", chi può pensare o credere che bastino 20 miliardi di misure aggiuntive per rimediare un debito pubblico che è di 1900 miliardi? E perché accanirsi sulle pensioni che, essendo il bilancio dell'Inps in pareggio, non pesano sui saldi complessivi?
Il punto è che si è voluto dare un preciso segnale ai "mercati": questo paese punta a spremere tutto quello che è spremibile dai soggetti più deboli e non toccherà in nessun modo le rendite, i profitti, gli interessi che quei mercati presidiano e difendono. Non si spiega altrimenti il super-scalone Fornero, quell'aumento secco di cinque anni contributivi per ottenere la pensione di anzianità - oggi, con la quota 97 che scatta nel 2012, basterebbero 37 anni di contributi e 60 anni di età per ritirarsi anticipatamente dal lavoro mentre dal prossimo anno serviranno 42 anni agli uomini e 41 alle donne. Le lacrime della ministra, in genere abituata a cimentarsi con i numeri e non con le persone in carne e ossa, suonano come una beffa che su aggiunge al danno e ricordano da vicino le lacrime di coccodrillo.
Nella stessa direzione antipopolare si muove l'operazione super-recessiva di aumento dell'Iva e di blocco degli adeguamenti inflazionistici per le pensioni, con una riduzione secca dei consumi che sarà tangibile già dal prossimo Natale. Alla fine, dietro la pressione di sindacati e Pd, il blocco non riguarderà le pensioni fino a 960 euro ma comunque il segnale viene dato e, anche in questo caso, la spietatezza si palesa in quel misero 1,5 per cento a cui vengono sottoposti nuovamente i capitali scudati sotto il governo Berlusconi al 5 per cento. Si tratta dei capitali fatti rientrare dall'estero e che sarebbero dovuti essere tassati per lo meno al 12,5 o 20 per cento - almeno come le rendite finanziarie se non all'aliquota fiscale di riferimento - e invece vengono ancora "graziati". Mentre le pensioni pagheranno.
Ancora, la stessa rotta è seguita dall'aumento indiscriminato dell'Ici-Imu e dall'assenza di una sia pur timida patrimoniale - sembra che in Italia non si possa fare, dice Monti, perché non c'è contezza dei patrimoni…ma va? - sostituita da un po' di tassazione alle barche e alle auto di lusso. Anche la tracciabilità dei pagamenti con riduzione della quota contante a 1000 euro è ridicola. Di "lotta all'evasione fiscale" non si parla nemmeno se non con misure lievi e impercettbili.
E invece i messaggi sono espliciti per le imprese tanto che Corrado Passera, in conferenza stampa, chiama la ministra "Elsa" Fornero, "Emma". Un lapsus rivelatore del partner con cui è stata scritta la manovra. E così il governo defiscalizza l'Irap, offre incentivi alla ricapitalizzazione delle imprese, liberalizza interi settori dei servizi, quindi nuovo attacco all'acqua pubblica ma anche ai trasporti locali - tanto che viene istituita un'Authority - rilancia le grandi opere come la Tav.
Il governo dà un messaggio esplicito del suo progetto e della sua natura: il salvataggio dell'euro significa un'austerità che tutti gli economisti minimamente onesti giudicano un errore clamoroso, un passaggio che peggiorerà la situazione. E la natura del governo, come abbiamo già avuto modo di dire, ha il volto delle banche e della finanza che hanno festeggiato il suo insediamento.
Difficile vedere le differenze con i governi Berlusconi se non in peggio. Perché, in un modo o nell'altro, il precedente governo si è trattenuto nell'affondare i colpi sui ceti più deboli - il blocco della perequazione automatica delle pensioni è micidiale - ma soprattutto perché questo governo si è presentato come "salvatore della Patria" e ha ricevuto benedizioni a destra e sinistra. La stessa Cgil, che ora schiuma rabbia, ha disdetto la manifestazione nazionale prevista per il 3 dicembre, alla vigilia della manovra, che, se fosse stata mantenuta, avrebbe garantito ben altra dialettica. E' l'effetto dell'errore "storico" del Pd, quello di non aver voluto scegliere la strada delle elezioni e dell'operazione Napolitano, il caro e amato presidente della Repubblica le cui manovre vengono fatte pagare ai ceti meno abbienti. Uno scandalo evidente che grida indignazione e mobilitazione.
A sinistra, nel mondo dell'opposizione sociale e politica al governo Monti, è di nuovo gettonata la parola "unità" e la costruzione di un percorso comune, sociale e politico. Ne ha parlato il congresso di Rifondazione comunista, se ne discute nel sindacato, in altri settori, nei movimenti. Sarebbe il caso che si realizzasse un incontro immediato delle forze che non vogliono stare in silenzio e che non vogliono lasciare intentato uno scatto e una possibilità di reazione. Il 16 dicembre, ad esempio, scelto dalla Fiom per il suo sciopero contro la Fiat, potrebbe offrire un'ottima occasione per battere un colpo. Se non chiama lo sciopero generale una manovra come questa, cos'altro giustifica la mobilitazione totale?
Se non altro per mettere agli atti che in questo paese non viene dalla Lega l'unica opposizione.

Le pensioni e la Cgil

di Antonio Moscato

da http://antoniomoscato.altervista.org/index.php
I quaranta anni non si toccano… ripete la Camusso. “Quaranta è un numero magico e intoccabile”. In realtà per molti è semplicemente irraggiungibile. Tra tutti i miei laureati con cui sono rimasto in contatto, molti dei quali già quarantenni o oltre, solo una minima parte ha potuto cominciare a lavorare subito dopo la laurea con regolari contributi.
Quando mai arriveranno a 40 o 41 anni di contributi? Discutere solo su questo è ridicolo: si deve dire che non c’è nessun bisogno di toccare le pensioni perché al contrario l’INPS finanzia lo Stato da anni, con un costo complessivo a carico dei contributi previdenziali pari a 142 miliardi tra il 1998 e il 2009 (vedi tabella in fondo). Ma al contrario, da Vendola a Fassina, anche la cosiddetta sinistra accetta la impostazione della ministra Elsa Fornero. Non parliamo neppure di Bersani, che apprezza “nel merito e nei toni” l’intervento della ministra. Ma non c’è solo il continuo spostamento in là dell’età necessaria per ottenere la pensione, c’è l’introduzione del sistema contributivo per tutti, che è un atto gravissimo che cancella l’impostazione generale del sistema pensionistico ottenuta nel 1969 grazie a una svolta radicale della CGIL, ma anche per merito del coraggio e la coerenza del ministro Giacomo Brodolini, che forzò la mano al governo su questo come sullo Statuto dei diritti dei lavoratori.
La svolta della CGIL era avvenuta dopo un ennesimo cedimento: uno sciopero generale fissato dalle tre confederazioni per il 15 dicembre 1967 era stato revocato in seguito a generiche promesse del governo Moro, e una raffica di proteste da parte di militanti e strutture locali e di categoria aveva scosso la CGIL, che aveva accettato la revoca. Pochi mesi dopo, il 27 febbraio 1968, CGIL, CISL e UIL avevano concordato col governo Moro una proposta di riforma che prevedeva che i futuri pensionati ottenessero un trattamento pari al 65% dell’ultimo stipendio, ma spostava a 60 anni l’età della pensione per le donne, ed escludeva il cumulo tra la pensione e qualche lavoretto per integrarla. Le tre confederazioni si erano impegnate a consultare i rispettivi massimi organismi nazionali, ma sembrava una pura formalità; invece la CGIL, tempestata di telegrammi di protesta, nella nottata ritirava il suo assenso con una dichiarazione di Luciano Lama. L’avvicinamento tra le tre confederazioni saltava, e la direzione della CGIL era costretta dalle strutture di base a proclamare da sola uno sciopero generale per il 7 marzo. Nonostante l’esecrazione di CISL e UIL, che gridarono al tradimento e insinuarono che ci fossero strumentalizzazioni politiche preelettorali, lo sciopero riuscì benissimo. E segnò una svolta: tutti sindacati capirono che c’era una crisi di rappresentanza, che costringeva a mutare linea. Effettivamente l’irrigidimento della CGIL era il riflesso di un mutamento profondo del paese, che le altre confederazioni avevano tardato a percepire, e che ebbe anche una ricaduta elettorale. Alle elezioni politiche del 18 giugno 1968 il PCI passò dal 25,3% al 26,9%, e il PSIUP che lo fiancheggiava ma al tempo stesso lo incalzava e lo criticava da sinistra arrivò al 4,4%; l’unificazione socialista invece non fu premiata dal voto, e PSI e PSDI uniti persero quasi un quarto dei voti che avevano avuto presentandosi separatamente, mentre la DC restava statica. Nel paese intanto continuavano a svilupparsi lotte aziendali, spesso avanzatissime nelle rivendicazioni e nelle forme di lotta. Ne ho parlato a lungo nella parte finale del saggio La rinascita del sindacalismo nel secondo dopoguerra.
Furono soprattutto queste, che violavano la tregua di fatto sancita dal rinnovo contrattuale del 1966, ad imporre alle confederazioni un’attenzione maggiore alle richieste della base, e al governo di riprendere in mano la riforma pensionistica e anche il progetto dello Statuto dei lavoratori. Ma ci vollero altri due riuscitissimi scioperi generali, questa volta unitari, il 14 novembre 1968 e il 5 febbraio 1969, perché il governo, presieduto ora da Mariano Rumor, approvasse il 15 febbraio una riforma che portava al 74% il rapporto tra pensione e ultimo stipendio, da elevare all’80% entro il 1975. Era previsto anche un meccanismo di “scala mobile”, cioè di parziale adeguamento automatico all’inflazione; una pensione sociale per i vecchi senza contributi sufficienti, mentre veniva ripristinata la “pensione di anzianità” per chi pur non avendo raggiunti i 60 anni aveva 35 anni di contributi versati. Veniva anche ripristinata la possibilità di cumulo della pensione con i salari di chi aveva continuato a lavorare. Quanto alla proposta di posticipare per le donne l’età della pensione da 55 a 60 anni, era già stata ritirata dal governo dopo il successo del primo sciopero della sola CGIL…
Ho già accennato che, come per lo Statuto dei lavoratori, in discussione da tempo e a lungo osteggiato dai settori più miopi della società e della politica italiana, il ruolo di Giacomo Brodolini fu decisivo per forzare la mano al resto del governo. Brodolini era gravemente malato e sapeva di non aver molto tempo da vivere (morì in una clinica di Zurigo l’11 luglio 1969). Così impegnò i sei mesi che gli restavano per una tenace battaglia per far approvare dal governo Rumor la riforma pensionistica e poi lo Statuto, spiazzando gli elementi più conservatori. Coerente con la sua origine di socialista radicale proveniente dal partito d’azione, non esitò in quei mesi a compiere gesti inediti, come la partecipazione alla veglia di capodanno in via Veneto dei lavoratori dell’Apollon occupata, o il viaggio ad Avola per portare la sua solidarietà ai braccianti dopo l’uccisione di due di loro da parte della polizia. Di fronte alle resistenze nel governo, accettò che per finanziare la riforma pensionistica si aumentasse il prezzo della benzina: “Se il ricorso al fisco fosse necessario per far fronte al dovere di meglio assistere i pensionati, non mi scandalizzerei”, scrisse in un articolo. Naturalmente “mi preoccuperei che non fossero colpiti i consumi maggiormente popolari. Non si deve infatti togliere con la destra parte di quanto si dà con la sinistra”. Peccato che nessuno oggi nel PD pensi a utilizzare questi argomenti semplici e convincenti…
Nella relazione sulla riforma presentata alla Camera il 19 febbraio 1969 Brodolini, dopo aver sottolineato che il “considerevole apporto della collettività nazionale agli oneri connessi alla riforma pensionistica (8.000 miliardi di lire nel periodo 1969-1975)” è prima di tutto “una grande opera di giustizia” e un contributo a una “più equa ridistribuzione del reddito”, aggiunse che avrebbe avuto anche ripercussioni positive sullo sviluppo dell’economia. Infatti, proseguiva Brodolini, “è da ritenere che il provvedimento, apportando un miglioramento delle prestazioni nei confronti di oltre 8 milioni di pensionati, sia destinato ad avere riflessi tonificanti sul mercato attraverso l’incremento della domanda di beni e servizi e, quindi, a ripercuotersi positivamente sull’economia nazionale”. Aveva ragione: quella spesa non mandò in rovina la società italiana, ma assicurò invece parecchi anni di sviluppo impetuoso dell’economia.
Ho ricordato il ruolo del socialista Brodolini e riportate le sue parole, per sottolineare quanto grande sia stata negli ultimi trent’anni l’involuzione di quel che resta della sinistra parlamentare, che quegli argomenti ha totalmente dimenticato. Ma Brodolini era stato solo un interprete onesto e coerente di una trasformazione che stava investendo i sindacati e che portò, pochi mesi dopo la sua morte, alla grande stagione di lotte dell’Autunno caldo… Ed è questo che volevo sottolineare. Il sistema pensionistico italiano diventò allora, grazie alla lotta, unitaria se possibile, ma anche della sola CGIL, uno dei migliori in Europa, senza mandare in rovina il paese: bisogna ricordare come è stato conquistato, e perché appena sparita la sinistra è diventato il bersaglio principale di tutte le sedicenti “riforme”, che riforme non sono affatto, nonostante le pensioni dei lavoratori non avessero nulla a che vedere con le cause della crisi strutturale del sistema capitalistico europeo.
Il “contributivo per tutti” è semplicemente una truffa, che serve esclusivamente a fare cassa colpendo un settore più debole e approfittando del ruolo scandalosamente complice (al di là delle fievoli proteste) di due confederazioni e mezzo (la CGIL è evidentemente divisa). È una truffa perché l’INPS non è affatto in crisi, e al contrario ha finanziato negli ultimi anni lo Stato italiano (nell’ultimo anno per il quale si hanno questi dati, il 2009, il saldo è stato di 27,6 miliardi di euro, pari all’1,8% del Pil). Il sistema retributivo funzionava bene finché aumentava l’occupazione, e rastrellava anche i contributi dei lavoratori stranieri e italiani che non arrivavano a poter avere una pensione. Inoltre i contributi di lavoratori e aziende venivano fatti fruttare in vario modo. L’attacco cominciò con lo scopo di rendere insicuri i lavoratori sulla pensione futura costringendoli a investire il loro TFR in pensioni private (che in realtà non davano nessuna sicurezza e che per fortuna solo una minoranza ha sottoscritto, nonostante le pressioni bipartisan e le complicità confederali). Il contributivo “pro rata” (termine misterioso, quasi mai spiegato, e che dovrebbe corrispondere a un pro rata temporis) proposto da Berlusconi nel 1994 e poi, dopo la sua caduta, realizzato sia pure parzialmente dal suo ministro dell’economia col consenso della “sinistra”, equivale a passare dalla funzione di banca a quella di salvadanaio. Infatti, se col retributivo i lavoratori al termine di una lunga e faticosa vita lavorativa iniziata in tempi bui con pochi e miseri contributi potevano avere una percentuale elevata dell’ultimo stipendio senza mandare in rovina l’INPS, ora col contributivo avranno diritto solo a quanto hanno versato, suddiviso per gli anni di presumibile “godimento” calcolati in base alla speranza di vita. Che spesso, per chi ha lavorato quarant’anni in una miniera o in una fabbrica chimica o al siderurgico di Taranto, è assai minore della media… Non è vero quanto ci si ripete ogni giorno: “noi italiani siamo vissuti al di sopra delle nostre possibilità”.
È una bufala: l’Italia è esattamente allineata alla Germania e alla Francia, così come era stato riportato il 24 ottobre 2011 dal Corriere della Sera: l’età media effettiva di pensionamento in Italia è di 61,5 per gli uomini, 60 per le donne; in Germania di 61,6 e 59,9; in Francia per uomini e donne di 58,8 e 58,8; in Spagna di 62,6 e 59,5. Ma da anni i superburocrati inutili e strapagati dell’Unione Europea, e la troika Merkel-Sarkozy-BCE ci ripetono: “l’Europa chiede all’Italia tagli alle pensioni…” Se l’ Eurostat sostiene che l’attuale spesa pensionistica incide in misura anomala sul Pil, è perché fa confronti statisticamente disomogenei. Infatti il dato italiano è sovradimensionato dall’indebita inclusione dei trattamenti di fine rapporto TFR (pari a circa un punto e mezzo di Pil) e dalla valutazione delle prestazioni al lordo delle ritenute previdenziali (in Germania i soldi che escono dagli enti pensionistici sono esattamente quelli che entrano nelle tasche dei pensionati e la spesa pensionistica viene contabilizzata al netto di ciò che viene pagato; in Italia invece viene registrato come spesa pensionistica il lordo erogato, inclusa la ritenuta d'acconto). Questi due elementi di disomogeneità, se tolti dal computo, riducono l’incidenza sul Pil della nostra spesa pensionistica al di sotto o in linea con quelle francesi e tedesche. Il Tfr infatti non è una prestazione pensionistica, e neppure i prepensionamenti a seguito di crisi aziendali, che solo in Italia diventano spesa pensionistica, mentre in altri Paesi sono considerati interventi di politica industriale non contabilizzabili nella spesa pensionistica. Casomai un problema reale è che la gestione Inps delle pensioni dei lavoratori dipendenti, è in attivo di 10 miliardi e non ha bisogno di aggiustamenti, mentre quelle di autonomi e dirigenti è in perdita. Anche quando paga un po’ meno di quel che si accaparrano i Guarguaglini e soci quando devono andarsene.
Riporto qui una tabella ricavata da un dossier curato come sempre accuratamente da Sergio Casanova, che ringrazio.
IL VERO BILANCIO DELL'INPS
1. SPESA PER LE PRESTAZIONI PREVIDENZIALI Risulta dalla:
• spesa per le pensioni di Invalidità, Vecchiaia, Superstiti (IVS) cui vanno sottratte:
• la quota, di quella spesa, sostenuta dall'INPS per prestazioni assistenziali, che dovrebbero essere a carico dello Stato
• le trattenute IRPEF sulle pensioni, che, per lo Stato, non costituiscono certo una spesa (visto che sono versate direttamente dall'INPS al Fisco!).
Tanto che, ad esempio, in Germania la spesa previdenziale è calcolata sulle pensioni al netto dell'imposta personale sul reddito.
2. ENTRATE CONTRIBUTIVE L'insieme dei contributi versati dalle lavoratrici e dai lavoratori. Deve essere chiaro che anche la quota dei contributi versati dal “datore” di lavoro fa parte del reddito dei lavoratori, tanto che persino le statistiche ISTAT comprendono nel Reddito da lavoro dipendente la totalità dei contributi.
DAL 1998 LA DIFFERENZA TRA ENTRATE CONTRIBUTIVE E SPESA PREVIDENZIALE È SEMPRE RISULTATA ATTIVA. Ecco i dati ( in milioni di euro) tratti dalla Tabella 4.1 a pag. 335 del “Rapporto sullo stato sociale 2011” (a cura di F.R. Pizzuti, maggio 2011, Gruppo editoriale Esselibri -Simone ).
• 1998.....+ 1.810
• 1999.....+ 2.105
• 2000.....+ 4.540
• 2001.....+ 9.811
• 2002.....+ 7.463
• 2003.....+ 5.845
• 2004.....+ 7.514
• 2005.....+ 7.283
• 2006.....+11.306
•2007.....+13.279
• 2008.....+33.133
• 2009.....+27.597
SI TRATTA DI 141.955 mln., RIVALUTANDO I DATI ANNUALI AL 2010.
È L'INPS A FINANZIARE LO STATO, non viceversa, come predicano i grandi falsari di governo, Confindustria, sindacati confederali e dei grandi mezzi di disinformazione di massa. Quindi lo Stato, negli anni tra il 1998 e il 2009, ha utilizzato 142 miliardi di contributi versati dai/lle lavoratori/trici, mettendo in atto una colossale manovra finanziaria continuata e occulta ai loro danni.

Islanda prima in Europa a riconoscere la Palestina come Stato


Roma,02 dicembre 2011, Nena News – “L’Islanda è il primo paese europeo a compiere questo passo” ha annunciato il ministro degli esteri islandese Ossur Skaphedinsonn dopo che il parlamento ha passato una mozione con 38 voti a favore su 63 per il riconoscimento della Palestina “come stato sovrano ed indipendente” coi confini del 1967.
Questa misura, che riconosce l’OLP come la rappresentante legittima dello stato palestinese, è stata approvata il 29 novembre, nel giorno in cui nel mondo si celebra la giornata di Solidarietà con il Popolo Palestinese.
Riyad Mansour, osservatore palestinese presso le Nazioni Unite, ha letto davanti alla sede centrale dell’ONU un messaggio del presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen), il quale ribadiva che la decisione di rivolgersi alle Nazioni Unite è un diritto legittimo del popolo palestinese. “Ora ho l’autorità per dichiarare il nostro riconoscimento della Palestina” ha continuato Ossur.
La risoluzione, proposta dal ministro degli esteri islandese, afferma che “il parlamento esorta israeliani e palestinesi a cercare un accordo di pace sulla base del diritto internazionale e delle risoluzioni ONU, che includa il riconoscimento reciproco dello stato di Israele e di quello di Palestina”.
Questa mossa è giunta dopo la recente adesione della Palestina all’UNESCO, per la quale l’Islanda, assieme ad altri 10 membri dell’Unione Europea si era espressa a favore.
Tuttavia dopo l’attesa sconfitta al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, con soli 8 voti favorevoli su 15 – che non hanno nemmeno obbligato gli USA a far uso del diritto di veto – la Palestina non è riuscita ad ottenere una piena adesione alle Nazioni Unite.
Il prossimo passo potrebbe essere quello di rivolgersi all’Assemblea Generale ma il recente blocco del trasferimento delle tasse nella casse dell’Anp che Israele ha attuato come forma punitiva per la recente adesione della Palestina all’UNESCO, potrebbe bloccare l’intero processo. Nena News

http://www.alternativenews.org/italiano/index.php/topics/news/3300-islanda-riconosce-palestina-israele-avvia-trasferimento-fondi