25 marzo 2012

Razzisti organizzati e lupi solitari


di Saverio Ferrari
il manifesto 21/03/2012

Il killer di Tolosa, la strage di Oslo e quella di Firenze, i neonazisti tedeschi e la Guardia nazionale ungherese. L'escalation xenofoba prende di mira la società multiculturale
Il giornalista e scrittore Stieg Larsson, scomparso nel 2004, autore di Uomini che odiano le donne e fondatore della rivista Expo, osservatore attento del fenomeno neonazista, già nel luglio 1999, in un'intervista al quotidiano francese Liberation, sottolineava come l'evolversi dell'estrema destra in Europa si stesse allineando al modello statunitense, con l'azione di individui isolati e di piccoli gruppi. Obiettivo principale la società multiculturale e la democrazia con i suoi rappresentanti.
Sembrerebbe proprio che ora la sua previsione si stia avverando. Prima la strage dello scorso 22 luglio a Oslo e sull'isola di Utoya, in Norvegia, 77 vittime, perpetrata da Anders Behring Breivik, poi quella del 13 dicembre a Firenze compiuta da Giancarlo Casseri, un militante di Casa Pound, che ha assassinato, sparando "nel mucchio", due ambulanti senegalesi. Quindi la scoperta in Germania di una cellula terroristica denominata «Clandestinità nazionalsocialista», responsabile tra il 2000 e il 2007 di ben dieci delitti, di cui nove a sfondo razziale, in maggior parte piccoli commercianti di origine turca. Solo poche ore fa, infine, la mattanza alla scuola ebraica di Tolosa.
Come per Breivik e Giancarlo Casseri, il rischio, ancora una volta sarà quello di veder derubricato sbrigativamente l'avvenimento come il frutto della pura follia. Ma tutte queste figure non sono cresciute isolate. Hanno solo portato alle estreme conseguenze la cultura xenofoba e fascista cui avevano aderito, ritenendo fosse giunto il momento dello scontro. Come "lupi solitari" sono passati all'azione, fuoriusciti dal magma del populismo e del radicalismo di destra.
Il nemico esterno
In Europa populismo, nazionalismo, estremismo di destra e neonazismo, per quanto continuino a rappresentare fenomeni specifici, tendono sempre più ad accavallarsi e sovrapporsi, mescolandosi l'uno nell'altro. Le situazioni, da paese a paese, sono spesso molto diverse. Diversa anche l'incidenza della crisi economica sulle realtà nazionali. Simile, invece, la scelta di scagliarsi, in primo luogo, contro un nemico esterno, di volta in volta identificato nei rom, nei gay, negli ebrei, nei musulmani o negli stranieri in genere. Un' "invasione" contro la quale riscoprire e rilanciare presunti valori patriottici attraverso un acceso nazionalismo o velleità separatiste. Un unico fenomeno con mille sfaccettature.
I processi di globalizzazione hanno accompagnato l'ascesa di queste tendenze. La loro progressione, prima lenta poi accelerata, è avvenuta in un quadro che è andato rapidamente trasformandosi, segnato da nuovi rapporti economici e finanziari come da profondi cambiamenti tecnologici, con l'introduzione di un'instabilità generale, di insicurezza e paura. Alcuni mutamenti epocali, come il crollo dell'Unione sovietica, le migrazioni dall'Africa, dall'Asia e dall'Europa orientale, l'11 settembre 2001, le catastrofi ecologiche, hanno a loro volta consentito di far incrociare e legare fra loro sentimenti nazionalistici e razzisti, in un quadro politico europeo segnato dalla crisi dei tradizionali partiti e il manifestarsi di una forte mobilità elettorale calamitata in maniera significativa da chi garantiva, di fronte al caos, soluzioni come la chiusura delle frontiere e la riappropriazione del territorio. In molti paesi a far da collante anche il senso di rabbia per una grandezza venuta meno.
La destra dei partiti conservatori
A partire dalla metà degli anni Ottanta, si è anche prodotto il progressivo spostamento a destra dei partiti aderenti al Partito popolare europeo. L'originaria matrice cristiano democratica fu messa in discussione, prima con l'ingresso nel 1983 di Nuova democrazia, partito greco ultraconservatore, e qualche anno dopo, nell'aprile 1991, con l'apertura formale del Ppe ai conservatori britannici e danesi. Nel 1994 avrebbe dovuto entrarvi il partito italiano vincitore delle elezioni politiche in quello stesso anno, cioè Forza Italia. Dopo un iniziale rifiuto da parte del Ppe, a causa degli accordi politici ed elettorali con Alleanza nazionale, dati i trascorsi neofascisti di questo partito, l'ammissione ufficiale si concretizzerà definitivamente nel dicembre 1999. Grazie infine alla nascita del Popolo della libertà nel 2009 (partito subito ammesso nel Ppe), a seguito della fusione di Forza Italia e Alleanza nazionale, anche alcune vecchie figure della storia del neofascismo italiano sono entrate a far parte della famiglia popolare europea.
La deriva ungherese
In questo quadro va colta la deriva in corso in Ungheria, un autentico processo di fascistizzazione. Da quando, nell'aprile 2010, il premier nazionalconservatore Viktor Orban e il suo partito Fidesz sono arrivati al governo del Paese, in una progressiva escalation è stata prima varata una nuova costituzione che ha cancellato ogni riferimento alla repubblica, sostituita da espliciti richiami religiosi, poi sono state approvate leggi liberticide con l'intento di sottomettere la magistratura, la produzione artistica, l'insegnamento universitario e la stampa al controllo del governo. Il governo ha anche introdotto «il lavoro utile obbligatorio» (koezmunka) per i disoccupati, in stragrande maggioranza di etnia rom, costretti per non perdere i minimi sussidi di povertà a prestare lavoro manuale, otto ore al giorno, con indosso magliette di riconoscimento, a favore dello Stato.
Da rilevare anche la forte crescita elettorale (il 16,7% alle ultime politiche) del Movimento per un'Ungheria migliore (Jobbik), che ha dato vita a veri e propri gruppi paramilitari (come la Guardia Magiara), protagonisti di marce di intimidazione nonché di diversi episodi di pogrom contro i rom. Di impronta antisemita, Jobbik, formalmente all'opposizione, dichiara di battersi contro le «congiure massoniche e sioniste», ispirandosi alle Croci frecciate, ossia alle milizie di Ferenc Szalasi, salito al potere nel 1944 sotto l'egida degli occupanti nazisti.
Neofascisti e neonazisti
Per quanto il quadro delle organizzazioni apertamente neonazifasciste in Europa si presenti oggi assai frammentato, ciò che con preoccupazione va rilevato è che in taluni casi manifesta un proprio autonomo insediamento elettorale: il British national party in Gran Bretagna (due eletti nelle ultime elezioni europee), l'Npd in Germania (è entrato in alcuni parlamenti regionali) e lo Jobbik ungherese, quest'ultimo diventato una sorta di modello da seguire con il suo mix di radicalismo populista e ideologia nazifascista.
Da segnalare anche l'ormai pluridecennale fenomeno delle bande naziskin, protagoniste, da Est a Ovest, di una innumerevole catena di aggressioni e omicidi, con picchi elevati di violenza in Germania (il tabloid «Bild», citando fonti delle forze di sicurezza, ha parlato di 607 feriti nel 2011), ma soprattutto in Russia, dove in questi anni si sono registrati centinaia di attacchi, spesso mortali, ai danni di immigrati asiatici e caucasici. Alcune reti, da Blood and honour ad Hammerskin, hanno d'altro canto svolto un lavoro spesso sotterraneo di raccordo e moltiplicazione di queste esperienze, favorendo la penetrazione di neonazisti in misura massiccia all'interno delle tifoserie ultras negli stadi di mezza Europa.
L'estrema destra italiana
L'evoluzione dell'estrema destra in Italia è ormai data dalle direttrici di sviluppo di ampi suoi settori, intenzionati, da un lato, a rinverdire le gesta del primo movimento fascista (si veda Casa Pound), dall'altro, a evolversi verso il neonazismo. La tendenza, in questo secondo caso, è all'assunzione in forme sempre più esplicite di riferimenti storici, mitologie e simbologie tratte dalla storia del Terzo Reich. Non un fatto astratto, ma una nuova identità destinata inevitabilmente a produrre conseguenze, riversandosi in una società a composizione sempre più multietnica e complessa. Ci riferiamo alla rivalutazione operata da Forza nuova di alcune formazioni collaborazioniste dei nazisti negli anni Quaranta: parliamo della Guardia di ferro rumena e delle Croci frecciate ungheresi. Ci riferiamo anche all'esaltazione di criminali di guerra come Leon Degrelle, ex generale delle Waffen-SS, ma soprattutto al rilancio di alcune teorie circa la cospirazione dei circoli finanziari e massonici all'origine dell'attuale crisi economica. Tornano a comparire in Italia sui blog del radicalismo di destra termini come «plutocrazia», accompagnati dalla pubblicazione delle vignette nazionalsocialiste degli anni Trenta, con i banchieri e i mercanti con il naso adunco in procinto di spartirsi il mondo.
Antiche ossessioni
In uno studio della fondazione Friedrich Ebert sul razzismo e l'intolleranza in Europa, pubblicato nel marzo scorso, alla domanda posta sull'influenza degli ebrei nei rispettivi paesi, emergeva l'assenso del 19,7% dei tedeschi, del 21,2% degli italiani, del 27,7% dei francesi, del 49,9% dei polacchi e del 69,2% degli ungheresi. Dati su cui riflettere.
Nel passaggio epocale verso società sempre più multiculturali, dentro agli sviluppi dell'attuale crisi capitalistica, va colto l'inquietante riemergere dei miti complottisti e delle antiche ossessioni sulla purezza del sangue e della razza. Pensavamo di essercele lasciati alle spalle.

20 marzo 2012

Non saremo mai vostri schiavi!



NON SAREMO MAI VOSTRI SCHIAVI

Il governo Monti è riuscito là dove il governo Berlusconi aveva fallito, mettere le mani sull’articolo 18, quella norma conquistata nel 1970 che garantisce un minimo di sicurezza nella vita: di non essere licenziati in base al totale arbitrio padronale. Nello stesso tempo vengono ridimensionati gli ammortizzatori sociali.

In questi anni altre conquiste di fondo sono stati stracciate dal padronato e dai governi che si sono susseguiti: un contratto nazionale di lavoro adeguato per tutti, andare in pensione in tempi ragionevoli, un mercato del lavoro basato sul contratto a tempo indeterminato e non la precarietà dilagante che coinvolge i giovani, ma anche i meno giovani.

Il governo Monti Napolitano Fornero rappresenta fino in fondo gli interessi delle banche e del padronato: la cancellazione dell’articolo 18 lascia liberi i padroni di ricattare i dipendenti ogni giorno, di cacciarli, di impedire l’organizzazione di un reale sindacato dei lavoratori.
Dicono: “La libertà di licenziamento porta sviluppo economico”; è la più grande balla mai sentita; serve solo a sfruttare di più gli operai; tutte le misure prese da Berlusconi e poi da Monti precipitano il paese nella recessione economica.

I sindacati portano la gravissima responsabilità di aver praticato una finta trattativa fasulla in cui si discuteva solo di come fregare la classe lavoratrice. La CGIL dichiara la sua contrarietà alla manomissione dell’articolo 18, sperando di salvarsi l’anima, ma la più grande organizzazione di massa del paese, se avesse voluto fare gli interessi dei lavoratori non avrebbe mai dovuto sedersi a quel tavolo, chiamando da subito alla mobilitazione e alla lotta come aveva chiesto la FIOM, e come proponevano i sindacati di base.

In questi ultimi giorni ci sono stati importanti scioperi e manifestazioni in molte fabbriche e città. E’ questa la strada da seguire per battere un governo che vuole lo scalpo della classe operaia.
Rispondiamo con la lotta alla violenza dell’attacco del governo Monti.
Rialziamo la testa per difende i nostri diritti e il nostro futuro e quello dei nostri figli.

  • Difendiamo l’articolo 18,
  • Difendiamo i salari e l’occupazione,
  • Serve un salario sociale e un salario minimo garantito,
  • Rivogliamo il diritto alle pensioni di anzianità.
SCIOPERO E MOBILITAZIONE GENERALE

Sinistra Critica

16 marzo 2012

31/03 Occupyamo Piazza Affari


Appello per la costruzione di una grande manifestazione nazionale a Milano per Sabato 31 Marzo. Un corteo che dall'università Bocconi, luogo simbolo dell'attuale governo Monti e dei ministri tecnocrati, si snodi per le vie della città fino ad arrivare a Piazza Affari, luogo simbolo della crisi economica e finanziaria in corso.

Occupyamo Piazza Affari
I loro affari non devono più decidere sulle nostre vite
Contro le politiche antisociali del governo Monti e della Bce!
Per una società fondata sui diritti civili e sociali, sul pubblico, sull’ambiente e sui beni comuni!

Misure “lacrime e sangue” sono la ricetta del governo delle banche e della finanza che, con il sostegno del centro-destra e del centro-sinistra, è ormai in carica da oltre tre mesi. Il massacro sociale del governo Monti dilagherà se verrà applicato il trattato europeo deciso dai governi Merkel, Sarkozy e Monti. Ora vogliono cambiare la Costituzione, senza consultare i cittadini e imponendo il pareggio di bilancio. Ora vogliono imporre un trattato, il fiscal compact, che impone la schiavitù del debito per vent’anni. Per vent’anni dovremo sacrificare i diritti sociali e quelli delle lavoratrici e dei lavoratori, per pagare il debito agli stessi affaristi e speculatori che l’hanno creato.

Una crisi del sistema capitalista da cui le classi dominanti non riescono ad uscire. L’individuazione di “medici” come Monti in Italia o Papademos in Grecia, che in realtà non fanno che aggravare la malattia scaricando sui lavoratori e sulle classi popolari il peso della iniqua distribuzione del reddito con il conseguente peggioramento delle condizioni di vita e l’eliminazione di diritti conquistati con anni di lotte. Per questo diciamo NO alla precarietà e alla messa in discussione dell’articolo 18, alla distruzione dello stato sociale, dei diritti, della civiltà e della democrazia. Per questo diciamo NO alla distruzione dell’ambiente, alle grandi opere, alla Tav.

Negazione della democrazia e repressione sono gli strumenti con cui le classi dominanti stanno cercando di fermare e dividere il movimento popolare che va opponendosi al dilagare della precarizzazione e della disoccupazione di massa: lo abbiamo visto in questi giorni in Val di Susa, ma anche contro molte lotte operaie e di resistenza sociale.

Chiediamo ai giovani e alle donne, alle lavoratrici e ai lavoratori, ai precari, ai pensionati e ai migranti, ai movimenti civili sociali e ambientali, alle forze organizzate, di organizzare insieme una risposta a tutto questo con una grande manifestazione nazionale a Milano il prossimo 31 marzo!

Unire le lotte per un'opposizione sociale e politica di massa, capace di incidere e contare, dal territorio, alla scuola e all’università, alle lotte per il lavoro: dalla Argol di Fiumicino alla Wagon-Lits di Milano, alla Alcoa di Portovesme, alla Fincantieri, alla Esselunga, alla Sicilia, alla Fiat e alle lotte dei migranti. Vogliamo manifestare assieme a tutti i popoli europei, schiacciati dalle politiche di austerità e dal liberismo, in particolare al popolo greco, sottomesso ad una tirannide finanziaria che sta distruggendo il paese.

Vogliamo un diverso modello sociale ed economico in Italia e in Europa, fondato sul pubblico, sull’ambiente e sui beni comuni, per riconvertire il sistema industriale con tecnologie e innovazione, per la pace e contro la guerra, per lo sviluppo della ricerca sostenendo scuola pubblica e università, per garantire il diritto a sanità, servizi sociali e reddito per tutti, lavoro dignitoso, libertà e democrazia.


Il 31 marzo tutte e tutti in piazza a Milano:
ore 14.00 manifestazione nazionale dalla Bocconi a Piazza Affari

Occupyamo Piazza Affari!
Costruiamo il nostro futuro!

Appello “Occupyamo Piazza Affari”

Per aderire: comitatonazionale@nodebito.it

14 marzo 2012

Israele: Save the Children denuncia soprusi sui detenuti minori palestinesi

Beit Sahour (Cisgiordania), 15 Marzo 2012, Nena News - Ottomila i minori arrestati da Israele negli ultimi 10 anni. Oggi, sono in 170 in prigioni israeliane, di cui 26 tra i 12 e i 15 anni. Le violenze fisiche e mentali a cui vengono sottoposti al momento dell’arresto, indipendentemente dalla durata della detenzione, hanno consequenze a lungo termine sulla loro integrità mentale. E si ripercuotono negativamente sull’interazione familiare e sociale. Questi i risultati dell’ultimo report publicato martedì scorso dall’organizzazione internazionale Save the Children.

Nel 2000, un documento ufficiale delle autorità israeliane pubblicato su ingiunzione della Corte Suprema rendeva pubblico per la prima volta l’uso di metodi di tortura su prigionieri palestinesi arrestati durante la Prima Intifada (1987- 1993). Secondo l’organizzazione per i diritti dei prigionieri Addameer, l’uso di tortura fisica è lievemente calato dopo la restrizioni legali imposte dalla Corte nel 1999. Ma “la pressione fisica moderata” rimane legale, e ampiamente impiegata anche contro prigionieri minorenni.

Tre anni di studi condotti da Save the Children e dalla YMCA – parte del progetto di Riabilitazione Post-traumatica per Bambini Ex-Detenuti in Cisigiordania – su un campione di 292 minori di 18 anni, rivelano che il 98% è stato vittima di violenze sia al momento dell’arresto che in prigione, riportando nel 90% dei casi disordini psicologici post-traumtici (PTSD).

Di diversa natura le violazioni perpetrate, definite tali sulla base della Convenzione UN sui Diritti del Bambino (CRC) del 1989 e della Convenzione contro la Tortura (CAT) – firmata e ratificata dallo Stato di Israele nel 1991. Il diritto internazionale assicurerebbe innanizututto l’applicazione di una legislazione speciale per i minori, definiti tali sino all’età di 18 anni. Per Israele, però, i Palestinesi sono bambini solo fino ai 12 anni, e la maggior parte dei gli ordini militari applicati nei Territori Occupati non fa alcuna distinzione tra bambini over 12 e adulti. Violazione del diritto ad un processo equo, ad adeguate condizioni di vita in prigione, e del diritto di non essere vittima di torture e trattamenti crudeli, disumani e degradanti. Questi i tre punti principali analizzati dal report sull’ “Impatto della detenzione di bambini nei Territori Palestinesi Occupati”.

Save the Children denuncia processi senza avvocato ai quali i genitori non possono partecipare, confessioni in ebraico che i minori vengono obbligati a firmare pur senza comprendere, carenza di assistenza medica, celle malsane e sovraffollate di minori stipati insieme a prigionieri adulti, e casi di minori tenuti in tende in estate come in inverno.

Tante le testimonianze raccolte: “Non sono mai stato informato sul mio capo di accusa (…)”- viene riportato un bambino ex-detenuto. Gli fa eco un altro, che descrivendo il momento del processo, dichiara di come non abbia mai visto nè un giudice, nè un avvocato.

Un’altra voce continua: “Ho problemi respiratori, in prigione mi sono ammalato (…) ma la mia richiesta di poter farmi visitare da un dottore non è mai stata accolta”. Isolamento e impossibilità di contatto con la propria famiglia vengono riscontrati in diversi casi: “Sono stato per 20 giorni (alla prigione di, ndr) Jalameh in una cella buia senza luce del sole, e non mi hanno mai lasciato uscire”. E ancora: “Ai miei genitori è stato permesso visitarmi una sola volta, ma non li ho potuti vedere, perchè proprio quel giorno sono stato trasferito”.

Altro capitolo affrontato nel rapporto, la violazione del diritto di non essere vittima di torture, trattamenti curdeli, inumani e degradanti. “Abusi fisici e mentali, come botte, deprivazione del sonno, isolamento e minaccie di abuso sessuale o imprigionamento a tempo indefinite – si legge – sono metodi spesso usati contro bambini Palestinesi, sia per estorcere confessioni che dopo avvenuta confessione”.

E se anche il numero di bambini soggetti a minacce psicologiche è più alto dei casi di violenza fisica, l’esperienza dell’arresto e della detenzione lascia tracce indelebili sulla personalità del minore, indipendentemente dalla durata della detenzione.

“Mio padre è stato zittito (al momento dell’arresto, ndr) – così Save the Children riporta la voce di uno dei minori – non gli era permesso parlare. Non dimenticherò mai le grida e i pianti dei miei fratellini di 6, 8 e 10 anni quando hanno visto come mi bendavano gli occhi e ammanettavano davanti a loro”. Secondo l’organizzazione questa sarebbe solo una delle testimonianze di diversi ragazzi sui tredici anni arrestati durante le operazioni di arresti di massa attuate dall’esercito israeliano in Cisgiordania e a Gaza. Solo nel 2010, sono stati 1.200 i bambini arrestati perchè sospettati di aver lanciato pietre contro le autorità israeliane. Il più giovane – detenuto a Gerusalemme Est – ha 7 anni.

E l’impatto della detenzione infantile – spiega la ricerca – va al di là della dimensione individuale. Le famiglie si dimostrano spesso iperprotettive verso i bambini ex-detenuti, specialmente se femmine, erodendo le possibilità di un approcio indipendente alla propria vita futura. La perdita di fiducia verso la comunità di provenienza è accompagnata dal fenomeno di stigmatizzazione degli ex-detenuti da parte della comunità stessa.

Secondo le famiglie intervistate da Save the Children/YMCA, “la crescita del tasso di detenzione giovanile è un mezzo utilizzato da Israele per far perdere ai bambini e alle loro famiglie il senso di sicurezza e benessere”. Danneggiando così lo sviluppo delle generazioni future.

Parlando di possibili soluzioni, il direttore dell’OCHA – Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari – Philippe Lazzarini, tira le somme: “La risposta umanitaria, per quanto importante, non è la soluzione, perchè perpetua l’umiliante senso di dipendenza di parte della popolazione palestinese verso la comunità internazionale. Niente potrà sostituire una soluzione politica che metta le basi per un futuro di pace, stabilità e prosperità”. Nena News.

13 marzo 2012

Con il popolo siriano, fino alla vittoria della democrazia e della libertà!


Il mondo assiste, impotente e distratto (a parte coloro che vorrebbero approfittare della situazione per l'ennesimo intervento "umanitario"), alla carneficina in corso in Siria, dove da mesi il popolo sfida la repressione, la tortura, le stragi e gli omicidi del regime per chiedere democrazia, libertà e dignità. La rivoluzione siriana è parte integrante della primavera araba, del risveglio di milioni di donne e di uomini che vogliono liberare sé stessi ed i propri Paesi dalla tirannia, dall’oppressione e dallo sfruttamento, in Siria come in Egitto, Tunisia, Bahrein, Yemen, Giordania, fino all’Arabia Saudita dominata da una delle monarchie più reazionarie ed oscurantiste che la storia ricordi.
Noi condanniamo senza appello la repressione feroce del dittatore Assad e del suo clan: migliaia di morti, negazione della libertà di informazione ed assassinio di giornalisti, migliaia di arresti di dissidenti, omicidi e pestaggi di giornalisti, vignettisti, esponenti di organismi di difesa dei diritti umani, distruzioni di massa, sequestro e tortura di migliaia di desaparecidos.

Con la stessa forza, rifiutiamo la retorica dell’ennesima “guerra umanitaria”: dalla Jugoslavia all’Iraq, al pantano afghano ancora in corso fino al recente precedente libico, abbiamo visto le sofferenze, i morti causati dalla Nato per “proteggere” i civili, l’indegno gioco sulla pelle delle popolazioni. Qualsiasi intervento straniero sottrarrebbe alla popolazione siriana e alle forze democratiche e rivoluzionarie il controllo sul futuro del loro paese e la sua sovranità, rendendolo prigioniero degli interessi delle grandi potenze, globali e regionali.
Vogliamo sostenere la rivoluzione siriana nella lotta per una vera democrazia, il rispetto dei diritti umani, la giustizia e la dignità, così come sosteniamo l’eroica lotta del popolo palestinese contro l’occupazione israeliana, per il diritto alla vita, alla terra ed alla libertà.
Fra poche giorni, il prossimo 15 marzo, ricorrerà il primo anno dall’inizio della sollevazione del popolo siriano contro il regime del clan Assad: facciamo appello a tutte gli amici e le amiche della giustizia e della pace, a tutte le forze politiche democratiche ed antifasciste, a manifestare in tante città contro il regime assassino di Bashar Assad, per il sostegno a tutte le popolazioni arabe in rivolta, in solidarietà alla forze popolari, democratiche e rivoluzionarie, partecipando poi alle iniziative della comunità siriana di opposizione.

Non vogliamo embarghi contro la popolazione, siamo contro ogni intervento militare “senza se e senza ma”, che si chiami missione “umanitaria” o No Fly Zone. Vogliamo l’immediata cessazione delle operazioni militari del regime contro la popolazione. Vogliamo che l’Onu organizzi una commissione di inchiesta indipendente e non armata che si rechi immediatamente in Siria e verifichi le violazioni dei diritti umani e costruisca le condizioni per elezioni libere e la fine della repressione. Vogliamo che sia il popolo siriano a decidere del proprio futuro. Vogliamo che la solidarietà dei popoli abbracci la lotta della popolazione siriana.

Piero Maestri, Germano Monti, Fabio Marcelli, Vauro Senesi, Vittorio Agnoletto, Franco Russo, Ciro Pesacane, Riccardo Torregiani, Annamaria Rivera, Laura Quagliuolo, Simona Cataldi, Karim Metref, Maria Carla Biavati, Fabio Ruggiero, Roberto Dati, Massimo Gatti, Luciano Muhlbauer

Coordinamento Nazionale Siriano per il Cambiamento Democratico, Giuristi Democratici, Ipri-Rete Corpi Civili di Pace, Associazione RETOUR

05 marzo 2012

9 marzo: generalizziamo lo sciopero!


Sinistra Critica sullo sciopero Fiom del 9 marzo

Continua e si aggrava la pesante aggressione del padronato e della BCE ai diritti e alle condizioni di vita dei lavoratori del nostro paese.
Mentre dilagano la disoccupazione (con la disperazione che genera), la cassa integrazione (con la drastica caduta dei redditi disponibili), i licenziamenti, la perdita di posti di lavoro, la chiusura di aziende (con la distruzione di capacità produttive), vengono cancellati i contratti nazionali e annullato il loro valore unificante e di solidarietà, vengono attaccati i sindacati, quando non sono puri complici del padrone, i diritti e le condizioni di lavoro diventano semplici variabili dipendenti della centralità dell'impresa.
Si vogliono creare le condizioni per un ulteriore abbattimento dei salari italiani, nonostante siano universalmente riconosciuti tra i più bassi del continente.
Ora nel mirino del padronato, del governo e della BCE c'è l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Il diritto a non essere licenziati ingiustamente non è solo una norma di civiltà, ma è soprattutto il presupposto per poter lottare liberamente e, così, difendere e migliorare le proprie condizioni di lavoro, per riaffermare i diritti in fabbrica, per poter esigere una retribuzione dignitosa e adeguata.
Ecco perché i padroni, con la complicità del governo e dell'Unione europea, esigono la modifica dell'articolo 18. Ecco perché occorre difenderlo. La sentenza per il reintegro dei tre militanti Fiom licenziati da Marchionne a Melfi indica come su questa norma si stia giocando una partita non simbolica.
L'offensiva governativa e confindustriale si combina con l'attacco di Marchionne ai lavoratori della Fiat e alla Fiom e agli altri sindacati non asserviti ai suoi disegni. Anche Marchionne trova il pieno appoggio del governo, della quasi totalità dello schieramento politico istituzionale e dei media. Lo strapotere Fiat, nonostante il suo progressivo disimpegno dall'Italia, arriva perfino ad ottenere una condanna giudiziaria pesante per un servizio televisivo colpevole solo di aver messo in discussione la qualità delle auto prodotte.
Lo sciopero e la manifestazione nazionale della Fiom devono diventare in questi ultimi giorni il punto di riferimento per tutte e tutti coloro che vogliono opporsi alla politica del governo e all'attacco della Confindustria perché questa politica e quest'attacco non sono rivolti solo contro i metalmeccanici, ma contro tutta la classe lavoratrice.

Nel frattempo il governo, anche qui con l'appoggio di tutto lo schieramento politico e dei media, criminalizza e reprime il più importante movimento di resistenza che opera nel paese: il Movimento No Tav che si oppone alla devastazione della Val di Susa e al regalo di decine di miliardi di euro alle imprese e alle mafie per un'opera inutile e dannosa. Nel mirino del padrone e del governo ci sono i diritti di tutte e di tutti.
È in corso un confronto tra il governo e le cosiddette "parti sociali", come ipocritamente vengono chiamate da una parte le associazioni padronali (sempre più determinate ad azzerare le conquiste del mondo del lavoro) e, dall'altra, i sindacati confederali, che sempre meno rappresentano realmente lavoratrici, lavoratori e pensionati. Questo tavolo di confronto punta dichiaratamente e unicamente a aiutare i padroni in quella opera di azzeramento, soprattutto cancellando o manomettendo l'articolo 18. Questo tavolo a perdere va abbandonato!
Occorre mettere in piedi un movimento che, a partire dalla proclamazione di uno sciopero generale e generalizzato rivendichi:
- il blocco dei licenziamenti: durante una crisi come quella che si sta vivendo i padroni e il loro sistema devono farsi carico di garantire a tutti la continuità del lavoro e del reddito. Va imposta la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario, la redistribuzione dell'occupazione esistente, la creazione di un salario sociale per i disoccupati;
- la cancellazione di tutte le norme di precarizzazione del lavoro introdotte dai governi che si sono succeduti alla guida del paese;
- la riaffermazione della centralità dei contratti nazionali, come norme inderogabili che unificano condizioni, diritti e salari in tutto il territorio nazionale;
- l'avvio di una mobilitazione per contratti europei, con l'obiettivo di armonizzare verso l'alto diritti e salari;
- il rifiuto di ogni tentativo di manomettere l'articolo 18, e l'estensione delle sue norme a tutto il mondo del lavoro.

Si deve garantire la massima solidarietà con il movimento delle cittadine e dei cittadini della Val di Susa, anche attraverso una campagna di assemblee nei luoghi di lavoro che illustri le ragioni di quella lotta che indica un'ipotesi di sviluppo con una sola "grande opera" di attenzione e salvaguardia del territorio e dell'ambiente come bene comune primario.

Come si fa ad allearsi con Bersani?


ilmegafonoquotidiano.it
Il Pd è tra i più accaniti sostenitori dell'Alta velocità in Val di Susa. Bersani lo ripete senza ambiguità. Cosa serve ancora a un settore importante della sinistra per prenderne atto e costruire davvero un'alternativa?

E ora come la mettiamo con il Pd? Quelli che sostengono da anni che con questo partito non ci sono più rapporti possibili - almeno per chi pensa a una trasformazione della società, a una critica al moderno capitalismo, sia pure per un riformismo forte, per chi ha a cuore l'ambiente e l'ecologia oltre che i diritti sociali e civili - vengono sempre tacciati di scarso senso della realtà. "Non ci sono alternative", non c'è altro da fare, comunque attorno a quel partito ci sono delle energie ancora importanti da sollecitare e organizzare. E' la strategia politica che sostiene il progetto di Nichi Vendola e di chi guarda a lui con interesse e che motiva atteggiamenti e scelte anche di altri soggetti diversi. Si pensi a come un'area importante e socialmente vitale dei centri sociali si leghi le mani in ipotesi elettorali vincolate al Pd (come con Zingaretti a Roma); oppure al dibattito, certamente molto più complesso, della Fiom che non può tradursi mai in una rottura con la Cgil. E altri esempi si potrebbero fare.
Eppure, a ogni passaggio che conta, di fronte ai fatti epocali della politica, il Pd si dimostra per quello che è: un partito espressione di un grumo di interessi forti dell'economia e della società italiana, attento ai movimenti della borghesia che conta, delle cancellerie più importanti, degli strati sociali dominanti. E' stato così quando ha governato - tassa per l'Europa, guerra in Afghanistan, cuneo fiscale per le imprese, riforma delle pensioni, precarietà, controllo dei salari - ed è così nel sostegno al governo Monti. Il Tav in Val di Susa è l'ultimo esempio di una lunga catena di casi esemplari. E c'è poco da commentare, basta leggere l'articolo di Repubblica pubblicato di seguito in cui si dà conto del dibattito interno al partito di Bersani e all'ostilità manifesta con quanto si sta muovendo in quella Valle.
Però è utile leggere anche l'appello, che pubblichiamo più sotto, con cui un settore importante di sinistra - da don Ciotti ad Airaudo, da De Magistris a Emiliano, dall'Arci al manifesto - rivendica le ragioni dei Notav, chiede, giustamente, una moratoria ma lo fa con un approccio che sembra lasciare aperta la possibilità di un'ulteriore mediazione ("chiediamo molto di meno di quanto fatto con le Olimpiadi a Roma" si scrive). Un approccio che, in ultima istanza, sembra giustificarsi per la volontà di non rompere del tutto con il Pd lasciando aperta ancora la strada della mediazione elettorale e quindi dell'alleanza politica.
In questo schema si è perso negli ultimi venti anni un tempo più che prezioso e che sarà difficile recuperare anche se non è mai troppo tardi per cominciare. Invece di costruire con pazienza, incuranti dei dati elettorali, un'area esplicita e riconoscibile di sinistra alternativa, legata ai movimenti, in grado di costruire un altra visione della società, di affermarla con atti politici ed esperienze esemplari - che pure ci sono state -, si è perso tempo nella rincorsa di un pezzo dell'establishment. Che oggi dichiara con nettezza - vedi Bersani durante la trasmissione di Santoro - che sta dall'altra parte e che, se serve, non esiterà a sostenere la repressione dello Stato. Chi oggi si dispone a costruire alleanze di vario tipo con Bersani e i suoi, non può nascondersi questo quadro e non può non vedere che finirà, come è già successo ad altri prima, "strapazzato e abbandonato".

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04 marzo 2012

Appello per un ripensamento del progetto di nuova linea ferroviaria Torino–Lione al Presidente del Consiglio Mario Monti Gennaio 2012


Al Presidente del Consiglio dei Ministri
On. Prof. Mario Monti
Palazzo Chigi
ROMA

gennaio 2012


Oggetto: Appello per un ripensamento del progetto di nuova linea ferroviaria Torino – Lione, Progetto Prioritario TEN-T N° 6, sulla base di evidenze economiche, ambientali e sociali.


Onorevole Presidente,

ci rivolgiamo a Lei e al Governo da Lei presieduto, nella convinzione di trovare un ascolto attento e privo di pregiudizi a quanto intendiamo esporLe sulla base della nostra esperienza e competenza professionale ed accademica. Il problema della nuova linea ferroviaria ad alta velocità/alta capacità Torino-Lione rappresenta per noi, ricercatori, docenti e professionisti, una questione di metodo e di merito sulla quale non è più possibile soprassedere, nell’interesse del Paese. Ciò è tanto più vero nella presente difficile congiuntura economica che il suo Governo è chiamato ad affrontare.


Sentiamo come nostro dovere riaffermare - e nel seguito di questa lettera, argomentare - che il progetto1 della nuova linea ferroviaria Torino-Lione, inspiegabilmente definito “strategico”, non si giustifica dal punto di vista della domanda di trasporto merci e passeggeri, non presenta prospettive di convenienza economica né per il territorio attraversato né per i territori limitrofi né per il Paese, non garantisce in alcun modo il ritorno alle casse pubbliche degli ingenti capitali investiti (anche per la mancanza di un qualsivoglia piano finanziario), è passibile di generare ingenti danni ambientali diretti e indiretti, e infine è tale da generare un notevole impatto sociale sulle aree attraversate, sia per la prevista durata dei lavori, sia per il pesante stravolgimento della vita delle comunità locali e dei territori coinvolti.


Diminuita domanda di trasporto merci e passeggeri

Nel decennio tra il 2000 e il 2009, prima della crisi, il traffico complessivo di merci dei tunnel autostradali del Fréjus e del Monte Bianco è crollato del 31%. Nel 2009 ha raggiunto il valore di 18 milioni di tonnellate di merci trasportate, come 22 anni prima. Nello stesso periodo si è dimezzato anche il traffico merci sulla ferrovia del Fréjus, anziché raddoppiare come ipotizzato nel 2000 nella Dichiarazione di Modane sottoscritta dai Governi italiano e francese. La nuova linea ferroviaria Torino-Lione, tra l’altro, non sarebbe nemmeno ad Alta Velocità per passeggeri perché, essendo quasi interamente in galleria, la velocità massima di esercizio sarà di 220 km/h, con tratti a 160 e 120 km/h, come risulta dalla VIA presentata dalle Ferrovie Italiane. Per effetto del transito di treni passeggeri e merci, l’effettiva capacità della nuova linea ferroviaria Torino-Lione sarebbe praticamente identica a quella della linea storica, attualmente sottoutilizzata nonostante il suo ammodernamento terminato un anno fa e per il quale sono stati investiti da Italia e Francia circa 400 milioni di euro.


Assenza di vantaggi economici per il Paese

Per quanto attiene gli aspetti finanziari, ci sembra particolarmente importante sottolineare l’assenza di un effettivo ritorno del capitale investito. In particolare:

1. Non sono noti piani finanziari di sorta
Sono emerse recentemente ipotesi di una realizzazione del progetto per fasi, che richiedono nuove analisi tecniche, economiche e progettuali. Inoltre l’assenza di un piano finanziario dell’opera, in un periodo di estrema scarsità di risorse pubbliche, rende ancora più incerto il quadro decisionale in cui si colloca, con gravi rischi di “stop and go”.

2. Il ritorno finanziario appare trascurabile, anche con scenari molto ottimistici.
Le analisi finanziarie preliminari sembrano coerenti con gli elevati costi e il modesto traffico, cioè il grado di copertura delle spese in conto capitale è probabilmente vicino a zero. Il risultato dell’analisi costi-benefici effettuata dai promotori, e molto contestata, colloca comunque l’opera tra i progetti marginali.

3. Ci sono opere con ritorni certamente più elevati: occorre valutare le priorità
Risolvere i fenomeni di congestione estrema del traffico nelle aree metropolitane così come riabilitare e conservare il sistema ferroviario "storico" sono alternative da affrontare con urgenza, ricche di potenzialità innovativa, economicamente, ambientalmente e socialmente redditizie.

4. Il ruolo anticiclico di questo tipo di progetti sembra trascurabile.
Le grandi opere civili presentano un’elevatissima intensità di capitale, e tempi di realizzazione molto lunghi. Altre forme di spesa pubblica presenterebbero moltiplicatori molto più significativi.

5. Ci sono legittimi dubbi funzionali, e quindi economici, sul concetto di corridoio.
I corridoi europei sono tracciati semi-rettilinei, con forti significati simbolici, ma privi di supporti funzionali. Lungo tali corridoi vi possono essere tratte congestionate alternate a tratte con modesti traffici. Prevedere una continuità di investimenti per ragioni geometriche può dar luogo ad un uso molto inefficiente di risorse pubbliche, oggi drammaticamente scarse.


Bilancio energetico-ambientale nettamente negativo.

Esiste una vasta letteratura scientifica nazionale e internazionale, da cui si desume chiaramente che i costi energetici e il relativo contributo all’effetto serra da parte dell’alta velocità sono enormemente acuiti dal consumo per la costruzione e l’operatività delle infrastrutture (binari, viadotti, gallerie) nonché dai più elevati consumi elettrici per l’operatività dei treni, non adeguatamente compensati da flussi di traffico sottratti ad altre modalità. Non è pertanto in alcun modo ipotizzabile un minor contributo all’effetto serra, neanche rispetto al traffico autostradale di merci e passeggeri. Le affermazioni in tal senso sono basate sui soli consumi operativi (trascurando le infrastrutture) e su assunzioni di traffico crescente (prive di fondamento, a parte alcune tratte e orari di particolare importanza).


Risorse sottratte al benessere del Paese

Molto spesso in passato è stato sostenuto che alcuni grandi progetti tecnologici erano altamente remunerativi e assolutamente sicuri; la realtà ha purtroppo dimostrato il contrario. Gli investimenti per grandi opere non giustificate da una effettiva domanda, lungi dal creare occupazione e crescita, sottraggono capitali e risorse all’innovazione tecnologica, alla competitività delle piccole e medie imprese che sostengono il tessuto economico nazionale, alla creazione di nuove opportunità lavorative e alla diminuzione del carico fiscale. La nuova linea ferroviaria Torino-Lione, con un costo totale del tunnel transfrontaliero di base e tratte nazionali, previsto intorno ai 20 miliardi di euro (e una prevedibile lievitazione fino a 30 miliardi e forse anche di più, per l’inevitabile adeguamento dei prezzi già avvenuto negli altri tratti di Alta Velocità realizzati), penalizzerebbe l’economia italiana con un contributo al debito pubblico dello stesso ordine all’entità della stessa manovra economica che il Suo Governo ha messo in atto per fronteggiare la grave crisi economica e finanziaria che il Paese attraversa. è legittimo domandarsi come e a quali condizioni potranno essere reperite le ingenti risorse necessarie a questa faraonica opera, e quale sarà il ruolo del capitale pubblico. Alcune stime fanno pensare che grandi opere come TAV e ponte sullo stretto di Messina in realtà nascondano ingenti rischi per il rapporto debito/PIL del nostro Paese, costituendo sacche di debito nascosto, la cui copertura viene attribuita a capitale privato, di fatto garantito dall’intervento pubblico.


Sostenibilità e democrazia

La sostenibilità dell’economia e della vita sociale non si limita unicamente al patrimonio naturale che diamo in eredità alle generazioni future, ma coinvolge anche le conquiste economiche e le istituzioni sociali, l’espressione democratica della volontà dei cittadini e la risoluzione pacifica dei conflitti. In questo senso, l’applicazione di misure di sorveglianza di tipo militare dei cantieri della nuova linea ferroviaria Torino-Lione ci sembra un’anomalia che Le chiediamo vivamente di rimuovere al più presto, anche per dimostrare all’Unione Europea la capacità dell’Italia di instaurare un vero dialogo con i cittadini, basato su valutazioni trasparenti e documentabili, così come previsto dalla Convenzione di Århus2.

Per queste ragioni, Le chiediamo rispettosamente di rimettere in discussione in modo trasparente ed oggettivo le necessità dell’opera.


Non ci sembra privo di fondamento affermare che l’attuale congiuntura economica e finanziaria giustifichi ampiamente un eventuale ripensamento e consentirebbe al Paese di uscire con dignità da un progetto inutile, costoso e non privo di importanti conseguenze ambientali, anche per evitare di iniziare a realizzare un’opera che potrebbe essere completata solo assorbendo ingenti risorse da altri settori prioritari per la vita del Paese.


Con viva cordialità e rispettosa attesa,


Sergio Ulgiati, Università Parthenope, Napoli
Ivan Cicconi, Esperto di infrastrutture e appalti pubblici
Luca Mercalli, Società Meteorologica Italiana
Marco Ponti, Politecnico di Milano

Riferimenti bibliografici: cfr. http://www.lalica.net/Appello_a_Monti

1 L'accordo del 2001 tra Italia e Francia, ratificato con Legge 27 settembre 2002, n. 228, prevede all'art. 1 che "I Governi italiano e francese si impegnano (…) a costruire (…) le opere (…) necessarie alla realizzazione di un nuovo collegamento ferroviario merci-viaggiatori tra Torino e Lione la cui entrata in servizio dovrebbe avere luogo alla data di saturazione delle opere esistenti." Non ostante la prudenza contenuta in questo articolo, i Governi italiani succedutisi hanno fatto a gara per dimostrare che la data di saturazione della linea storica era dietro l'angolo. I fatti hanno dimostrato il contrario, ma – inspiegabilmente - non vi sono segnali di ripensamento da parte dei decisori politici.

2 http://www.unece.org/fileadmin/DAM/env/pp/documents/cep43ital.pdf