27 giugno 2012

Via libera della camera alla Fornero passa la riforma "contro" il lavoro

www.ilmanifesto.it

I voti a favore sono stati solo 393, i contrari 74, numerose le astensioni: 46. L'ok definitivo alla riforma, ora alla firma del capo dello Stato per la promulgazione e la successiva pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Esulta Cesare Damiano per il ddl che affossa l'articolo 18. 

Via libera dell'Aula della Camera alla riforma del mercato del lavoro. I voti a favore sono stati solo 393, i contrari 74, numerose le astensioni: 46. L'ok definitivo alla riforma, ora alla firma del capo dello Stato per la promulgazione e la successiva pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, è arrivato con un' accelerazione impressa dalla richiesta del premier Mario Monti per poter arrivare al Consiglio europeo di domani con la riforma in tasca e concessa, tra diversi malumori, dai partiti che sostengono la maggioranza in cambio della promessa che l'esecutivo interverrà ancora, in tema di esodati, flessibilità in entrata e ammortizzatori.

Esulta Cesare Damiano che ha redatto la riforma di lady Elsa e azzoppato l'articolo 18.
“'Con l'approvazione alla Camera del disegno di legge sul mercato del lavoro, i partiti che sostengono il governo hanno dimostrato la coerenza del loro impegno e l'alto senso di responsabilita' nelle scelte'', afferma Cesare Damiano, capogruppo Pd nella Commissione Lavoro di Montecitorio. ''Abbiamo ascoltato la richiesta del premier - aggiunge - e ci rendiamo perfettamente conto dell'enorme situazione di difficoltà economica e sociale che sta attraversando l'Europa. Abbiamo altresì preso atto della disponibilità e della capacità d'ascolto del presidente del Consiglio che ancora ieri ha ribadito nell'aula di Montecitorio la volontà di realizzare tempestivamente gli impegni assunti con i partiti della maggioranza sulle correzioni al sistema pensionistico e al mercato del lavoro. Per noi è fondamentale dare corso alla soluzione del problema dei lavoratori che sono rimasti senza stipendio e senza pensione a seguito della riforma della previdenza, anche attraverso un decreto. Sul mercato del lavoro abbiamo sollevato il tema degli ammortizzatori sociali: chiediamo di posticipare di un anno il decollo della nuova Aspi, considerato il prolungarsi della crisi e l'esigenza di mantenere le attuali tutele in caso di mobilita'. Abbiamo poi posto la questione delle partite Iva: quando si tratta di autentico lavoro autonomo, non e' accettabile che il contributo previdenziale sia aumentato al 33%. A partire da questi contenuti - conclude - la nostra battaglia continuerà anche utilizzando le proposte di legge unitarie in via di definizione alla commissione Lavoro''.

E il Pd ha scoperto la sua Marianna, usata per la dichiarazione di voto contro i giovani. Quando, a soli 28 anni e sconosciuta ai più, Walter Veltroni la candidò capolista Pd nel Lazio, su Marianna Madia e sul segretario caddero gli strali ironici di commentatori e opinionisti. In tanti, anche dentro al partito, non perdonarono all'allora leader del Pd quella scelta. E lei ci mise del suo nella prima dichiarazione pubblica: "Porterò in Parlamento la mia straordinaria inesperienza", disse. Nel frattempo ha preso le distanze dal suo mentore, che non ha seguito in Movimento democratico, e lavorato nella commissione Lavoro in tandem con Cesare Damiano. Ma quattro anni dopo l'ex ricercatrice di economia, mamma da pochi mesi, si è presa la sua rivincita. E' stata affidata proprio a Madia, infatti, la dichiarazione di voto finale del Pd alla Camera su un provvedimento molto contrastato, la riforma del mercato del lavoro. E lei ha parlato per dieci minuti senza esitazioni o inciampi. Ha difeso il provvedimento nel suo complesso: "Vorrei assicurare a una generazione di precari che i passi avanti ci sono e sono molti", ha scandito. Ma ha anche criticato il ddl sui punti che il Partito democratico ha tentato inutilmente di correggere: ammortizzatori sociali, esodati e partite Iva.

26 giugno 2012

Il piano della Deutsche Bank per privatizzare l'Europa

di Salvatore Cannavò

Un piano di dismissione gigantesco, proporzionale a quello che coinvolse la ex Germania dell’Est dopo la riunificazione del 1990. E’ questa la richiesta che la Deutsche Bank ha fatto all’Europa, e in particolare al governo tedesco, in suo rapporto di qualche mese fa e che ora abbiamo potuto leggere grazie al sito Alencontre.org. Il documento è del 20 ottobre 2011 e si intitola “Guadagni, concorrenza, crescita” ed è firmato da Dieter Bräuninger, economista della banca tedesca dal 1987 e attualmente Senior Economist al dipartimento Deutsche Bank Researc. Un testo importante perché aiuta a capire meglio cosa sono “i mercati finanziari”, chi è che ogni giorno boccia o promuove determinate politiche di questo o quel governo. La richiesta che è rivolta direttamente alla cosiddetta Troika, Commissione europea, Bce e Fmi è quella della privatizzazione massiccia e profonda del sistema di welfare sociale e di servizi pubblici per un valore di centinaia di miliardi di euro per i seguenti paesi: Francia, Italia, Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda. Il rapporto stretto con gli “attacchi” dei mercati internazionali si vede a occhio nudo
Gli autori del rapporto hanno come modello di riferimento per questo piano di privatizzazione il vecchio Treuhandanstalt tedesco (l’Istituto di Gestione fiduciaria che, tra il 1990 e il 1994 garanti la dismissione di cira 8000 aziende dell’ex Ddr soprattutto a vantaggio delle imprese dell’Ovest). Stiamo parlando di un valore patrimoniale di 600 miliardi di marchi tedeschi del 1990 secondo le stime ufficiali, circa 307 miliardi di euro attuali. Nonostante quell’agenzia abbia terminato il suo lavoro con una perdita di 256 miliardi di marchi, lo schema viene riproposto nel documento Deutsche Bank – e a giudicare dalle intenzioni, anche dai progetti governativi: “La situazione difficile sui mercati finanziari non è un ostacolo – scrive il rapporto. Una modalità consisterebbe nel trasferire gli attivi a un’agenzia incaricata esplicitamente di privatizzazione. Questa potrebbe in seguito, a seconda della congiuntura dei mercati, scaglionare la vendita nel tempo”. Si mette tutto in un fondo comune, dunque, senza fare di questa o quella privatizzazione l’emblema del progetto, in modo da non sapere più cosa e quando viene venduto, aggirando eventuali opposizioni.
Il capitolo che riguarda l’Italia è molto dettagliato, al pari di quelli degli altri stati. Dopo aver fatto una breve disamina della situazione pregressa – dall’Iri alle privatizzazioni di Telecom e delle altre grandi aziende - il documento ammette che “lo stato nel suo complesso nel corso dell’ultimo decennio si è ritirato in modo significativo” da diversi settori. Però esistono ancora “potenziali entrate derivanti dalla vendita di partecipazioni in grandi aziende”. Almeno 70-80 miliardi. Ma “particolare attenzione meritano gli edifici pubblici, terreni e fabbricati. Il loro valore è stimato dalla Cassa Depositi e Prestiti per un totale di 421 miliardi”. E, si aggiunge, “la loro vendita potrebbe essere effettuata relativamente con poco sforzo”.
“Secondo i dati ufficiali, è di proprietà dello Stato (comprese le regioni, i comuni) un patrimonio complessivo di 571 miliardi, ossia quasi il 37% del Pil”. Quindi, non si tratta di vendere solo qualche quota di Eni o Enel ma interi pezzi del patrimonio pubblico “in particolare l’approvvigionamento di acqua”, misura che appare “utile” soprattutto per via delle “enormi perdite, fino al 30%, dell’acqua distribuita”.
In effetti il testo dedica molto spazio ai servizi pubblici, non solo l’acqua pubblica: “A differenza delle telecomunicazioni, certe parti del settore energetico e dei trasporti (innanzitutto ferroviari) sono ancora suscettibili di privatizzazioni radicali e di una deregolamentazione, da condurre nell’insieme dell’Europa”. E nel testo non c’è alcun imbarazzo a scrivere che “in principio, la privatizzazione di servizi pubblici di interesse generale presenta dei vantaggi, come ad esempio l’approvvigionamento d’acqua, la gestione delle fognature, l’assistenza sanitaria e le attività non statali dell’amministrazione pubblica”.

Oltre all’Italia, come detto, il rapporto si occupa di altri paesi. La Francia, ad esempio dovrebbe avere circa 88 miliardi di euro di beni capitalizzabili sul mercato, il 4,6% del Pil ma, spiega la Deutsche Bank, “l’intervento statale nell’economia va oltre queste cifre”. Ci sono le infrastrutture, le centrali idroelettriche a partire dall’Edf che è di proprietà statale e ampi spazi del settore bancario. Per quanto riguarda la Spagna, l’accento è posto sulla vendita di aeroporti, sui servizi di navigazione, i cantieri navali, le Poste, le ferrovie. Infine, per quanto riguarda la Grecia, si ricorda che gli impegni presi dal paese nei confronti della Troika riguardano il 22% del Pil, circa 50 miliardi di euro di privatizzazioni. Ma, si sottolinea, “lo Stato controlla il 70% del Paese”, quindi c’è ancora molto da fare.

19 giugno 2012

Syriza e la sinistra europea

Nota dell'Esecutivo Nazionale di Sinistra Critica

Syriza non ce l'ha fatta. Una campagna forsennata da tutta Europa, fatta anche di calunnie e menzogne, ha indotto i greci a dare un vantaggio ai conservatori che ora formeranno il governo con i socialisti del Pasok. Quelli che hanno rovinato la Grecia sono ora chiamati a salvarla.

Ma la battaglia non finisce qui. Il risultato di Syriza è anche il capitale accumulato di una generosa resistenza fatta di lotte e scioperi che hanno visto nella proposta politica della Coalizione di sinistra un possibile punto di appoggio. La forza di Syriza, e il suo esempio per la sinistra europea, sta soprattutto nella sua capacita di tenere un programma di alternativa alle politiche della Troika senza piegarsi ai diktat e ai ricatti. Così come è significativo il fatto di aver costruito una proposta alternativa di sinistra al fallimento del Pasok.

In questo senso servirebbe qualcosa di simile a Syriza anche in Italia: sul piano del programma a partire dal rifiuto delle politiche di austerità, l'annullamento del debito illegittimo, la riforma fiscale, la nazionalizzazione delle banche, una nuova politica di welfare e di diritti per lavoratrici e lavoratori; sul piano della proposta politica per un progetto che spazi via il liberalismo di Bersani e soci e proponga un'altra strada.

Noi vogliamo proporre questa strada alla sinistra sociale e politica in Italia. Alla sinistra sindacale, alle esperienze di difesa di precari/e e disoccupate/i, ai comitati territoriali, ai centri sociali, al movimento delle donne, a quello impegnato nei Pride, alle associazioni e ai vari collettivi: costruire una vasta coalizione politica e sociale che provi innanzitutto a contrastare le politiche di austerità e costruire un movimento unitario e plurale, organizzato e democratico. È questa, certamente, la priorità del momento in vista di un autunno che si annuncia drammatico. Una coalizione che, se se ne creano le condizioni, trovi anche la via elettorale senza però dissolversi su questo terreno. Una Coalizione anche in Italia sarebbe il modo efficace per sostenere la lotta di Syriza e di tutta la sinistra radicale e il movimento sociale – in Grecia come negli altri paesi europei - che, contrariamente alle apparenze, è appena cominciata.

16 giugno 2012

Se vince Syriza

Syriza: il manifesto economico per le prossime elezioni

Il manifesto di SYRIZA sulle politiche sociali ed economiche si compone di nove punti principali, ed è alla base del programma economico aggiornato e migliorato dal partito della Coalizione della sinistra. Una presentazione completa del programma da parte di Alexis Tsipras ha avuto luogo venerdì 1° giugno, a mezzogiorno, a Athinaida.
 

Ecco i punti principali e le «questioni essenziali» in dettaglio: POSIZIONI SULLE QUESTIONI ESSENZIALI
1. ANNULLAMENTO DEI MEMORANDUM

Come prima misura del suo governo del paese, SYRIZA procederà a un annullamento immediato dei memorandum e più in particolare del 2° memorandum, che è stato elaborato in collaborazione con la troika [UE, BCE, FMI] e che il governo di Papademos – sostenuto principalmente dal PASOK e Nuova Democrazia – ha cominciato ad applicare.
Al posto di questo, SYRIZA sottoporrà al Parlamento una legislazione su un piano nazionale per lo sviluppo economico e sociale, la ricostruzione della produzione, la ridistribuzione equa dei redditi e il risanamento equo delle finanze pubbliche.
I memorandum, e in particolare il 2°, sono stati sanciti dalla legge attraverso procedure accelerate violando il regolamento parlamentare e la Costituzione. Allora, SYRIZA aveva condannato il voto dei memorandum in Parlamento, avevamo presentato un’eccezione di incostituzionalità in merito al corso delle procedure di voto di approvazione, che avevamo definito un colpo di Stato parlamentare, e avevamo precisato che volevamo annullare quelle leggi.
2. ANNULLAMENTO DELLE LEGGI INTRODOTTE
L’annullamento immediato dei memorandum e delle leggi che li stabiliscono sarà seguito dall’annullamento del programma a «metà percorso» e delle leggi nate dai memorandum, a cominciare da quelle leggi che riducono i salari, le pensioni e le spese sociali, distruggono i contratti collettivi, limitano le libertà sindacali e dissolvono le relazioni di lavoro. Così, le conseguenze delle politiche antipopolari saranno progressivamente sanate mentre saranno prese simultaneamente decisioni miranti a misure profondamente progressiste.
3. CONDANNA DEGLI ACCORDI DI PRESTITO
SYRIZA intende annullare gli accordi di prestito, al fine di sostituire le loro condizioni onerose, e rinegoziare il processo di annullamento della maggior parte del debito pubblico totale, affinché il resto sia rimborsabile, secondo i termini e le condizioni che non mettano in discussione la sovranità nazionale e la sostenibilità economica del nostro paese.
La priorità data al rimborso dei prestiti, rispetto ai bisogni interni, e a favore della revoca della immunità dei beni di Stato dovuta alla sovranità nazionale, non può in alcun caso essere accettata. Avevamo sostenuto e dimostrato questo in maniera credibile quando queste clausole [la negoziazione collettiva] sono state portate al voto.
Il modo, il calendario, nonché tutto l’aspetto politico e giuridico di questa condanna, e la rinegoziazione degli accordi di prestito saranno decisi e attuati da un governo di sinistra in funzione della sua capacità e delle circostanze specifiche.
Il finanziamento da parte della troika, che è subordinato agli accordi di prestito di cui sopra, è diretto quasi esclusivamente alla restituzione dei debiti e degli interessi, e non ha alcun legame diretto con la realizzazione delle spese e del bilancio.
4. CANCELLAZIONE DELLA MAGGIOR PARTE DEL DEBITO
Nello stesso tempo, grazie alla fine dell’accordo di prestito, SYRIZA richiederà una negoziazione completa del debito a livello europeo e in ogni caso al livello nazionale, in particolare per quanto riguarda il debito dello Stato greco, poiché [l’accordo] non solo è ingiusto, come dimostrato, ma profondamente arbitrario e irrealizzabile.
L’obiettivo della negoziazione sarà la cancellazione della maggior parte del debito, e il rimborso del resto legato alla crescita con nuove condizioni favorevoli. In tale contesto, profitteremo del processo di verifica della gestione internazionale del debito. La non-sostenibilità del debito greco e dei debiti degli altri paesi europei è incontestabile.
Obiettivo di un governo di sinistra, grazie ad alleanze appropriate e in particolare con i governi del Sud, sarà la realizzazione di una conferenza europea e internazionale sul debito pubblico, che deve essere organizzata in modo da offrire una soluzione comune e praticabile a un problema europeo, allo scopo di organizzare una cancellazione dei debiti pubblici senza disintegrazione sociale.
Il risultato di un tale accordo potrebbe essere una moratoria sul rimborso del debito, con un equilibrio [per il rimborso] legato alla crescita e all’occupazione, sul modello delle decisioni prese per la Germania nel 1953. Il nostro obiettivo è di comunicare e di giungere a una soluzione giusta e praticabile per tutti i popoli dell’Europa. Le azioni unilaterali, per esempio una cessazione dei pagamenti, saranno intraprese se saremo costretti a intraprenderle al fine di difendere il diritto del nostro popolo alla sopravvivenza.
5. NAZIONALIZZAZIONE DELLE BANCHE
SYRIZA non si oppone al programma di ricapitalizzazione delle banche, anche se è cosa ben diversa dalla loro nazionalizzazione.
È noto che la ricapitalizzazione si inscrive nel quadro del programma PSI [Private Sector Involvment]. SYRIZA non aveva accettato questo programma di scambio di obbligazioni (décote) = [sostituzione delle vecchie obbligazioni con altre a scadenza più lunga e minor rendimento] e lo aveva giudicato insufficiente, in più questo programma era anche una rapina sui fondi di sicurezza, le entità giuridiche di diritto pubblico (ospedali, università ecc.) nonché verso le persone fisiche.
Tuttavia, questo programma non può essere interrotto nel corso di questa fase di ricapitalizzazione delle banche senza un crollo bancario. Di conseguenza SYRIZA non si oppone alla ricapitalizzazione delle banche in conformità con l’accordo specifico di prestito che prende in carico tale ricapitalizzazione. L’unica differenza è che ciò deve farsi con le azioni ordinarie, dopo un voto (e non senza un voto come deciso dal PASOK e ND nel quadro del loro governo di coalizione sotto L. Papademos).
La ricapitalizzazione delle banche con azioni ordinarie, dopo un voto, si tradurrà in un ritorno alla proprietà dello Stato nazionale. Questa nazionalizzazione delle banche è particolarmente necessaria, e assolutamente necessaria in un governo di sinistra,
Un governo di sinistra non farà solo la nazionalizzazione delle banche, ma le socializzerà, il che significa che saranno sotto controllo del sociale e dello Stato, affinché siano utilizzate per la realizzazione di un nuovo sviluppo, un credito produttivo e sociale e una politica finanziaria destinata a coprire i bisogni sociali.
6. CONTROLLO DELLO STATO SULLE IMPRESE STRATEGICHE
Una direzione strategica fondamentale di SYRIZA sarà il controllo dello Stato sui settori strategici dell’economia (ad es. energia, telecomunicazioni, ferrovie, porti, aeroporti ecc.). In tale contesto, le imprese strategiche saranno poste progressivamente sotto il controllo dello Stato, sia quelle che sono nel processo di privatizzazione sia quelle già privatizzate (DEH, OTE, OSE, ELTA, EYDAP, trasporti pubblici, ecc.).
Il calendario, il modo, la rapidità e i mezzi con i quali il programma strategico fondamentale e non negoziabile si concretizzerà, saranno determinati in modo preciso dal governo della sinistra sulla base delle circostanze specifiche, delle capacità e dei problemi ai quali dovrà far fronte.
In ogni caso, le privatizzazioni previste dai Fondi di sviluppo degli attivi della Repubblica ellenica saranno immediatamente sospese.
7. RIDISTRIBUZIONE RADICALE DELLA RICCHEZZA
Una politica fondamentale e immediata di SYRIZA sarà la ridistribuzione radicale delle ricchezze per mezzo della quale tenteremo fra l’altro di applicare una nuova strategia di giustizia sociale, di crescita e di ricostruzione produttiva. Lo strumento di base per una tale ridistribuzione radicale delle ricchezze sarà un nuovo sistema di tassazione giusto e funzionale, semplice, che fra l’altro faciliterà la lotta graduale ed efficace contro la frode fiscale e l’economia sommersa, contemporaneamente a una riorganizzazione dei meccanismi di tassazione.
I membri di SYRIZA non devono esprimere sui media le proposte personali in materia di fiscalità, per quanto possano apparire giuste e corrette a prima vista, tanto le questioni fiscali sono complesse e necessitano di conoscenze particolari. Presenteremo presto un programma comprensibile di 4 o 5 misure di ridistribuzione delle ricchezze.
8. PRELEVAMENTI D’URGENZA, SALARI, RAPPORTI DI LAVORO
Nel quadro di una ridistribuzione equa della ricchezza nazionale e del sostegno dei salari e dei rapporti di lavoro, SYRIZA vuole:
a) come promesso, procedere a un miglioramento di tutti i prelevamenti d’urgenza, con l’annullamento immediato per i redditi deboli e medi e anzitutto per i disoccupati, i lavoratori a basso reddito e i pensionati a basso reddito e tutti coloro che vivono al di sotto della soglia di povertà.
b) Cominciare immediatamente a ristabilire il salario minimo, i sussidi di disoccupazione e le pensioni minime e annullare immediatamente l’abolizione della contrattazione collettiva, e ristabilire e restaurare l’istituto di arbitraggio.
Il nostro obiettivo è di ridistribuire i redditi dal basso in alto con l’annullamento immediato dei tagli lineari e delle misure di austerità che aggravano la recessione. SYRIZA favorirà dunque l’aumento progressivo dei salari e delle pensioni, anzitutto per quelli bassi, contemporaneamente con la crescita e la ricostruzione dell’economia greca allo scopo di stabilire salari e pensioni per un livello di vita umano e degno.
9. ESTORSIONI
La possibilità di uscita di un paese dall’euro è utilizzata come ricatto nella prospettiva di queste elezioni. Per noi, questa possibilità non può essere la scelta dei nostri partner, a meno che non abbiano deciso la distruzione dell’euro e lo smantellamento dell’eurozona. In tal caso, però, saremo messi di fronte a una evoluzione in tutto il mondo alla quale solo un governo della sinistra basato sulla priorità di proteggere i deboli e avere un piano che metta la coesione sociale come priorità, potrebbe far fronte in maniera sufficiente ed efficace.
Parti delle note dei memorandum hanno largamente utilizzato questa falsa dicotomia per un ricatto sul voto al popolo greco, allorché gli analisti internazionali confermano che il costo di un crollo dell’eurozona sarebbe enorme. Se un paese abbandona la moneta comune, i mercati anticiperanno l’uscita del paese seguente creando così un effetto domino.
Nessuna autorità politica vuole questo, ed è nell’interesse di tutti i popoli cercare una soluzione europea comune, che permetta di evitare il proseguimento della catastrofe in Grecia e l’inizio della catastrofe in altri paesi europei. La prospettiva di un crollo dell’eurozona diventa tuttavia sempre più probabile se continuano le politiche dei memorandum.
L’Europa dei memorandum è votata al fallimento. Ogni volta che viene avanzato l’argomento che l’annullamento del memorandum potrebbe interrompere il finanziamento del paese e lo metterebbe sulla via dell’uscita dall’eurozona, SYRIZA risponderà che l’uscita dalla zona euro non è il nostro obiettivo.
Al contrario, diventerà inevitabile se continuano i memorandum.
In ogni caso, non cederemo al ricatto dominante che viola il nostro programma anti-memorandum, progressivo e di crescita, senza il quale la distruzione del paese, all’interno o all’esterno dell’eurozona, potrebbe essere fatale e totale.
Di conseguenza, il cammino che proponiamo non sarà cosparso di petali di rosa, possono esserci difficoltà ma c’è una strada che condurrà il paese nella prospettiva di un’uscita dalla crisi con giustizia, democrazia e dignità.
Comitato di coordinamento politico, SYRIZA – United Front social

* Okeanos, 2 juin 2012 : http://www.okeanews.fr/syriza-le-ma...
Traduzione di Gigi Viglino

14 giugno 2012

14/06 Verona - Blockupy DdL Fornero

Sinistra Critica sostiene e appoggia la campagna RivoltailDebito e invita a partecipare all'iniziativa Blockupy DdL Fornero


13/14/15 giugno: giornate di mobilitazione nazionale contro il DDL Fornero di riforma del mercato del lavoro che cancella di fatto l'art.18 e rende tutte/i più precari e poveri, contro il ricatto del pagamento del debito pubblico e del pareggio di bilancio, contro la crisi e chi l'ha provocata.



GIOVEDì 14/06 - Piazza Dante / Verona

COSTRUIAMO LA MOBILITAZIONE SOCIALE in tutto il Paese, in tutte le piazze per respingere la frammentazione e la contrapposizione imposte dalle politiche liberiste e di austerità

perché non ci esproprino il nostro futuro!

ore 21 voci e parole su crisi, debito, riforma del lavoro, mobilitaizoni sociali

ore 21,45 proiezione del film-documentario CATASTROIKA - privatization goes public
(dagli autori di Debitocracy, la svendita dei servizi pubblici, dalla rapina neoliberista della Russia dagli anni Ottanta alla Grecia di oggi, dalle imprese della Thatcher al referendum sull'acqua in Italia)


RIVOLTA IL DEBITO - Verona

11 giugno 2012

13 e 14 giugno – Blockupy DDL Fornero

In molte città e a Roma scioperi, blocchi, occupazioni contro la deregolamentazione del mercato del lavoro
Siamo precari, studenti, partite Iva. Siamo donne e uomini, operai e lavoratori della conoscenza, nomadi e/o stanziali, con o senza documenti. Siamo le figure del lavoro contemporaneo, siamo le figure nuove e vecchie dello sfruttamento. Siamo noi, più di tutti, ad essere colpiti dalla crisi del capitalismo globale e finanziario.
Dopo che la Bce, negli ultimi tre mesi, ha regalato già 1.000 miliardi a tutte le banche europee, e mentre si sta decidendo, in questo momento, se gli Stati e la Bce devono risolvere la crisi di liquidità delle banche spagnole, la disoccupazione in Europa ha raggiunto l'11% e in alcuni paesi la disoccupazione giovanile supera il 50% (è il caso della Spagna; in Italia è del 35%). Il Fiscal Compact impone ovunque misure di austerità che si traducono, in tutti i paesi, in riforme che cancellano il welfare e i diritti dei lavoratori. Dalla Grecia all'Italia, passando per la riforma del governo Rajoy in Spagna, si sta costruendo un mercato del lavoro senza regole o dove l'unica regola è la sottoretribuzione e la precarietà. In Germania, tra l'altro, dove vige quasi il pieno impiego, ci sono circa 6 milioni di tedeschi che percepiscono un salario da fame (9.50 lordi l'ora all'Ovest, 6.87 lordi all'ora all'Est), mentre il lavoro interinale è stato completamente deregolamentato.
Il DDL Fornero, già approvato con la fiducia (nonostante non sia un decreto d'urgenza) al Senato, precarizza chi già era precario e chi precario non lo era ancora. Con la scusa di eliminare il dualismo del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali, il governo Monti ha deciso, con mossa neoliberale, di livellare tutto verso il basso. Non si sfoltisce la giungla della contrattazione atipica, non si agevola il lavoro stabile, anzi, non si sostengono i lavoratori autonomi di nuova generazione, ma li si penalizza con l'aumento scellerato delle aliquote della già fasulla gestione separata dell'Inps. Con l'Aspi e il mini-Aspi si elimina la mobilità, estendendo miseramente il sussidio di disoccupazione, ma si riducono i tempi di erogazione del sussidio e di certo non si procede nell'istituzione di un vero e proprio reddito minimo garantito, misura ormai ritenuta necessaria dallo stesso Parlamento europeo. Un DDL fatto in nome dei giovani che colpisce i giovani e distrugge il diritto del lavoro, eliminando l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e rafforzando ulteriormente l'articolo 8 dell'ultima manovra finanziaria del governo Berlusconi (distruzione della contrattazione nazionale collettiva a favore della contrattazione aziendale).
Di fronte a questo scempio sarebbe stata necessaria e urgente la convocazione, da parte della CGIL, di uno sciopero generale, così come aveva deciso e annunciato, tra l'altro, la segreteria. Dopo l'accordo tra Pd e Monti, lo sciopero non è stato indetto, mentre la capogruppo del Pd in Senato Anna Finocchiaro, nella dichiarazione di voto favorevole, ha osannato il DDL e la ministra Fornero scatenando le ire e lo sdegno persino degli elettori e dei tesserati del Pd.
Nel vuoto dell'iniziativa politica e sindacale, fatta eccezione dell'iniziativa della FIOM e di alcuni settori del sindacalismo di base, abbiamo deciso di rompere il silenzio e rimetterci in cammino. Di farlo a partire dall'esigenza di costruire una coalizione sociale ampia, che sappia opporsi oggi al DDL Fornero, ma più in generale alle politiche neoliberali di Monti e della troika. Scegliere e costruire la coalizione, significa comprendere che ciascun soggetto non è autosufficiente, ma esiste l'urgenza di resistere ad un'offensiva senza precedenti, in un tornante della storia altrettanto inedito.
Con questo spirito abbiamo costruito un percorso condiviso che si riconosce nella sigla comune Blockupy DDL Fornero. Uno spazio pubblico di movimento, un luogo di incontro tra forze sindacali, reti studentesche, centri sociali, reti del lavoro autonomo di nuova generazione e della conoscenza, gruppi e associazioni che difendono i beni comuni.
Abbiamo deciso di organizzare e promuovere due giornate di mobilitazione per il 13 e 14 di giugno. Due giornate che vedranno nel 13 un momento di azione e mobilitazione dislocate in diverse città e nel 14 un'occasione di convergenza nazionale. A Roma la piazza comune sarà piazza del Pantheon (il 13 a partire dalle 17 e il 14 dalle 14). Le due giornate si connettono con le mobilitazioni, territoriali e nazionali, indette dalla FIOM, contro il DDL e contro la crisi più in generale, con il festeggiamento dello straordinario risultato referendario di un anno fa, con il festeggiamento di un anno di occupazione del Teatro Valle. Due giornate che vogliono incidere sul dibattito parlamentare e bloccare l'approvazione del DDL. Due giornate che vogliono rilanciare, con intelligenza, la possibilità di combinare assieme conflitto ed estensione del movimento, oltre i soggetti organizzati, oltre le forme “classiche” di organizzazione.
Mentre l'Europa affonda per colpa delle banche e i governi ci impoveriscono, noi non resteremo a guardare. In tutta Italia e a Roma ci rimettiamo in movimento, per “esonerare il commissario tecnico” Monti, per riprendere in mano il nostro futuro.
Blockupy DDL Fornero
Vai al blog di Blockupy DDL Fornero

03 giugno 2012

All’ordine del giorno: il rilancio della distruzione sociale ed ecologica

di Daniel Tanuro*
La crescita è tornata nel discorso politico. La Confederazione Europea dei Sindacati (CES) la rivendica da più anni. François Hollande ne ha fatto un tema principale della sua campagna elettorale. I socialdemocratici la domandano in tutti i paesi, in particolare in Germania. Anche la destra la richiede, in particolare attraverso le parole di Mario Draghi – presidente della Banca Centrale Europea - e di Herman Van Rompuy – Presidente del Consiglio europeo. Anche Angela Merkel sussurra che l’austerità non è più sufficiente, bisogna rilanciare la crescita…

“Nel contesto delle riforme”

La CES ha torto a rallegrarsi di questi sviluppi (1): si tratta di un rilancio nel quadro dell’austerità. Limitato dall’ampiezza dei deficit e sottoposto alla legge del profitto, questo molto ipotetico rilancio non sopprimerà la disoccupazione di massa, servirà da pretesto per nuovi attacchi antisociali e antidemocratici, e aggraverà la crisi ecologica. Piuttosto che lasciarsi ingannare dagli effetti speciali di questo propagandistico (mini) cambiamento nella continuità, bisogna vederci un incoraggiamento a intensificare la lotta e a costruire dei rapporti di forza in vista di un’alternativa degna di questo nome: un altro modello di sviluppo, sociale e ecologico, basato non sulla crescita, ma sulla divisione del lavoro e delle ricchezze, nel rispetto dei limiti ambientali.
“C’è oggi un consenso sempre più netto su cosa bisogna fare per creare della crescita e degli impieghi nel contesto delle riforme di bilancio e strutturali” in atto in Europa. Questa dichiarazione del Presidente Obama al recente summit del G8 mostra chiaramente i limiti delle gesticolazioni sul rilancio. Il fondo del problema in effetti è lo stallo nel quale si trova il capitalismo mondiale. Questa impasse può essere schematizzata con una formula molto semplice: da un lato non è possibile ritornare al modello keynesiano dei Trenta Gloriosi (in ragione della massa di debiti, necessiterebbe una ridistribuzione radicale delle ricchezze); d’altro canto il modello neoliberale che ha permesso di ristabilire spettacolarmente il tasso di profitto è deragliato nel 2008 e non può essere rimesso sui binari (perché l’aumento dell’indebitamento non permette più di assicurare degli sbocchi artificiali al capitale).
Ci vorrebbe un terzo modello, ma non c’è, il capitalismo esiste solo in due varianti: la regolazione e quella che Michel Husson ha elegantemente chiamato “capitalismo puro” (2). Di conseguenza, le classi dominanti, in particolare in Europa, non hanno altra soluzione che la fuga in avanti neoliberale, vale a dire la distruzione implacabile dei resti dello “Stato provvidenza”, fatto che, vista la resistenza sociale, necessita    a sua volta di uno scivolamento rapido verso un     regime politico semi-despotico. È solo nella misura in cui questa vasta offensiva di regressione sociale e democratica darà i risultati scontati che dei margini di bilancio    saranno disponibili per la   cosiddetta “politica di crescita”.
È questo che Obama vuol dire quando precisa che questa politica è da condurre “nel contesto delle riforme di bilancio e strutturali”. Le indicazioni date da Mario Draghi esplicitano di cosa si tratta: riforma del mercato del lavoro, riduzione del “costo salariale”, più flessibilità e più precariato, allungamento della carriera professionale… (3).

Dei margini? Quali margini?

Sarebbe criminale sbagliarsi: è la guerra che continua. Una guerra di classe impietosa, come l’ha riconosciuto il miliardario americano Warren Buffet. È siamo lontani dalla sua fine. A causa dell’enorme massa di debiti privati trasformati in debiti pubblici, vista la resistenza alla quale il mondo del lavoro è confrontato e vista la profonda crisi del regime politico che contagia tutti i paesi uno dopo l’altro, i margini di bilancio disponibili per il rilancio non possono che essere molto limitati.
Supponendo che la Germania consenta (e sarebbe strano) la mutualizzazione dei debiti attraverso un meccanismo di euro-obbligazioni, questi eurobonds non fornirebbero comunque un gran margine di manovra, dato che aumenterebbero i costi di finanziamento dei paesi “sani” del Nord dell’Europa abbassando quelli dei paesi malati del Sud del continente. Che altro? Lasciar sfuggire il deficit? Mollare le redini dell’inflazione? I “mercati” sono contrari e hanno i mezzi per imporre la loro volontà. I “project bonds” con i quali la Commissione europea vuole finanziare dei progetti trans europei di trasporto, d’energia e d’innovazione? Non permetterebbero di rastrellare che 230 miliardi di Euro. La ricapitalizzazione della Banca Europea di Investimento? Si parla di al massimo 10 miliardi d Euro… Ebbene, delle somme di questo tipo sono totalmente insufficienti al finanziamento del vasto piano di investimenti pubblici che potrebbero contribuire a vincere la disoccupazione strutturale di massa attuale.

Non dimenticare “l’altra crisi”

In questo contesto, la sinistra ha tendenza a dimenticare un po’ la crisi ecologica. Vista l’urgenza sociale, è un errore comprensibile, ma è pur sempre un grave errore. Si tratta infatti di non perdere di vista che le costrizioni ecologiche costituiscono un fattore fondamentale e radicalmente nuovo della situazione sociale. Un fattore centrale dato che una strategia sociale e economica che non offrisse nel contempo una via di uscita dalla distruzione ambientale confronterebbe immancabilmente gli sfruttati con dei problemi e delle sofferenze supplementari.
Di cosa di tratta?  In primo luogo dell’angosciante sfida climatico-energetica. Ricordiamo brevemente i dati che emergono dal rapporto del Gruppo di esperti Intergovernativo sull’Evoluzione del Clima (GIEC). Per avere un 50% di possibilità di non superare di troppo i 2° C di aumento della temperatura della superficie della Terra, bisogna realizzare simultaneamente le condizioni seguenti:

- Ridurre del 50-85% le emissioni mondiali di gas a effetto serra entro il 2050;
- Iniziare questa riduzione al più tardi nel 2015;
- Ridurre dell’80-95% in rapporto al 1990, le emissioni assolute di gas a effetto serra nei paesi sviluppati entro il 2050; attraverso  una tappa inermedia dal 25 al 40% entro il 2020;
- Ridurre dal 15 al 30% le emissioni relative dei paesi in via di sviluppo (per rapporto alle proiezioni “business as usual”).
Per capire che cosa concretamente questo implichi, devono essere presi in considerazione tre elementi:
1°) il diossido di carbonio è il principale gas a effetto serra;
2°) il CO2 è l’inevitabile prodotto di ogni combustione di combustibili a carbonati, in particolare dei combustibili fossili;
3°) questi combustibili fossili coprono l’80% dei bisogni energetici dell’umanità.
Di conseguenza, evitare un cambiamento climatico irreversibile (su scala temporale umana) non è possibile che attraverso un’uscita accelerata dal carbone, dal gas naturale e dal petrolio. Questo necessita non solo una formidabile transizione mondiale verso le energie rinnovabili, ma anche una riconversione delle industrie petrolchimiche, dato che sono basate sul petrolio come materia prima.
Il potenziale tecnico delle energie rinnovabili è ampiamente sufficiente per riuscire questa transizione energetica, ma il loro potenziale economico (vale a dire la loro competitività in rapporto ai fossili) è e resterà probabilmente insufficiente per due o tre decenni. Inoltre, la transizione richiede degli investimenti giganteschi in un nuovo sistema energetico decentralizzato, questi investmenti necessitano di energia e questa energia, a inizio transizione, è in maggioranza fossile, dunque fonte di emissioni supplementari di gas a effetto serra…

Rilancio… della distruzione ecologica

Conclusione: il capitalismo verde è altrettanto illusorio che quello sociale, e la combinazione dei due non è altro che un pio desiderio puro e semplice. Visto l’imperativo della competitività e in un contesto di concorrenza, il rilancio della crescita capitalista non implicherebbe solamente un’accentuazione drastica dell’offensiva di austerità neoliberale e un concomitante arretramento dei diritti democratici, ma anche un’autentica catastrofe eco-sociale di un’ampiezza tale che la nostra immaginazione riesce appena a intravvederne i contorni.
Non si tratta qui di sviluppare delle escatologie, ma di prendere sul serio le proiezioni d’impatto realizzate sulla base dei modelli climatici, precisando che queste sono inferiori alla realtà dei fenomeni osservati. Sulla base degli impegni attuali dei governi (ma saranno rispettati?), possiamo prevedere un aumento della temperatura di 3,5-4 °C nei prossimi 80 anni, in rapporto all’era preindustriale. Questo ci fa temere un aumento dei livelli degli oceani di un metro o di più entro fine secolo, un’intensificazione drastica dei problemi di accesso all’acqua dolce (che colpisce già un miliardo di persone), una moltiplicazione dei fenomeni meterologici estremi, una perdita netta della produttività agricola su scala mondiale e un declino importante della biodiversità. Più di un miliardo di esseri umani saranno così confrontati a un peggioramento delle loro condizioni di esistenza, e di diverse centinaia di milioni sarà minacciata la sopravvivenza. L’immensa maggioranza di queste vittime saranno – e sono già - dei poveri nei paesi poveri… che non portano nessuna o poca responsabilità nel cambiamento climatico.

Un altro modello di  sviluppo

L’idea secondo la quale una soluzione parziale dei problemi sociali e ecologici potrebbe risultare da un rilancio della crescita è dunque da abbandonare. È il contrario a essere vero. In particolare, la piaga della disoccupazione di massa permanente -24 milioni di disoccupati recensiti nell’UE! - non è per nulla il prodotto di una mancanza di crescita economica: risulta dalla politica neoliberale che vuole che i guadagni di produttività siano utilizzati per ingrassare i profitti degli azionisti, e non per ridurre il tempo di lavoro. Quanto alla transizione energetica, non arriverà attraverso il mitico capitalismo verde –forzatamente neoliberale- ma unicamente da un piano pubblico volontarista di investimenti nell’efficienza energetica e le rinnovabili. Ebbene, nei termini prescritti dal GIEC, un tale piano non è seriemente attuabile senza l’annullamento del debito illegittimo e con l’appropriazione pubblica di settori della finanza e dell’energia, attraverso nazionalizzazioni senza indennizzo e senza possibilità di riacquisto per i grossi azionisti.
Bisogna quindi rompere con il neoliberalismo… ma quest’ultimo è il solo capitalismo realmente esistente oggi. Quello che è all’ordine del giorno, e può dare una prospettiva alle lotte, è l’elaborazione di un modello di sviluppo completamente differente, su scala europea.
Un modello ecosocialista implica, per restare sull’esempio della lotta alla disoccupazione, di porre come punto di partenza che la creazione di posti di lavoro passi attraverso la redistribuzione radicale dei redditi, e non attraverso la crescita. Dunque da uno scontro con il capitale, e non attraverso il suo “rilancio”.
Sul piano ambientale, nei paesi sviluppati, questo modello passa attraverso la condivisione delle ricchezze, non il loro aumento. Bisogna anche andare più in là, e osare la parola “decrescita”. Certo non nel senso politico filosofico che certi danno a questo termine, ma nel senso letterale del termine. In effetti, per le ragioni economiche sopra esposte, il “phasing out” dei combustibili fossili in due generazioni non è realizzabile in questi paesi senza una diminuzione della produzione materiale e dei trasporti, ciò che implica delle scelte politiche come la soppressione di produzioni inutili e nocive, una vasta rilocalizzazione dell’economia, il passaggio a un agricoltura organica di prossimità,…
È la combinazione della crisi ecologica e della crisi sociale che dà alla crisi del capitalismo di oggi una dimensione sistemica, di civiltà e storica assolutamente senza precedenti. La sinistra, nelle sue elaborazioni alternative, deve essere all’altezza di queste sfide. 

* tratto dal sito www.europe-solidaire.org. Traduzione a cura della redazione di Solidarietà-Ticino
Note
1. In un comunicato del 30 aprile 2012, la CES ha scritto, a proposito della presa di posizione del Presidente della Banca Centrale Europea: “Facendo questa proposta, Mario Draghi ammette il punto di vista difeso da tempo dalla CES: l’austerità è una via senza uscita e il risanamento delle finanze pubbliche non può essere realizzato che attraverso il rilancio dell’economia e dell’impiego”.
2. Michel Husson, Un pur capitalisme, Ed. Page Deux, Lausanne, 2008.
3. Nel suo comunicato sopra citato, la CES si dice “in profondo disaccordo con l’idea sostenuta dalla BCE di basare la crescita su delle riforme del mercato del lavoro: dei salari in discesa e più lavoro precario non produrrano una ripresa economica”. In effetti. Pertanto, invece di trarne la conclusione anticapitalista che si impone, la CES vuole credere alla possibilità di una ripresa “basata su dei buoni salari, il dialogo sociale e la produzione di un modello sociale europeo”. Pie illusioni.

02 giugno 2012

Milano: Appello verso il presidio anticlericale del 2 Giugno

A fine maggio a Milano e nel Parco Nord di Bresso si svolgerà il VII Incontro Mondiale delle Famiglie, manifestazione organizzata dall’ Arcidiocesi di Milano e dal Pontificio Consiglio della Famiglia in collaborazione con la regione Lombardia, che vedrà anche la partecipazione nei giorni del 2 e del 3 giugno di Joseph Ratzinger. Un incontro che raccoglierà esponenti di tutto il mondo del potere ecclesiastico, delle lobby di Comunione e Liberazione e delle altre realtà bigotte e reazionarie. Pensiamo che sia necessario e doveroso non rimanere in silenzio di fronte a tutto questo.
Siamo cittadini/e di Milano e provincia, studenti e studentesse liceali e universitar*, siamo gay, lesbiche, bisessuali, transessuali e trans gender, siamo laici e anticlericali, siamo donne, femministe, siamo lavoratori e lavoratrici, precar*, disoccupat*, siamo antifascist*, antisessist* e antirazzist*, siamo migranti, siamo single, coppie non sposate, sex workers, siamo antimilitarist* e siamo contrari al potere del Vaticano, delle lobby cattoliche e di CL.
• Denunciamo l’operato della Regione Lombardia nel finanziare questo evento e i suoi favoritismi verso ambienti e personaggi del fondamentalismo cattolico. Contestiamo il potere sociale ed economico che CL e la Compagnia delle Opere detengono in Lombardia e in tutto il Paese, all’interno della sanità pubblica, delle scuole pubbliche, delle università statali e delle istituzioni.
Ci dissociamo dal plauso che il sindaco di Milano ha espresso per la visita del Pastore tedesco a Milano, visita che costerà al Comune denaro e risorse (4 milioni di euro che potrebbero invece essere destinati a coprire sempre più emergenti bisogni sociali) ed ai/alle singoli/e cittadini/e l’ inaccessibilità di determinate zone, l’ inibizione della libertà di movimento per chi sarà obbligato/a a tenere le tapparelle chiuse durante il passaggio del corteo; come se non bastasse i vigili urbani saranno costretti a fare straordinari, nonostante il sindacato di riferimento abbia espresso la propria contrarietà.
• Denunciamo Banca Intesa San Paolo, sponsor ufficiale scelto dagli organizzatori del VII Incontro Mondiale delle Famiglie, banca italiana che detiene il primato nel finanziamento bellico e in quello relativo alla linea ad alta velocità Torino–Lione; è inoltre l' istituto bancario che ogni anno sponsorizza il Meeting estivo di Comunione e Liberazione, a dimostrazione dell’ipocrisia dell’operato del potere ecclesiastico e delle lobby cattoliche di fronte all’unico interesse del profitto.
• Contestiamo questa “settimana delle famiglie” e la sua affermazione di un modello unico di famiglia, di relazioni e di affettività. Un modello che viene sostenuto soprattutto dalla Chiesa e dalla morale cattolica ma che è anche l’unico riconosciuto a livello legale e titolare di diritti. Oggi in Italia il welfare e i servizi pubblici sono impostati solo sulla famiglia eterosessuale tradizionale e sposata. Il familismo che ancora oggi ripropongono è di natura ideologica e non corrisponde alla vera situazione della società: aumentano i divorzi, diminuiscono i matrimoni rispetto alle scelte di coabitazione e/o di convivenza. Chiediamo quindi un altro tipo di welfare, che non sia familistico ma che garantisca diritti e servizi alla persona. L’ orientamento sessuale, l’ identità di genere, la sessualità, la scelta di convivenza e/o di matrimonio che il singolo compie non possono essere una discriminante per la garanzia di tutele e di diritti dello stato sociale.
Rivendichiamo:
- un welfare individuale che garantisca assistenza e diritti a tutt*,senza esclusione per i/le migranti
- uno stato sociale che adempia ai lavori di cura, di assistenza e di educazione, che vengono compiuti gratuitamente dalle donne (asili nido, tempo pieno a scuola, dopo scuola, ecc…)
- pari diritti e giuste tutele per i soggetti lgbt. Viviamo in un paese in cui esiste un’omofobia istituzionale e di Stato, il quale riconosce il matrimonio e l’adozione esclusivamente alle coppie eterosessuali. Chiediamo matrimonio e adozione anche per le coppie omosessuali ed eventualmente altri tipi di riconoscimenti di coppie per tutt*. Vogliamo leggi contro l’omofobia e la trans fobia e tutele reali sul posto di lavoro e di studio, che tengano in considerazione anche la situazione dei/delle migranti.
• Questo modello di famiglia propagandato non è puro folklore cattolico. È finanziato e diffuso dalle istituzioni perché è funzionale al sistema. Infatti se oggi il governo tecnico rilancia politiche economiche volte a smantellare completamente qualsiasi diritto, tutela o servizio sociale, lo fa sicuro di poter contare sulla famiglia come sistema di welfare di sicurezza, da sempre in Italia la “gamba dello stato sociale”, e sulle donne come manodopera gratuita che si occupa di tutti quei lavori di cura che lo stato non garantisce più. È quindi in quest’ottica che si sostiene nuovamente una retorica veterofamilista e in questo modo si vanno a colpire quei soggetti, come le donne e i soggetti lgbt, che in famiglia vedono un luogo di oppressione, sfruttamento e/o esclusione.
Contestiamo quindi l'appoggio del Vaticano al governo Monti e alle sue politiche di austerity. E’ noto ormai a tutt* il danno delle politiche di liberalizzazione e privatizzazione che negli ultimi 20 anni i governi di centro-destra e di centro-sinistra hanno attuato e oggi il governo tecnico rilancia queste stesse politiche come cura per uscire da un debito che non abbiamo contratto noi. Assistiamo così alla distruzione dello stato sociale, ad un attacco ferocissimo ai diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, e ad un incremento delle entrate statali (dirette e indirette). Le prime a pagare questa crisi sono le donne, alle quali spetterà essere quell’ammortizzatore sociale non più garantito dallo Stato; i tagli alla Sanità, all’istruzione, ai sussidi famigliari saranno controbilanciati da un aumento dei lavori di cura e di assistenza non retribuiti delle donne.
L’attacco al mondo del lavoro, l’impossibilità di un posto di lavoro, la disoccupazione crescente, costringono oggi parlare non più di lavoro precario, ma di vita precaria.
• Difendiamo il valore della laicità ed auspichiamo il superamento del modello concordatario. Contestiamo il favoritismo che lo Stato, alcuni politici, i mass media, le Istituzioni hanno mostrato e talvolta rivendicato nei confronti della religione cattolica e del Vaticano, delegando alla cosiddetta “libertà di coscienza” le decisioni di maggiore rilievo per la cittadinanza. L'applicazione alla sfera collettiva di valori etico-religiosi, assoluti e non negoziabili e la loro imposizione all'intera cittadinanza in forza di legge, non è laicità. Muoviamo una forte critica nei confronti di quelle normative che prevedono l’obiezione di coscienza per i medici, in quanto forma di appropriazione dei corpi che rendono impraticabile la vera autodeterminazione (in Lombardia nel 2010 i ginecologi obiettori erano in media il 64%, con punte dell'84% a Niguarda, all'AO Valtellina di Sondrio ed al S. Anna di Como).
Chiediamo la tassazione delle proprietà ecclesiastiche e la totale chiusura dei finanziamenti pubblici alle scuole private religiose, l’abolizione dell’ora di religione cattolica nelle scuole e l’eliminazione dei simboli religiosi nei luoghi pubblici.
• Siamo anticlericali, contestiamo la visita di Benedetto XVI a Milano, pontefice da un passato fin troppo noto e rappresentante della gerarchia ecclesiastica. Vogliamo liberarci dall’oppressione vaticana, dal suo controllo diretto e indiretto delle nostre vite e della cultura, dalla sua sessuofobia, dalla sua omofobia e dal suo sessismo dai toni medievali. Gli attacchi che quotidianamente il Vaticano sferra contro l’autodeterminazione delle donne sui loro corpi, contro i soggetti lgbt, contro i metodi contraccettivi, contro la ricerca scientifica e la richiesta di testamento biologico, mostrano la vera natura di quest’istituzione.
Non critichiamo la scelta individuale di aderire ad una religione, ma non ci sottomettiamo e anzi ci ribelliamo quando la religione di alcun* limita la libertà di altr*.
Questa settimana delle famiglie è una debole operazione di maquillage per nascondere la perdita di presa sulla società e la situazione di crisi in cui si trova il Vaticano (scandali di pedofilia, diminuzione dei matrimoni religiosi – 20% in meno rispetto al 1991-, crisi delle vocazioni, affarismo, corruzioni finanziarie e l'appoggio al modello machista di Berlusconi).
Per questi motivi lanciamo un appello a tutt* per partecipare ad un presidio anticlericale il 2 giugno a Milano, per manifestare nelle strade di Milano la nostra contrarietà alla visita del Papa, al potere delle lobby cattoliche e allo stesso tempo per rivendicare diritti, libertà e un welfare rispettoso delle esigenze di tutt*.
4 Maggio 2012
Collettivo lgbit Tabù
Collettivo femminista Chicas en revuelta
Collettivo femminista Shora
Coordinamento femminista Ovul-Azione
Collettivo Casiraghi
Collettivo ResisTenca
Fatelargo.tk
Deragliamento Collettivo- AteneinRivolta Milano
KOB (Kollettivo Omosessuale Bicocca)
GayStatale (Università degli Studi di Milano)
Arci Lesbica Zami Milano
Arcobaleni in marcia
Femminismo a sud
Arcigay Pianeta Urano Verona
Associazione Attivisti Gay Harvey Milk
Sinistra Critica Milano
Sinistra Critica Bresso
Giovani Comunisti Milano
UAAR. Unione atei agnostici razionalisti
Collettivo Scighera – Circolo ARCI Scighera
Associazione culturale Voci di Mezzo
ListediSinistra – Università degli studi Milano-Bicocca
Rete Genitori Rainbow
Rust’n'Dirt
per info e adesioni: collettivo.tabu@hotmail.it ; http://noalpapa.altervista.org/