28 luglio 2012

LAVORO E SALUTE SONO INSCINDIBILI ANCHE ALL’ILVA DI TARANTO



Di fronte alla gravissima situazione verificatasi all’ILVA di Taranto Medicina Democratica ritiene di dover prendere una posizione chiara e netta di appoggio alla decisione del GIP Patrizia Todisco di procedere al sequestro preventivo degli impianti in alcuni reparti della produzione “a caldo” altamente inquinanti per l’ambiente esterno.
E’ il risultato questo di anni della volontà di profitto da parte delle direzioni aziendali che supera qualsiasi interesse per la salute e la vita dei lavoratori e dei cittadini. I dati sono impressionanti: i morti e i malati si contano a migliaia.
Senza un’imposizione pubblica sia delle amministrazioni statali e regionali, siamo certi che l’azienda non si muove, soprattutto nel momento in cui il ricatto occupazione è fortissimo.
Medicina Democratica ritiene CHE SALUTE DEI LAVORATORI E DEI CITTADINI INQUINATI VENGA AL PRIMO POSTO, rispetto alle esigenze produttive e di profitto. Nessun lavoratore deve essere costretto a lavorare sotto ricatto occupazionale in luoghi di lavoro altamente inquinanti. Nello stesso tempo nessun cittadino deve ammalarsi per l’inquinamento prodotto dalla fabbrica.
Le bonifiche dei reparti inquinanti dell’ILVA si devono fare e con i soldi aziendali; chi ha fatto enormi profitti deve ora rimediare, anche in relazione a quanto stabiliscono le direttive comunitarie (chi inquina paga): i soldi di stato e regione dovranno servire solo in via emergenziale, sui territori circostanti la fabbrica e con richiesta di rivalsa nei confronti di chi ha provocato il disastro ambientale doloso.
Medicina Democratica ritiene che debba essere salvaguardata l’occupazione e che i lavoratori stessi debbano essere impiegati, IN CONDIZIONI DI SICUREZZA, nelle operazioni di bonifica una volta avvenuto il dissequestro. Non è possibile fare solo piccoli aggiustamenti di facciata, come alcune parole del Ministro Clini lasciano presagire, magari alzando a livello normativo i valori limite delle sostanze.
Medicina Democratica ritiene che le indagini epidemiologiche e ambientali che sono state fatte e che particolarmente hanno prodotto l’intervento della Magistratura sono più che sufficienti per iniziare il grande lavoro di bonifica che deve vedere impiegati per primi i lavoratori dello stabilimento e non meno le associazioni di cittadini che hanno lottato contro l’inquinamento di Taranto.
MEDICINA DEMOCRATICA infine ritiene che la situazione tarantina è spia di una situazione di fondo che mette spesso i lavoratori contro i cittadini (e in qualche caso le due situazioni coincidono, perché è proprio il lavoratore ad abitare nelle zone più inquinate).
Ecco perché in prospettiva Medicina Democratica ritiene che si debba andare a una riconversione ecologica dell’economia attraverso un progressivo processo di fuoriuscita da tutti i CICLI LAVORATIVI GRAVEMENTE INQUINANTI. L’alternativa è data dall’investimento in altri settori: agricoltura biologica valorizzando le risorse locali (KM0), le piccole/grandi opere per difendere il territorio (rischio alluvioni, sismico etc), difesa dell’industria manifatturiera di qualità, le energie alternative, a partire dal fotovoltaico.
Medicina Democratica ritiene che tale programma deve essere portato avanti con tutte le forme possibili, anche di autogestione dal basso, pretendendo anche l’impegno del Governo che si deve occupare dell’improcrastinabile programma proposto, invece di sostenere gli interessi della speculazione finanziaria e di salvaguardare comunque rendite e patrimoni.

Il direttivo nazionale di MEDICINA DEMOCRATICA

27 luglio 2012

“Ilva:nessuna deroga alla salute”

Taranto: dichiarazione di Sergio Bellavita, segretario nazionale Fiom Cgil
Capisco i lavoratori dell'Ilva di Taranto che stanno protestando contro le decisioni della magistratura sulla fabbrica dei veleni. Quando il ricatto e' tra lavoro velenoso e miseria si sa cosa prevale. Capisco i lavoratori ma non capisco le grandi organizzazioni sindacali. La salute, la sicurezza sono diritti dai quali non si può e non si deve derogare. Quegli stessi diritti, minimi peraltro, che come sindacato rivendichiamo in tutte le imprese.
Molto spesso con denunce e esposti agli organismi preposti a far rispettare leggi persino lacunose nella difesa del diritto alla salute ed alla sicurezza. La magistratura ha sentenziato che un'industria non può avvelenare la vita di chi lavora e di chi vive vicino a quella fabbrica. Se il sindacato non difende questa sentenza cade nella drammatica contraddizione di non pretendere che diritto alla salute, alla sicurezza e il diritto al lavoro siano legati indissolubilmente.
Un'altra "deroga" che si afferma nella pratica, destinata a pesare nelle scelte dei prossimi anni.


Il padrone delle ferriere che soffoca Taranto

di Francesco Maresco
ilmegafonoquotidiano.it
Il Giudice delle indagini preliminari, dopo aver depositato, già da diversi giorni, le conclusioni dell’indagine sulla situazione ambientale a Taranto, in rapporto alle emissioni in atmosfera, in mare e sul terreno, causate dall’Ilva, ha sequestrato gli impianti dell’area ghisa (cokerie, il camino E 312 dell’agglomerato e gli altiforni), e messo agli arresti domiciliari 6 dirigenti tra cui Emilio Riva, proprietario dello stabilimento e suo figlio Nicola (in realtà fatto dimettere alcuni giorni fa proprio in previsione di questo provvedimento insieme al massimo gruppo dirigente).
I "Soloni" dello stabilimento hanno agito in anticipo per non restare senza dirigenti. Infatti, sono stati sostituiti immediatamente con altri dirigenti già presenti in fabbrica, mentre Nicola Riva è stato sostituito dall’ex prefetto di Milano, Ferrante (lo stesso che era stato candidato per il centrosinistra a Milano contro la Moratti prima di Pisapia).
Nei giorni scorsi, in previsione di questo provvedimento ci sono state diverse mobilitazioni. E ancora una volta abbiamo assistito ai capi che fomentavano in vario modo gli operai, con messaggi sms di questo tipo: “Operai non muovetevi dagli impianti, stanno per arrivare i carabinieri, presidiate”. Non si è capito bene cosa volessero che gli operai facessero. Forse “la resistenza armata?”. All’Ilva di Taranto c’è questa cappa di forte influenza che "patròn" Riva ha sugli operai attraverso i capi e i dirigenti, esercitata non solo tramite la paura, ma, soprattutto, perché i lavoratori sono stati lasciati negli anni alla mercé delle pressioni e dell’ideologia padronale. Mentre le organizzazioni sindacali, nonostante un buon numero d’iscritti, pensano più a litigare fra loro che a mettere un argine alla prepotenza dei capi e dirigenti.
Comunque, ieri 26 luglio, quando la notizia del sequestro si è diffusa la rabbia è esplosa. Oltre cinquemila operai si sono riversati sulle strade che fiancheggiano lo stabilimento, principalmente la strada statale Appia. Poi, un lungo corteo è venuto verso la città, attraversando la Taranto antica, bloccando il famoso Ponte girevole, uno degli snodi della città. Quando lo stabilimento era dello Stato, i governi che si sono succeduti hanno sempre fatto orecchie da mercante nonostante le mobilitazioni degli operai che si rifiutavano di intervenire su impianti molto malsani. Il sindacato Flm (allora sigla unitaria che riuniva Fiom, Fim e Uilm) coniò uno slogan molto bello: “La salute non si vende”. Giusto. Ma dopo qualche anno di lotte per ambientalizzare lo stabilimento, a vuoto, i lavoratori completarono quello slogan con: “La salute non si vende... ma nemmeno si regala”. Con la privatizzazione le cose si sono complicate. La vecchia classe operaia, stanca e demotivata, già in parte uscita col prepensionamento, è stata definitivamente decimata da una nuova ondata di prepensionamenti dovuti alla legge sull’esposizione all’amianto. La nuova classe operaia, assunta soprattutto grazie ai contratti di formazione-lavoro e altri ancora più precari, è stata lasciata alla mercé dei nuovi proprietari: la famiglia Riva. Il nuovo gruppo dirigente ha formato questi lavoratori a propria immagine, portando un attacco senza precedenti alle organizzazioni sindacali. Basta pensare che le iscrizioni sono passate dal 70- 80% nell’azienda pubblica a meno del 30% dopo la privatizzazione. Fra gli impiegati si è passati invece da circa il 50% a zero. E' anche vero che le segreterie dei tre sindacati “suggerivano” ai delegati di "lasciar stare" i nuovi assunti per occuparsene dopo. I risultati di questa tattica li vediamo oggi, con il sindacato che arranca dietro all'attivismo della dirigenza.
C’è da dire che alcune cose sono state fatte ma rispetto all’inquinamento che produce l’Ilva si tratta di poca cosa. Per esempio, la legge regionale per abbattere le emissioni delle diossine. Ma c’è tanto da fare per le polveri, per il benzo(a)pirene e altri inquinanti. Oggi quello che va perseguito non è il provvedimento della giudice ma la cacciata della famiglia Riva. Il governo deve prendere atto che Riva ha contribuito a massacrare Taranto, pensando poco o niente all’ambiente, accampando la scusa delle risorse economiche che ci vorrebbero per bonificare lo stabilimento e che lui non ha; nel frattempo si è riempito le tasche di profitti che la fabbrica di Taranto gli ha offerto su di un piatto d’argento.
Fra il 2000 e il 2004 ci sono stati altri tre accordi di programma per l’ambientalizzazione, stipulati alla Regione Puglia, i quali non hanno prodotto niente, ma che sono serviti a salvare Riva condannato per inquinamento e per i numerosi morti sul lavoro. Quando la condanna è giunta alla Cassazione, infatti, il Comune e la Provincia di Taranto si sono ritirati dalla costituzione di parte civile, annullando in extremis la condanna.
I lavoratori dell’Ilva si devono liberare dall’abbraccio mortale dei “padroni delle ferriere”; liberarsi dai falsi amici che i capi e i dirigenti fingono di essere. La difesa dei posti di lavoro si otterrà rivendicando l’esproprio dello stabilimento da parte dello Stato, per cambiare le tecnologie produttive, che esistono, come per esempio gli impianti Corex, già in uso in varie parti del mondo, che riducono i vari inquinanti di circa il 90%.
Non bisogna lasciare nelle mani di nessuno il vostro futuro. Auto-organizzarsi in comitati di lotta, per controllare direttamente quello che avviene nella “stanza dei bottoni”. Poiché, la salvaguardia dei posti di lavoro, il miglioramento delle condizioni di lavoro e della vivibilità della città, non potrà che essere che per opera della classe operaia stessa!

16 luglio 2012

Suggestione di una sentenza

di Ezio Menzione (avvocato)
il manifesto 14/07/2012
La Cassazione, riconoscendo legittimità ad un reato di stampo autoritario e dagli incerti confini come quello previsto dall'art.419 del Codice Penale Rocco, ha convalidato l'impianto della sentenza della Corte d'Appello di Genova che aveva stabilito che i manifestanti a Genova, nel luglio 2001 «devastarono e saccheggiarono» la città ponendo in crisi l'ordine pubblico.
La questione non è (solo) se un secolo per 10 imputati fosse troppo e dunque se sia meglio ridurlo ad una ottantina di anni, riducendo la pena comunque esorbitante per alcuni e promettendo di ridurla per altri, rimettendo parte del processo ad un giudice del rinvio.
La questioni in ballo erano altre: prima di tutto, chi porta la responsabilità della degenerazione dei fatti di Genova. Il paradosso, su questo punto, è che proprio le sentenze di merito contro i 25 manifestanti avevano riconosciuto che fu responsabilità delle forze dell'ordine (dei carabinieri) se le cose presero una piega violenta nel primo pomeriggio del 20 luglio del 2001, al punto da terminare tragicamente con la morte di Carlo Giuliani. Ma se furono i carabinieri a dare la via alle tragiche danze, come è possibile addossare ai manifestanti l'avere messo in crisi l'ordine pubblico, elemento fondamentale per riconoscere il reato di devastazione e saccheggio? Secondo, nessuno degli imputati faceva parte del gruppo dei black block, che posero in essere atti di violenza e di gravi danneggiamenti. Come è possibile addossargli responsabilità così pesanti solo perché si aggiravano nei paraggi o, magari, tirarono un sasso o rubarono un prosciutto da un supermercato da altri invaso? Il Pg Gaeta ha detto che tutti erano consapevoli e complici, partecipi dell'ideazione e della decisione. Eppure, oggi la Cassazione ha detto che alcuni di loro agirono sotto l'influenza di «una folla in tumulto», come recita l'attenuante che si dovrà concedere ad alcuni degli imputati. La suggestione non sembra congruente con la partecipazione consapevole alla ideazione e alla decisione. Infine, è mai possibile trascinarsi ancora dietro reati come questo, di stampo tipicamente fascista, dai confini incerti e dunque buono per essere ripescato - come in questo caso - in chiave ideologica, per colpire il dissenso e il diritto ad esprimersi anche con manifestazioni antagoniste?
La Cassazione avrebbe potuto far cadere, una volta per tutte, un simile mostro giuridico, senza peraltro rinunciare a sanzionare i comportamenti violenti di danneggiamento o di furto, laddove ve ne fossero le prove. Ne sarebbero scaturite delle pene consistenti, anche se non micidiali come quelle irrogate. Tali pene oggi sono state ridimensionate un pochino (e altre lo saranno col rinvio) e per alcuni dei manifestanti si allontana lo spettro della carcerazione, mentre almeno per due la galera si aprirà già domattina, per lunghi anni.
Il peggio, dinnanzi a questa sentenza, è comunque dire che così «siamo pari e patta». Condannati i poliziotti della Diaz e condannati i manifestanti. Innanzitutto perché i poliziotti non faranno mai un giorno di carcere, mentre alcuni dei 10 manifestanti vi giaceranno per anni: il che non è indifferente. Ma soprattutto perché qui non siamo ad una partitella di calcio: qui la contrapposizione è fra uno stato che attraverso suoi supposti servitori ha annullato diritti e garanzie per tre giorni a Genova e da allora non ha mai inteso riconoscere questa violazione, ed il diritto a manifestare, aggredito allora con l'attacco alla tute bianche e agli altri dimostranti, conculcato negli anni successivi proprio con lo spettro di ciò che era accaduto in quei giorni, ed oggi sanzionato con condanne ingiustificate nei loro presupposti e nella loro entità. Lo squilibrio è evidente ed insanabile.

14 luglio 2012

Genova, ingiustiza è fatta


di Checchino Antonini
ilmegafonoquotidiano.it

Prendere a calci un vetro già andato in frantumi è più grave di uccidere un diciottenne che torna a casa senza commettere alcun reato. Solo ritocchi dalla Cassazione alle sentenze genovesi per i dieci manifestanti scelti a casaccio tra i trecentomila che contestarono il G8 del 2001. Al di là del maquillage resta - agghiacciante - la condanna a un secolo di galera complessivo per devastazione e saccheggio, reati gravissimi pensati da quel Rocco che scrisse per il duce un codice di leggi di polizia negli anni '30 ancora in voga nei palazzi di giustizia italiani.
Occhi rossi nell'aula del secondo piano del Palazzaccio, sede della Cassazione, quando il presidente della Prima sezione sciorina il dispositivo della sentenza definitiva per uno dei tre grandi processi scaturiti da quelle tre giornate genovesi del luglio di undici anni fa. Nello stesso contesto, solo otto giorni prima, era stata pronunciata una sentenza di segno opposto contro i vertici della polizia di stato e alcuni agenti colpevoli a vario titolo del massacro di 92 cittadini europei alla scuola Diaz e del loro arresto illegittimo. Stavolta, invece, la corte ha pressoché assecondato le richieste del procuratore generale. Ha solo reso più miti 8 condanne ad altrettanti manifestanti rigettando in toto i ricorsi di altri due. Dopo tre ore di camera di consiglio, infatti, ha annullato con rinvio la sentenza della Corte d'Appello di Genova del 9 ottobre 2010 limitatamente alla mancata concessione delle attenuanti generiche nei confronti di Carlo Arculeo (in appello 8 anni), per Carlo Cuccomarino (8 anni) per Antonino Valguarnera (8 anni). La Suprema Corte ha inoltre annullato senza rinvio limitatamente al reato di detenzione di bottiglie incendiarie nei confronti di Luca Finotti (10 anni e 9 mesi in appello), Vincenzo Vecchi (13 anni); Marina Cugnaschi (12 anni e 3 mesi) e Francesco Puglisi (in appello 15 anni). Di conseguenza la Suprema Corte ha ridotto la pena per Puglisi a 14 anni e nei confronti degli altri 3 ha operato una riduzione delle pene pari a 9 mesi. Una decisione che va a determinare le condanne di appello che due anni fa erano state pari ad un secolo per i 10 imputati. In pratica, per cinque persone verranno rideterminate le pene se il tribunale di Genova riconoscerà l'attenuante di aver agito suggestionati da una folla in tumulto.
La pubblica accusa di piazza Cavour rappresentata da Piero Gaeta aveva chiesto, invece, di confermare completamente la sentenza di secondo grado, nella convinzione che, «Durante il G8 di Genova fu messa in discussione, dal profondo devastamento subito dalla città, la vita pacifica dei genovesi». «Ma l'ordine pubblico - e tantomeno il vivere sociale dei genovesi non è stato assolutamente violato», ci spiega Simonetta Crisci, una dei difensiori dei manifestanti citando la memoria di Dario Rossi, genovese del legal forum, consegnata in appello per spiegare come la città fosse desertificata e l'ordine pubblico in balìa di quindicimila armati di ogni corpo che decisero dove agire e dove non farlo. Di genovesi nemmeno l'ombra. «Non ci furono scorribande ma solo un passaggio in spazi consentiti da quei 15mila - dice ancora Crisci - la devastazione implica che i danneggiamenti costituiscano un impedimento concreto, cosa che a Genova non avvenne».
Ma l'argomentazione non ha convinto chi avrebbe potuto smontare un teorema e, invece, s'è dimostrato «timido» di fronte a una sentenza piena di incoerenze e sena adeguate motivazioni a condanne pesantissime.
Si apriranno le porte della galera per punire comportamenti simbolici e con largo uso di quel concetto di concorso morale che invece non è stato applicato a De Gennaro dalla Cassazione di fronte a prove ben più concrete di quelle a carico di persone che, senza mai conoscersi, hanno condiviso solo la presenza a Genova quel 20 luglio di undici anni fa. «Lo stesso gesto - ricorda anche l'avvocato Francesco Romeo - per alcuni tra i dieci ha fruttato una condanna, per altri non è stato considerato. Adesso cinque persone devono entrare in carcere e altre cinque devono rifare il processo per la rivalutazione delle attenuanti ma ingiustizia è fatta per la sproporzione abissale delle pene, per danni solo a cose, merci, edifici, rispetto ai funzionari e agenti della Polizia che, pochi giorni fa, hanno chiuso un percorso processuale per sevizie senza pagare alcun prezzo alla giustizia. Perchè le loro dimissioni dalla Polizia sono solo una sanzione amministrativa».

Solidarietà ad Eliana...


Eliana Como Cancellata Dalla Fiom Di Bergamo Con Una Mail. 

Il Segretario Generale Di Bergamo Faccia Un Passo Indietro!

Conferenza stampa di delegati della FIOM di Bergamo, venerdì 13 luglio ore 14.30 CGIL Bergamo
COMUNICATO STAMPA
Come delegati Fiom-Cgil di Ponte San Pietro, insieme a quelli di altre fabbriche di Bergamo tra cui Same e Brembo e della Piaggio di Pontedera, ribadiamo la nostra totale contrarietà al trasferimento forzato di Eliana Como a Roma e denunciamo il fatto che in questa vicenda si stia andando avanti con forzature amministrative, senza ascoltare il suo parere (cosa peraltro prevista dal regolamento della Cgil) né tanto meno il nostro.
Martedì 10 luglio, senza che nessuno di noi fosse avvisato, il segretario generale di Bergamo ha inviato a tutte le fabbriche della zona un fax in cui dichiara che “dalla data odierna il funzionario di riferimento per la vostra azienda è il signor G. Belometti. La presente sostituisce ogni altra comunicazione in merito”. Questo fatto è gravemente irrispettoso del nostro ruolo di delegati. La Fiom in quelle fabbriche siamo prima di tutto noi.
Nella stessa giornata la segretaria organizzativa della Fiom di Bergamo ha inviato una bruttissima mail a Eliana nella quale le si dice che “oggi inviamo alle aziende della tua zona la comunicazione che il funzionario di riferimento per la Fiom - Cgil di Bergamo diventa Belometti Gian Luigi. Appena disponibile l'addetto dell'ufficio informatica il computer Fiom in tuo uso verrà abilitato per poter essere usato da Gigi. Entro venerdì 13 luglio devi consegnare, in Fiom a Bergamo, il telefono e l'automobile intestati alla Fiom di Bergamo”. E’ vergognoso che una compagna sia trattata in questo modo. Chiediamo innanzitutto rispetto.
Mercoledì 11 luglio, noi delegati abbiamo inviato al segretario generale nazionale e di Bergamo 850 firme di lavoratrici e lavoratori delle fabbriche di Eliana che chiedono che lei resti a Bergamo.
Ricordiamo che la Fiom-Cgil non è di proprietà esclusiva dei segretari generali. La Fiom-Cgil è anche nostra e soprattutto degli iscritti. Siamo noi e i nostri colleghi a chiedere che sia fatto un passo indietro e che Eliana Como resti a fare la sindacalista nel nostro territorio. Dobbiamo evitare che ci sia una caduta della Fiom nel territorio visto che molti lavoratori hanno già minacciato di dare la disdetta della tessera se Eliana verrà allontanata.
Per il segretario generale di Bergamo proseguire per questa strada sarebbe un segnale di fortissima debolezza e la dimostrazione che non sa ascoltare né i delegati né gli iscritti e che non vuole essere il segretario di tutti. Crediamo e auspichiamo che ciò possa essere evitato.
I delegati e le delegate FIOM della zona di Eliana*, i delegati FIOM di Same, Brembo, Piaggio e altre.

11 luglio 2012

Lo Stato Sociale - Mi sono rotto il cazzo

Appello di appoggio alla lotta dei minatori spagnoli

http://anticapitalistas-asturies.org 

Non smettono di arrivare nuove adesioni, vogliamo ringraziare per tutta la solidarietà dimostrata e continuiamo a raccogliere firme.
La lotta dei minatori in difesa dei loro posti di lavoro è un esempio di lotta, combattività e autorganizzazione che deve essere appoggiato da tutta la classe lavoratrice, dalla sinistra e dai movimenti sociali.
L’impatto di questa lotta sta causando una solidarietà che si estende a tutti i settori e territori, fornendo ispirazione per tutti i combattenti e le combattenti in questi momenti di attacchi senza fine ai diritti sociali e del lavorali.
I bacini minerari hanno bisogno di risposte e ne hanno bisogno adesso, con obiettivi a breve e a medio termine. A breve termine è necessario difendere i posti di lavoro per evitare la tragedia sociale che vivono da anni in queste zone le famiglie lavoratrici. E a medio e lungo termine è necessario proporre vere alternative di lavoro in settori energetici non inquinanti che permettano di uscire dalla crisi senza ipotecare il futuro.
Durante questi anni di ristrutturazione, i fondi destinati a questo scopo sono stati sperperati, e sono serviti per il beneficio di pochi. Indagare su dove sono andati a finire e accertare le responsabilità è il primo passo necessario per aprire un vero e proprio processo che avvii un nuovo modello produttivo, generato e controllato “dal basso”, che sia al servizio degli interessi sociali dei più e sia rispettoso del nostro pianeta.
Mentre si tenta di salvare banche e banchieri, i tagli ricadono sulla classe lavoratrice che si trova costretta a lottare per difendere il suo futuro. I minatori ci stanno mostrando la strada che deve essere percorsa da tutti gli altri settori in lotta. Noi tutti vogliamo mostrar loro il nostro appoggio e facciamo un appello per estendere il loro esempio. Ci stiamo giocando molto.

traduzione Sarah Mancini

Apoya con tu firma en yoapoyoalamineria@gmail.com

06 luglio 2012

29° Campeggio dei/delle giovani rivoluzionari/e


Dal 30 luglio al 5 agosto in Spagna, a Besalù (Girona), si terrà il campeggio internazionale, rivoluzionario, emminista ed ecologista, organizzato dalla Quarta Internazionale ma ormai da anni allargato a diverse forze della sinistra anticapitalista e ad esperienze di movimento.
In Italia il campeggio è promosso da Sinistra Critica. Un appuntamento particolarmente importante quest’anno, segnato dalle rivoluzioni esplose in nord-africa, dalle mobilitazioni e dagli scioperi in Europa contro le misure d'austerità e il debito, dai movimenti Occupy che in tutto il mondo hanno posto al centro la questione democratica. Un occasione utile per discutere, confrontare lotte ed esperienze, approfondire la natura dei processi di radicalizzazione in atto nel mondo, progettare campagne contro il pagamento del debito, la guerra, la precarietà, la dismissione della formazione pubblica, così come sui temi di genere e lgbt. Un momento importante per chi è impegnato nei movimenti sociali, nelle scuole e nelle università, e nella costruzione di una sinistra anticapitalista europea, senza se e senza ma, alternativa alle destre ma anche alla “sinistra” liberista. Un’occasione nel nostro paese per chi, nonostante la deriva autoritaria e ultraliberista impressa dal governo (tutt'altro che "tecnico"!) Monti - tra repressione, privatizzazione dei beni comuni , attacchi ai diritti dei lavoratori, delle donne e degli studenti - non si arrende allo stato di cose presente e non rinuncia a costruire nei e con i movimenti sociali un’alternativa di società.
Solidarietà internazionale, femminismo, ecologismo, giovani e movimenti sociali, strategie, migranti, scuola e università, marxismo, antifascismo, beni comuni, guerra, precarietà, lgbt, saranno i temi al centro dei sette giorni. Un campeggio totalmente autogestito dai partecipanti, in modo tale che anche nel piccolo e per poco tempo proverà a dimostrare che un altro mondo, oltre che necessario, è possibile, e che sono possibili altri tipi di relazioni umane, di divertimento, di gestione degli spazi comuni. All’interno del campo è prevista la presenza di uno spazio femminista ed uno lgbt, che permetteranno l’approfondimento, il confronto e l’autorganizzazione di soggetti che vivono condizioni di oppressione specifiche, quella di genere e quella sessuale: due spazi per rimettere in discussione categorie imposte dalla società... e ancora Workshop, Forum, formazioni, meeting e feste tutte le sere, tra cui quella donne e quella lgbt.


PROGRAMMA
30/07 LUNEDÌ: benvenuto- opening rally: situazione politica internazionale, situazione politica spagnola, logistica e presentazione del campo, intervento donne, intervento lgbit

31/07 MARTEDÌ: debito, crisi e situazione internazionale- formazione : Enriquè Toussaint (Belgio)
- forum solidarietà internazionale: America Latina, Grecia, Rivoluzioni Arabe, Filippine, Europa dell’Est

01/08/ MERCOLEDÌ: giovani e precarietà- introduzione politica alla giornata: conseguenze della crisi e la precarietà
- formazione: Danilo Corradi (Italia)
- forum: juventud sin futuro-la piattaforma, la precarietà come condizione di vita, ruolo dei giovani nella classe, Precari contro il debito, lotte antirazziste

02/08 GIOVEDÌ: donne e crisi- introduzione politica alla giornata: importanza delle questioni di genere nell’analisi del capitalismo e il problema della doppia militanza
- formazione: Sandra Ezquerra (Stato Spagnolo)
- rally: lavoro di cura, lotte contro l’aborto, ruolo delle donne nelle rivoluzioni Arabe, presentazione della festa (spazio donne)
- festa donne

03/08 VENERDÌ: lgbit e lotte antirazziste- introduzione politica alla giornata: come il capitalismo utilizza forme di oppressioni specifiche come i soggetti lgbit e i migranti
- formazione: Sergio Vittorino (Portogallo)
- rally: depatoligizzazione, omonazionalismo, presentazione della festa (spazio lgbt)
- festa lgbt

04/08 SABATO: strategie ecosocialiste- formazione: Paul Riechman (Stato Spagnolo)
- forum: la lotta della Tav, il nucleare come sviluppo e potere economico, i blocchi delle scorie in Germania, Movimiento sin terras, movimento contro la privatizzazione dell’acqua in Bolivia, Acqua Bene Comune

05/08 DOMENICA: strategie per cambiare il mondo- presentazione politica della giornata: ruolo delle organizzazioni anticapitaliste
- formazione: Josè Maria (Stato Spagnolo)
- rally conclusivo: prospettiva dei partiti anticapitalisti, prossimo campo, bilancio del campo

* Ogni giorno si terranno workshop di approfondimento e workshop permanenti sui temi della precarietà, dell’ecosocialismo, delle lotte studentesche, dell’oppressione di genere,..;workshop pratici e feste!

Presentazioni:
Roma 25/7/2012 ore 19.30: Circolo di San Lorenzo, Via dei Latini 73

Milano: 28/7/2012, Zona Risk, via dei varchi 1.

Mantova: 29/7/2012.

04 luglio 2012

G8 Genova 2001 - NON E' FINITA, DIECI NESSUNO TRECENTOMILA

APPELLO ALLA SOCIETÀ CIVILE E AL MONDO DELLA CULTURA

La gestione dell’ordine pubblico nei giorni del G8 genovese del luglio del 2001, rappresenta una ferita ancora oggi aperta nella storia recente della repubblica italiana. 
Dieci anni dopo l’omicidio di Carlo Giuliani, la “macelleria messicana” avvenuta nella scuola Diaz, le torture nella caserma di Bolzaneto e dalle violenze e dai pestaggi nelle strade genovesi, non solo non sono stati individuati i responsabili, ma chi gestì l’ordine pubblico a Genova ha condotto una brillante carriera, come Gianni De Gennaro, da poco nominato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. 
Mentre lo Stato assolve se stesso da quella che Amnesty International ha definito “la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”, il prossimo 13 luglio dieci persone rischiano di diventare i capri espiatori e vedersi confermare, in Cassazione, una condanna a cento anni di carcere complessivi, in nome di un reato, “devastazione e saccheggio”, che rappresenta uno dei tanti detriti giuridici, figli del codice penale fascista, il cosiddetto Codice Rocco. 
Un reato concepito nel chiaro intento, tutto politico, di perseguire chi si opponeva al regime fascista. Oggi viene utilizzato ipotizzando una “compartecipazione psichica”, anche quando non sussiste associazione vera e propria tra le persone imputate. In questo modo si lascia alla completa discrezionalità politica degli inquirenti e dei giudici il compito di decidere se applicarlo o meno. 
E’ inaccettabile che, a ottant’anni di distanza, questa aberrazione giuridica rimanga nel nostro ordinamento e venga usata per condannare eventi di piazza così importanti, che hanno coinvolto centinaia di migliaia di persone, come le mobilitazioni contro il G8 a Genova nel 2001. 
Non possiamo permettere che dopo dieci anni Genova finisca così, per questo facciamo appello al mondo della cultura, dello spettacolo, ai cittadini e alla società civile a far sentire la propria voce firmando questo appello che chiede l’annullamento della condanna per devastazione e saccheggio per tutti gli imputati e le imputate.

Per una battaglia che riguarda la libertà di tutte e tutti.


Assemblea di supporto ai e alle 10 di Genova 2001

Milano: sit in del Comitato Metropolitano per l'audit del debito pubblico.

http://rivoltaildebito.globalist.it/

Il Comitato Metropolitano per l’Audit del Debito Pubblico ha denunciato davanti a Palazzo Marino la poca trasparenza rispetto al dibattito sul bilancio del comune di Milano che dovrebbe essere approvato entro il 30 giugno. A due giorni dell’approvazione il bilancio, infatti, non è ancora stato reso pubblico dal Comune governato da Giuliano Pisapia. L’economista Andrea Fumagalli nota che ”quello che traspare sono scelte che sembrano andare esattamente in direzione opposta rispetto a quello promesso durante la campagna elettorale; particolarmente in tema di welfare, in tema di partecipazione, e in tema di trasparenza informativa”. Il comitato composto da economisti, avvocati e gente della società civile che vogliono monitorare il modo in cui viene gestito il comune. Il gruppo ha approfittato dell’appuntamento per fare la richiesta formale di un incontro pubblico con l’assessore al bilancio comunale Bruno Tabacci, affinché i cittadini possano avere accesso ad informazioni sulla gestione del capoluogo meneghino a un anno dall’elezione del sindaco Giuliano Pisapia di Chantal Dumont

 

Mai più divise a quei quattro poliziotti

Il 21 giugno 2012 la Cassazione si è espressa in modo definitivo sul caso di Federico Aldrovandi, il diciottenne ucciso durante un controllo di Polizia all'alba del 25 settembre del 2005 a Ferrara. La Corte ha confermato la condanna dei quattro poliziotti per eccesso colposo in omicidio colposo riprendendo così le sentenze di primo e secondo grado.
Alla luce della sentenza, chiediamo:
che i quattro poliziotti, condannati ora in via definitiva, vengano estromessi dalla Polizia di Stato, poiché evidentemente non in possesso dell'equilibrio e della particolare perizia necessari per fare parte di questo corpo;
che venga stabilito in maniera inequivocabile che le persone condannate in via definitiva, anche per pene inferiori ai 4 anni, siano allontanate dalle Forze dell'Ordine, modificando ove necessario le leggi e i regolamenti attualmente in vigore;
che siano stabilite, per legge, modalità di riconoscimento certe degli appartenenti alle Forze dell'Ordine, con un numero identificativo sulla divisa e sui caschi o con qualsivoglia altra modalità adeguata allo scopo;
che venga riconosciuto anche in Italia il reato di tortura - così come definita universalmente e identificata dalle Nazioni Unite in termini di diritto internazionale - applicando la Convenzione delle Nazioni Unite del 1984 contro la tortura e le altre pene o trattamenti inumani, crudeli o degradanti, ratificata dall'Italia nel 1988.

Primi firmatari:
Patrizia Moretti
Lino Aldrovandi
Stefano Aldrovandi
Comitato Verità per Aldro
Simone Alberti, account
Stefania Andreotti, giornalista
Checchino Antonini, giornalista
Alice Balboni, disoccupata
Paolo Beni, presidente ARCI
Rudra Bianzino
Gianni Biondillo, scrittore
Andrea Boldrini, operaio
Irene Bregola, ricercatrice e consigliera comunale Ferrara
Dean Buletti, giornalista
Stefano Calderoni, assessore provinciale Ferrara
Gigi Cattani, pensionato
Emanuela Cavicchi, insegnante
Franco Corleone, garante dei detenuti Firenze
Elisa Corridoni, pubblicitaria
Ilaria Cucchi
Erri De Luca, scrittore
Girolamo De Michele, scrittore
Barbara Diolaiti, insegnante
Italo Di Sabato, Osservatorio sulla repressione
Nicoletta Dosio, movimento No Tav
Valerio Evangelisti, scrittore
Paolo Ferrero, segretario nazionale PRC
Domenica Ferrulli
Leonardo Fiorentini, webmaster
Don Andrea Gallo
Haidi Giuliani
Giuliano Giuliani
Sergio Golinelli, insegnante
Luca Greco, sindacalista
Salvatore Greco, impiegato
Lorenzo Guadagnucci, giornalista
Claudia Guido, fotografa
Cinzia Gubbini, giornalista
Giuliano Guietti, segretario CGIL Ferrara
Luisa Lampronti, educatrice
Carla Leni, educatrice
Loredana Lipperini, giornalista e scrittrice
Piero Maestri, portavoce SC
Giuliana Maggiano, insegnante
Luigi Manconi, presidente A Buon Diritto
Valerio Mastandrea, attore
Matilde Morselli, fotografa
Alice Orlandi, operaia
Laura Orteschi, impiegata
Matteo Parmeggiani, precario
Monica Pepe, giornalista
Pietro Pinna, ricercatore
Stefano Rossi
Fiamma Schiavi, impiegata
Vauro Senesi, vignettista
Lucia Uva
Filippo Vendemmiati, giornalista
Wu Ming, scrittori
Roberto Zanetti, operatore socio-sanitario
Marcella Zappaterra, presidente Provincia di Ferrara