29 marzo 2011

Assemblea nazionale di AteneInRivolta

Domenica 27 si è conclusa la nostra terza assemblea nazionale. Tre giorni intensissimi, fra riunioni, assemblee pubbliche e workshop che hanno visto una partecipazione straordinaria per numeri, ricchezza dei contributi e qualità delle discussioni.

Dal movimento dell'Onda del 2008, quando dai collettivi della Sapienza fu lanciata l'idea della prima assemblea nazionale, sono cambiate tante cose, prime fra tutte noi stessi.
L'autunno appena trascorso, la rivolta che abbiamo contribuito a costruire città per città contro la riforma Gelmini, la rabbia e la rivolta di Piazza del Popolo, le campagne portate avanti a partire da quella per la ripubblicizzazione dell'acqua hanno trasformato il modo stesso di intendere la nostra militanza dentro l'università.

Siamo passati da un semplice meccanismo di rete e condivisione di esperienze, al fare di AteneinRivolta un'organizzazione, non solo studentesca ma anche di giovani precari, che si pone come primo obbiettivo l'autorganizzazione dei movimenti.
Una sfida ancora aperta perchè siamo convinti che fare dei collettivi il nostro strumento d'azione dentro le facoltà significhi mettersi sempre in gioco, con l'entusiasmo che le lotte di questi mesi ci hanno trasmesso ma consapevoli dei limiti che queste mobilitazioni hanno dimostrato.
Essere organizzazione per l'autorganizzazione per noi significa proprio questo: favorire meccanismi di partecipazione realmente democratica, unica via per superare la stagionalità della lotta giovanile.
Una problematica, quella della democrazia interna ai movimenti, che in Italia contraddistingue da troppo tempo le rivolte che si dispiegano e che probabilmente contribuisce a disgregare e impedire quel processo di ricomposizione sociale su cui tanto abbiamo discusso in questi giorni.

Abbiamo promosso questa assemblea convinti che come studenti e giovani precari possiamo svolgere un ruolo forse unico ma quanto mai necessario: passare da elemento semplicemente scatenante della rivolta a strumento per l'unità delle lotte e fare dell'università controriformata un'università sociale, luogo fisico di ricomposizione.

Nella devastazione sociale che la crisi del neoliberismo ha imposto, scuole e università emergono come ultimi luoghi d'aggregazione di massa dei giovani, la cui soggettività ha storicamente spesso determinato la nascita di processi rivoluzionari.

Quali pratiche adottare nell'ottica della politicizzazione e autorganizzazione di questo soggetto è stata la tematica principale che ha attraversato tutte le discussioni.
Abbiamo dibattuto a lungo dei controcorsi, percorsi di lavoro seminariale volti a scardinare l'università dequalificata del 3+2, con cui affrontare e analizzare la crisi economica, ecologica e sociale, i cambiamenti in atto nel mercato del lavoro e nell'istruzione, la necessità di nuove forme di diritto per soggetti ai margini della società (migranti ed lgbtiq), le questioni di genere.

Tutto questo per noi significa ridare un ruolo sociale all'università e al soggetto studentesco.

Rimettere i giovani e gli studenti al centro della società significa intrecciare le lotte per un'università pubblica e di qualità con quelle contro ogni privatizzazione e speculazione sui beni comuni, l'acqua e i territori in primis.
Significa lottare contro la guerra, strumento d'oppressione più devastante e che nell'epoca del neoliberismo è diventata il mezzo principale per la risoluzione delle difficoltà economiche (ed energetiche) delle grandi potenze.

Non abbiamo modelli vincenti ed efficaci cui guardare per ripensare la partecipazione politica, i sindacati e i partiti storicamente conosciuti stanno dimostrando tutto il loro fallimento.
Le stesse rivolte giovanili in nord-Africa come in Europa, viste attraverso gli occhi e le narrazioni dello studente tunisino e della studentessa inglese, se analizzate secondo le vecchie forme della politica risultano incomprensibili nelle pratiche che assumono e nelle questioni che pongono.

C'è un'altra prospettiva di vita, studio e partecipazione dentro e fuori le università, che non abbia la precarietà, l'addestramento e lo sfruttamento come elementi sussunti e indiscutibili.
Una strada che passa per il rifiuto della didattica quantificata in crediti, per la riappropriazione di vecchi e per la conquista di nuovi diritti.

Essere realisti è la consapevolezza che immaginarsi in questa prospettiva, e immaginarsi vincenti, significa muoversi nel campo dell'impossibile...l'unico praticabile!