30 luglio 2013

NUOVI INIZI

Nell’ultima conferenza nazionale di Sinistra Critica si sono confrontate, e alla fine sostanzialmente eguagliate, due posizioni politiche e strategiche tra loro alternative. Il lavoro degli ultimi sei mesi non ha prodotto significativi passi avanti nella convergenza tra quelle impostazioni che affrontano diversamente nodi analitici e teorici rilevanti e soprattutto si danno progetti di lavoro politico e strumenti di intervento differenti.

Questa difficoltà la viviamo come una nostra debolezza inserita però nella più ampia crisi sociale e politica italiana ed europea. Le forze della sinistra anticapitalista conoscono quasi ovunque una difficoltà materiale e di strategia politica.

Le condizioni obiettive dettate dalla crisi e da quella “lotta di classe” al contrario che i poteri dominanti stanno conducendo da diversi decenni, dovrebbero offrire un terreno privilegiato a forze orientate verso la trasformazione sociale. Ma la realtà materiale indica che non è così: in Francia, in Germania, in Gran Bretagna e in Italia, ad affermarsi è la difficoltà, la scomposizione delle forze ed anche la crisi

Sinistra Critica ha rappresentato un progetto politico che, nel quadro dell’esperienza di Rifondazione comunista, ha puntato ad amalgamare la necessaria rifondazione del pensiero e della pratica marxiste con le energie rese disponibili dai nuovi movimenti sociali e politici. In questo senso ha trovato ispirazione e progetto politico nelle vertenze sociali, nella vita e nelle vicende del movimento operaio, nei movimenti anti-globalizzazione e per la pace, nel nuovo femminismo e nelle lotte dei movimenti lgbt.

Sempre tenendo fermo un orientamento finalizzato alla ricostruzione di una soggettività e di una organizzazione politica anticapitalista, internazionalista, femminista, ecologista.

Questo progetto si è dipanato nel corso degli anni 90 e 2000, nella battaglia politica interna al Prc contro le derive governiste di quel partito, rese evidenti, in particolar modo, con il secondo governo Prodi. Abbiamo cercato di indicare una via d’uscita all’impasse della sinistra, alternativa a quella proposta da Fausto Bertinotti e dal gruppo dirigente di Rifondazione. Quella battaglia, in termini di consenso, non ha avuto l’esito sperato.

Ma i vincitori di quella contesa hanno ottenuto una vittoria di Pirro che presto si è trasformata nella disfatta del partito e risultano tra i principali responsabili della scomparsa della sinistra politica dal panorama italiano.

Restiamo convinti che l’esperienza condotta negli anni, o decenni, trascorsi alle nostre spalle, sia stata giusta. E’ stato giusto contestare in radice la cultura politica dominante della sinistra italiana, derivante dal riformismo togliattiano e dalla vocazione al compromesso sociale. E’ stato giusto denunciare il ruolo nefasto che lo stalinismo ha avuto nella storia del movimento operaio internazionale, battendosi per recuperare “la memoria dei vinti”, le giuste battaglie storiche degli oppositori alla Terza Internazionale. E’ stato giusto lavorare per il rinnovamento culturale del marxismo, recuperando le teorie migliori e la freschezza dell’apparato critico dello stesso Marx contro ogni tentazione di ossificazione. E’ stato giusto battersi contro gli apparati burocratici del movimento operaio, in campo politico e sindacale, rivendicando l’autorganizzazione e il protagonismo operaio come unico viatico per una effettiva emancipazione. E’ stato giusto recuperare il pensiero ecologista come punto nevralgico di un’identità per la nuova sinistra.

Rivendichiamo, in particolare, lo sforzo costante di coniugare, nella nostra concezione della sinistra anticapitalista, il femminismo con il marxismo critico e di fare del protagonismo delle donne un passaggio ineludibile per qualsiasi progetto di trasformazione. E’ stato giusto mantenere la rotta su un progetto di trasformazione rivoluzionaria e socialista della realtà esistente.

Tutto questo non ha impedito anche al nostro progetto di segnare il passo. Non siamo riusciti a costruire una alternativa forte e credibile alla deriva della sinistra italiana e, nel momento in cui si sono verificati grandi sommovimenti internazionali (la crisi) e modificazioni profonde nel corpo vivo della sinistra politica – si pensi alla crisi del Pd, dopo quella di Rifondazione – abbiamo iniziato a maturare, al nostro interno, analisi e progetti diversi per rispondere alla crisi.

La nostra ultima conferenza ci ha consegnato un’organizzazione sostanzialmente divisa a metà su due progetti la cui alternatività si è mostrata evidente con il passare del tempo. La politica, del resto, non può essere confinata alla sola analisi e alla condivisione degli orizzonti di fondo.

Se fosse così non esisterebbero, e non sarebbero esistite, scissioni, divisioni, divaricazioni inconciliabili.

A questo punto avremmo potuto dare vita a una classica contesa, strappandoci reciprocamente consensi, in un faticoso lavoro di interdizione simultanea. Avremmo potuto anche nascondere le nostre divergenze e “fare finta” che non fosse successo nulla dando vita, di fatto, a due correnti separate.

Abbiamo preferito spiegare la nostra situazione, renderla esplicita e trasparente con la presunzione di offrire un altro modo di affrontare la crisi della sinistra.

Con questa lettera noi dichiariamo chiusa l’esperienza politica di Sinistra Critica che quindi da oggi non esisterà più nel nome e nella simbologia. Ma il collettivo militante che questa organizzazione ha rappresentato non si ritira dalle battaglie politiche e sociali: dalle sue “ceneri” nascono altre storie, anzi già operano iniziative e attività articolate e complesse. I suoi e le sue militanti daranno vita, infatti, a progetti diversi, uno che propone una organizzazione politica più che mai orientata a un forte radicamento di classe, l’altro intenzionato a intraprendere, in un’ottica di classe, la strada della promiscuità tra “politico” e “sociale” che cominceranno a vivere pubblicamente nelle prossime settimane e nel mese di settembre.

Abbiamo pensato che invece di dare vita a scontri e recriminazioni fosse più giusto e utile, anche per rispetto alla nostra storia comune, condividere il momento della separazione, rispettando l’impegno di tanti e tante militanti. Speriamo che i due progetti politici che scaturiranno dalla nostra esperienza restino complementari tra loro anche se distinti. Non sappiamo se ci riusciremo ma questa è la nostra intenzione.

Anche per questo abbiamo deciso di garantirci per il futuro uno spirito fraterno dividendo con un accordo comune espresso in uno specifico testo scritto le poche risorse esistenti e garantendo a ciascuno l’operatività politica organizzativa.

In questo nuovo quadro politico organizzativo, insieme ribadiamo, la comune adesione al dibattito, al patrimonio e al progetto politico della corrente Quarta internazionale così come si è andata evolvendo nel tempo e come oggi si presenta nelle sue articolazioni internazionali: dal progetto del Nuovo partito anticapitalista francese, al dibattito latinoamericano fino alle nuove esperienze asiatiche. Un riferimento non dogmatico ma politico, culturale e “in progress”.

Il coordinamento nazionale

18 luglio 2013

PROLOGO



Dalla sconfitta si esce ricominciando da capo. Costruendo conflitto e movimenti, aggiornando l'identità, inventando, sperimentando. L'appello per una rete politica e sociale e un appuntamento per settembre a Communia

L’elenco è lungo ma necessario. DallaGrecia alle primavere arabe, all’indignazione spagnola, al movimento Occupy negli Usa passando per le lotte giovanili in Cile, in Canada, in Inghilterra, contro le politiche di austerità in Portogallo e in Israele, contro il regime di Putin in Russia fino alle iniziative di sciopero nelle fabbriche cinesi e indiane, e ancora le rivolte inTurchia e in Brasile: qualcosa sta succedendo. Una domanda di trasformazione continua a salire dal basso dei movimenti, da settori sociali diversi e da nuove generazioni.
I movimenti sono arrivati inattesi. Hanno chiesto e imposto democrazia e trasparenza. Hanno sostenuto l’auto-rappresentanza. Hanno creato nuovi linguaggi e nuovi immaginari. Hanno riscoperto riferimenti storici dimenticati, come la Comune di Parigi e la sperimentazione della democrazia radicale. Hanno privilegiato l’occupazione delle piazze per riappropriarsi di spazi comuni da trasformare, finalmente, in spazi pubblici. Hanno parlato al mondo, anche quando erano esigui, trasformando i social networks in strumenti di comunicazione orizzontale, bypassando le mediazioni organizzative tradizionali. Hanno creato cultura. Rinfocolato la speranza.
Certo, nessuno ha messo in crisi la crisi, nessuno ha fermato le politiche di austerità. Il problema dell’incontro tra il tempo lento dell’organizzazione e quello accelerato dell’evento resta irrisolto. La combinazione tra dimensione politica e sociale rimane incompiuta. Dentro questa ricerca vogliamo muovere i nostri passi trovando la risultante di una difficile equazione.
Le organizzazioni della sinistra radicale italiana sono al loro finale di partita. ParafrasandoBeckett "Finita, è finita, sta per finire, sta forse per finire”. I fatti sono noti. La sinistra è al minimo storico e si dibatte in una crisi senza idee. In Europa la crisi riguarda non solo le forze più riformiste, che sembrano risorgere alleandosi al social-liberismo, ma anche quelle più radicali e anticapitaliste. Lo “tsunami” recessivo sembra aver fatto tabula rasa di ipotesi politiche in parte vecchie e stantie, in parte inadeguate. I nuovi movimenti hanno mostrato le prime tracce di un percorso in fondo al quale disegnare una nuova sinistra a venire, in cui autorganizzazione e democrazia non siano negoziabili o sacrificabili sull’altare di un presunto realismo.
L’autorganizzazione ha un senso se si connette agli attuali percorsi di soggettivazione politica. Con tempi e forme dettati da una specifica composizione sociale e di classe, da indagare meglio, senza il rischio di ridursi a una palestra di democrazia diretta. Due sono le concezioni dell’autorganizzazione che mimano un’astrattezza paralizzante. La prima la colloca solo nei momenti alti della lotta di classe, quando si mette in gioco la legittimità del potere; l’altra, invece, la banalizza in una qualsiasi forma di aggregazione separata da partiti, sindacati, associazioni. Favorire la nascita e l’affermazione di strumenti per l’autorganizzazione richiede, invece, la capacità di leggere le situazioni di conflitto sotto la luce della soggettivazione di classe. Bisogna modificare i giochi di ruolo nelle strutture sindacali più o meno di base; vedere i movimenti dei settori di classe attiva oltre le storie e le tradizioni; cogliere i momenti di politicizzazione delle lotte studentesche; sperimentare forme di contropotere e socializzazione non dominata dalle merci. Favorire i salti improvvisi nell’accumulo di coscienza, sapendo viaggiare con bagagli leggeri ma essenziali.
Non esistono modelli né strumenti per tutte le stagioni. E’ su questo che si gioca il futuro: se la mancanza di modelli apre la strada a una serie di opportunità da sperimentare, non si deve sottovalutare la necessità di dare un’identità politica a tali sperimentazioni. Tuttavia l’identità non è data una volta per tutte, è un processo aperto che richiede posizionamenti, analisi e attivazione di conflitti.
Il capitalismo è un sistema in perenne trasformazione, che impone altrettanta capacità di cambiamento nelle forme di organizzazione, di socializzazione, di riappropriazione da parte di coloro che lo contestano e lo combattono. L’anticapitalismo non è un’astrazione ideologica ma una pratica che si nutre di idee e di uno sguardo sul mondo. Uno sguardo, una visione, delle idee da cui ripartire. Non rinunciamo a produrne e a scambiarle con altri e altre: per questo vogliamo dotarci di un sito e di una rivista.
Abbiamo una direzione di marcia: la costruzione di una rete, che si batta per un sistema e un potere alternativo. Una rete politico-sociale che produca conflitto e funzioni in modo radicalmente democratico, che sia aperta e propulsiva di sperimentazioni nel senso dell’autorganizzazione e dell’autogestione. L’autogestione conflittuale è un terreno da riempire di significati nuovi, cogliendone la storia, le potenzialità, i limiti e le illusioni, soprattutto dal versante del rapporto con il potere, con sperimentazioni “fuori mercato“. Un percorso che vive e muove dal conflitto di classe sui luoghi di lavoro, dalla socializzazione degli spazi, dal protagonismo dei migranti, dalla lotta contro l’austerità e il debito, dalle forme di comunicazione e delle “nuove” culture, dalla lotta contro le relazioni patriarcali ed eteronormative, dalla difesa dei beni comuni. E’ un movimento permanente, una rivolta in itinere che non si ritiene orfana ma si emancipa dal peso di un’eredità.
In questa chiave puntiamo a costruire, di nuovo, senza nostalgie e pentimenti. Puntando su una visione della democrazia diretta e radicale come valore fondante l’emancipazione; sull’autorganizzazione, sull’alternatività al capitalismo e la rottura con le sue regole e leggi come consapevolezza necessaria; sulla dimensione internazionale dei movimenti come spazio indispensabile alla loro efficacia.
Questo è il nostro intento, senza alcun diritto di primogenitura. Ed è per questo che invitiamo dal 20 al 22 settembre al confronto e alla partecipazione a Communia a Roma.
20-21-22 settembre Meeting nazionale a Communia. Idee e pratiche fuori mercato