30 dicembre 2012

Oltre le elezioni

Il progetto del "quarto polo" è stato mangiato da una coalizione di partiti confusi e in crisi. Serve un'agenda sociale e un orizzonte più lontano
di Piero Maestri
L'assemblea del 22 dicembre al teatro Quirino ha rappresentato l'ultimo atto di una speranza che si era aperta a sinistra per una presenza elettorale alternativa al patto PD-SEL, con caratteristiche davvero nuove di costruzione dal basso, facendo tesoro degli errori del passato per non ripeterli.
In realtà già il giorno precedente un duro colpo al progetto di «Cambiare si può» era stato dato da Antonio Ingroia, con la sua assemblea nazionale che ha segnato una vera e propria «Opa» nei confronti di tutto il processo, con la sua idea di «dialogo» con il PD che rappresenta una scelta non tattica ma di collocazione: esterni ma non alternativi al centrosinistra e «spina nel fianco» perché questo possa cambiare politica.
D'altra parte lo stesso «decalogo» presentato dal magistrato siciliano rappresenta un programma davvero poco di sinistra e contiene affermazioni imbarazzanti e inaccettabili per chi vorrebbe presentarsi come alternativo: pensiamo anche solamente all'idea reazionaria secondo la quale in Italia gli imprenditori subiscano ancora «lacci e laccioli» burocratici o di tasse. Per non parlare di quello che non dice sulle politiche di austerità, il «fiscal compact», i diktat dell'Unione Europea...
L'assemblea del 22 dicembre non è riuscita a difendersi dal ritorno di un ceto politico della sinistra già «radicale» che si ripresenta sulla scena senza aver mai davvero fatto i conti con le sue scelte degli anni passati. E' in questo senso imbarazzante vedere che all'intervento di un'attivista contro la base Dal Molin come Cinzia Bottene seguano quelli di ministri, viceministri e sottosegretari del governo Prodi che quella base militare ha accettato e sottoscritto (così come l'acquisto degli F35) senza fare nemmeno un briciolo di autocritica (e magari le loro scuse a quelle e quegli attiviste/i) e senza nemmeno chiedersi se in fondo l'assenza della «sinistra radicale» dal parlamento non sia avvenuta proprio per quella partecipazione al governo e l'incapacità di pensarsi davvero come alternativi al centrosinistra (siamo infatti ancora all'infausto detto «in politica mai dire mai» di bertinottiana memoria).
Ed è ancora l’ennesima “performance” in un teatro del nuovo leader Antonio Ingoia a dare i tempi e i modi dell’avvenuta decisione di “scendere in campo”: ieri al Capranica è nata “Rivoluzione civile”, caratterizzata da un simbolo con il nome di Ingoia scritto a caratteri cubitali (alla faccia del rifuto di personalismi e leaderismi) e un !”quarto stato” stilizzato – che vorrebbe simboleggiare la volontà di rappresentare le classi oppresse (con qualche forzatura, vista la composizione sociale di chi ha voluto questa lista…). A questo punto la possibile lista degli arancioni si caratterizza come un «quarto polo» elettoralmente distinto dal centrosinistra con il quale però si lasciano aperte le strade per accordi successivi, di governo o sostegno in qualche modo (con qualche ammiccamento a Grillo, anche…).
I partiti presenti sono disposti ad accettare questa conclusione non solo perché per loro è l'ultima spiaggia per ritornare in parlamento con qualche deputato e rientrare così nei giochi della «politica alta» (vale per il Prc e ancor più per Di Pietro e la sua Italia dei Valori in piena crisi e per i decotti «comunisti» italiani di Diliberto, ai quali fornisce un'occasione per potersi presentare all'elettorato con un po' di riverniciatura sfruttando l'autorevolezza di Ingoia), ma i partiti stessi rimangono protagonisti (altro che “un passo indietro”) visto che la lista sembra avere una “cabina di regia” con la presenza dai segretari di partito (Idv, Prc, Pdci e verdi) più De Magistris).
Insomma, tutti questi giochetti hanno fatto rientrare dalla finestra quelle tanto aborrite manovre politiciste che si volevano far uscire dalla porta e ha riproposto logiche verticistiche senza alcun rispetto per le discussioni delle assemblee locali e le speranze suscitate dall'insieme del processo.
Ma questo finale va bene al progetto di «Cambiare si può»?
Le assemblee del progetto “Cambiare si può”, con molti limiti, hanno rappresentato un dato molto positivo per la partecipazione, per la discussione approfondita, per lo spirito unitario che le ha animate e per l’interesse e il consenso che hanno ricevuto contenuti di radicale alternativa alle politiche liberiste, al cappio del debito, alla distruzione del bene pubblico.
A questo punto dobbiamo prendere atto che questo spirito, queste speranze, questa disponibilità a ricostruire forme unitarie di partecipazione politica a sinistra - con caratteristiche nuove e di rottura con le esperienze del passato - non possono essere sprecate in un imbuto elettorale (reso già vecchio e poco affascinante da chi lo anima e dalle modalità di costruzione).
Dobbiamo allora spostare la nostra attenzione, già dalle assemblee che “Cambiare si può” sta tenendo nelle varie province, ad un altro livello, per cominciare a costruire una “Agenda alternativa” al liberismo del centrosinistra e distinta dal “decalogo” di Ingoia; un'agenda dei movimenti e delle lotte sociali, con robuste dosi di anticapitalismo - oggi assente da questo dibattito - che non cerchi scorciatoie elettorali ma provi con «lenta impazienza» a ricostruire radicamento ed egemonia nella società.

18 dicembre 2012

Si può (ancora) cambiare

Un'occasione da non perdere per costruire un'alternativa al centrosinistra
Comunicato dell’Esecutivo nazionale di Sinistra Critica
Migliaia di donne e uomini in tutt’Italia hanno nei giorni scorsi partecipato alle assemblee locali del progetto “Cambiare si può”, dando vita ad un’esperienza importante di discussione, di relazione e di proposta politica.
Queste assemblee hanno rappresentato un dato molto positivo per la partecipazione, per la discussione approfondita, per lo spirito unitario che le ha animate e per l’interesse e il consenso che hanno ricevuto (e sono stati recepiti) contenuti di radicale alternativa alle politiche liberiste, al cappio del debito, alla distruzione del bene pubblico. Contenuti di radicalità che si sono sempre accompagnati all’affermazione di una collocazione a sinistra e alternativa al centrosinistra. Un percorso che parte dal basso e vuole fare a meno di leader, di schemi predefiniti, di una politica ormai vecchia e assolutamente distante dai bisogni, dalle speranze e dalle passioni di lavoratrici e lavoratori (precari e non), disoccupate/i, pensionate/i, giovani.
Questo percorso rappresenta una grande occasione che rischia di non essere sfruttata, anzi, di essere sacrificata sull’altare delle alleanze politiche verticistiche. Il gioco su più tavoli di forze politiche già del centrosinistra (Prc, Idv, Verdi) in cerca di uno spazio certo per tornare in parlamento; l’autoproclamazione di un magistrato come Ingroia che fa un suo “decalogo” politicamente non certo di sinistra e con punti per noi inaccettabili (a partire dall’assurda idea che oggi gli imprenditori abbiano ancora “lacci e laccioli” burocratici o di tasse, oppure sulla scuola dove non si può avallare l’ideologia del “merito” con cui sono stati troppo spesso giustificati enormi tagli di risorse all’istruzione pubblica statale) e farà una sua assemblea preventiva il 21 dicembre; contemporaneamente De Magistris convoca una sua assemblea e ora parteciperà a quella di Ingoia insieme a Leoluca Orlando – assemblea che ovviamente definirà i confini dell’alleanza e si prefigge di tenere aperti i canali di comunicazione con il centrosinistra: tutto questo rappresenta il rientro dalla finestra delle manovre politiciste che si volevano far uscire dalla porta e il riproporsi di logiche elitarie e di non rispetto delle discussioni delle assemblee locali.
Allo stesso tempo ci pare contraddittorio che forze (come il Prc) che partecipano a questo progetto che dovrebbe essere alternativo al centrosinistra si alleino in Lombardia, Lazio, Friuli, con lo stesso centrosinistra a guida PD – a volte sostenendo candidati che con il progressismo e la sinistra proprio nulla hanno a che fare (come Umberto Ambrosoli). 

Così non si cambia, davvero!
Abbiamo partecipato alle assemblee portando le nostre idee, le nostre proposte, i nostri legami sociali, il nostro modo di concepire la politica, dal basso e a sinistra.
Parteciperemo all’assemblea nazionale del 22 dicembre ancora con questo spirito costruttivo e l’interesse per un’occasione da non perdere per costruire un’alternativa al centrosinistra, con il quale non si possono e non si devono fare accordi politici, elettorali e di governo. Un’alternativa con chiari e forti punti programmatici, che partono dai “10 punti” di “Cambiare si può” e vadano oltre – come abbiamo espresso nei nostri interventi di queste settimane (che si possono leggere sul sito sinistracritica.org).
Se il cammino finora percorso continuerà sullo stesso indirizzo, con le stesse modalità, con la stessa radicalità e spirito alternativo, sosterremo fino in fondo questa esperienza elettorale.
Ma non potremo farlo con i Di Pietro, i Diliberto, gli Orlando – che sono parte del problema della sinistra, non la soluzione. E questo non per volontà di esclusione aprioristica, ma per le loro politiche di questi anni, per la loro mancata opposizione (o addirittura accettazione) a provvedimenti pesanti per lavoratrici e lavoratori, per la loro concezione di una “politica politicante”
 
Cambiare si può, ancora. Proviamoci.

14 dicembre 2012

Il secondo default della Grecia

di Guido Viale
il manifesto 14/12/2012
Concentrata sulle dimissioni di Monti e sulla ridiscesa in camposanto (ovviamente in senso metaforico) di Berlusconi, la stampa nazionale ha dato poco rilievo a una notizia che invece ne meritava assai di più. Per la seconda volta nel giro di un anno o poco più lo Stato greco è fallito: cioè ha ristrutturato il suo debito con una manovra che altrove si chiama default, e che consiste nella decisione di rimborsare solo in minima parte un debito in scadenza; una specie di "concordato preventivo". Tutto su indicazione della Troika (Bce, Fmi e Commissione europea), del Governo tedesco e di tutti gli altri Stati che in questi tre anni hanno imposto alla Grecia, alla sua economia e alla sua popolazione, di andare i malora.
Se quella ristrutturazione fosse stata fatta tre anni fa, allo stesso costo, l'economia greca sarebbe ancora in piedi e l'euro e l'Unione europea non ne avrebbero subito i contraccolpi che hanno spinto l'intero continente (Germania compresa: anche lì la crisi è alle porte) verso il cosiddetto double dip : cioè una ricaduta nella crisi molto peggiore della prima.
Ma chi sono i responsabili di questa situazione? Sapientoni come Trichet, Draghi e Monti che vivono solo di spread e denaro e non sanno niente del sangue che scorre nelle vene e nei corpi della gente che governano; o, meglio, che amministrano. Nessuno di loro aveva previsto la crisi: né la prima né la seconda. E Monti, dopo il primo memorandum della Troika che aveva messo la Grecia alle corde, sosteneva che quel paese aveva finalmente imboccato la strada della ripresa. Così, diventato Presidente del Consiglio, ha lavorato e ancora lavora per fare imboccare all'Italia la stessa strada; sostenendo, naturalmente, che sta salvando il paese.
Ma è molto interessante il meccanismo di questo secondo default della Grecia. Il governo greco ha ricomprato una grande quantità di propri titoli di debito (ormai considerati carta straccia) pagandoli meno di un terzo del loro valore di emissione. Per farlo ha utilizzato fondi concessi dall'Esfs (il cosiddetto "fondo salvastati") che a sua volta li ha avuti in prestito dalla Bce. Questi fondi sono garantiti da tutti gli Stati dell'eurozona, i cui debiti pubblici sono così aumentati in misura proporzionale ai rispettivi Pil. E fin qui, niente di male: solidarietà, si potrebbe dire. Ma a chi sono finiti i fondi con cui il governo greco ha ricomprato quei titoli? In parte alle banche greche, sull'orlo del fallimento per le operazioni speculative che hanno messo in atto negli anni passati.
Per questo il Governo greco si appresta a sostenerle con un'altra tranche di un nuovo prestito concesso dalla Troika, utilizzando anche in questo caso fondi dell'Esfs. Con questa operazione, da un lato le banche ci perdono, perché rivendono a 10 quello che avevano comprato a 30 (ma che in realtà non valeva più niente). Dall'altro vengono ricompensate con denaro fresco, che non saranno mai più in grado di restituire (pronte, magari, a utilizzarlo in nuove operazioni speculative).
Ma in parte a rivendere al governo greco quei titoli sono stati degli hedge fund (fondi speculativi) che li hanno comprati da chi ancora li deteneva per niente, o quasi, sicuri di poterli rivendere a un prezzo molto più alto, anche se inferiore al loro valore nominale, una volta che la Troika avesse imposto al Governo greco di ricomprarli. Si tratta di quegli stessi hedge fund che con le loro manovre governano come vogliono i cosiddetti "mercati", per lo più con operazioni "allo scoperto": cioè vendendo titoli che non hanno ancora o comprandoli senza avere il denaro per pagarli, giocando sulle oscillazioni degli spread che essi stessi provocano con queste operazioni.
In sostanza il circuito è questo: il governo Monti, e prima di lui quello Berlusconi, mettono alla fame pensionati, lavoratori, studenti e disoccupati per ridurre la spesa pubblica e pagare gli interessi sul debito. La Bce da un lato finanzia a costo zero le banche che comprano quel debito, ricavandone lauti interessi; dall'altro finanzia, sempre a costo zero, l'Esfs, il quale finanzia il governo greco, il quale ricompra i propri titoli a un prezzo che fa guadagnare somme astronomiche agli speculatori che li hanno acquistati a pochi euro. Per la proprietà transitiva della finanza, quello che Monti - e il Monti che verrà dopo di lui, e il Berlusconi che è venuto prima di lui - sottrae a lavoratori, disoccupati e pensionati finisce, dopo un giro tortuoso, nelle tasche degli speculatori che lo usano per mettere alle corde il paese.
Si tratta di un meccanismo ben collaudato. L'Argentina, che ha appena varato una legge che vieta qualsiasi forma di speculazione, cioè di impiego di danaro che non sia il finanziamento di imprese produttive o di famiglie, è di nuovo sull'orlo del default , nonostante che la sua economia abbia ripreso a "girare", anche grazie alla rivolta popolare contro le politiche recessive adottate in passato. Perché? Perché è stata messa in mora - e rischia il sequestro di fondi e beni delle sue imprese, per esempio conti correnti per finanziare il normale commercio internazionale, o navi e aerei, con il loro carico, che sbarchino o atterrino all'estero da un tribunale degli Stati Uniti. Questo ha dato ragione a una serie di hedge fund che hanno rivendicato, e intendono ottenere, il pagamento integrale, al loro valore originario più gli interessi, dei titoli del debito argentino (i cosiddetti Tango bond) in loro possesso: titoli che hanno ricomprato a costo quasi zero da risparmiatori che non avevano accettato, perdendo così l'intero valore del loro investimento, una transazione proposta anni fa dal governo dell'Argentina.
Se ne ricava che senza una ristrutturazione del nostro debito pubblico, fatta prima che questa ci venga imposta, come alla Grecia, solo come misura per salvare banche in crisi e ingrassare speculatori d'assalto, l'Italia non potrà adottare autonomamente alcuna vera politica: né economica, né industriale, né sociale, né culturale e nemmeno civile (saremo sempre ostaggio anche del Vaticano, che di finanza, alta e bassa, se ne intende parecchio). E meno che mai si potrà promuovere un programma di conversione ecologica, necessario per ristabilire nel mondo giustizia sociale e sostenibilità ambientale. È questa la discriminante fondamentale tra chi si è aggregato al carro del centrosinistra, che è anche quello di Monti, e chi capisce che un mondo diverso può nascere solo da una netta contrapposizione di tutti i paesi dell'Europa mediterranea alle norme e ai vincoli con cui la finanza internazionale ha imbrigliato e sta condannando a morte l'economia e la convivenza civile di un intero continente.

12 dicembre 2012

Verona 15 dicembre: assemblea locale di Cambiare si può

Cambiare si può. Questa convinzione ce la danno ogni giorno i movimenti sociali e politici che non solo resistono alle politiche liberiste del governo Monti (come di quelli precedenti), ma lo fanno sulla base di una proposta forte di alternativa politica e sociale. Lotte sociali ed esperienze importanti che si sono però espressi in forma ancora troppo frammentaria ed inefficace; per questo la preoccupazione maggiore che abbiamo oggi di fronte non è solamente la possibilità di un ennesimo governo neoliberista – a guida del centrodestra o del centrosinistra – quanto la difficoltà a ricostruire un’opposizione politica e sociale a queste politiche. Non c'è dubbio che l'assenza di una lista alternativa alle prossime elezioni, con un programma se non anticapitalista almeno antiliberista e in grado di fare il controcanto alla vulgata liberista del rigore e dell'austerità, rappresenterebbe una grave mancanza. Servirebbbe una proposta fuori e contro qualsiasi coalizione con il PD – evitando le contraddizioni di un sostegno al centrosinistra in regioni chiave come la Lombardia e il Lazio; una proposta non finalizzata a riprodurre apparati, non meramente autorappresentativa, plurale, appetibile soprattutto per giovani generazioni e per i movimenti e per lavoratrici e lavoratori dal futuro sempre più incerto; una proposta che “ribalti” completamente gli attuali assetti della sinistra, le sue vecchie simbologie, i suoi ceti politici che si auto-riproducono, che punti quindi a far emergere un “nuovo” che non sia semplice ideologia nuovista ma valorizzi le esperienze di lotta e movimento, senza per questo cadere in opzioni già viste di “autopromozione” di nuovi ceti politici.

Con questo spirito Sinistra Critica ha partecipato all'assemblea nazionale di Cambiare si può del 1 dicembre scorso a Roma e parteciperà all'assemblea locale di questo sabato 15 dicembre a Verona.

L'INTERVENTO DI PIERO MAESTRI ALL'ASSEMBLEA CAMBIARE SI PUO'


Considerato il successo dell’assemblea indetta a Roma il primo Dicembre dai promotori dell’appello “CAMBIARE SI PUO’, NOI CI SIAMO”, ( Livio Pepino, Luciano Gallino, Marco Revelli, Paul Ginsburg, Guido Viale, Gianni e Tiziano Rinaldini ed altri) al quale hanno aderito anche Luigi De Magistris e Antonio Ingroia, invitiamo Sabato 15 Dicembre alle ore 15, presso la sala circoscrizionale di via Brunelleschi, i circoli, i movimenti, i comitati e tutte quelle realtà antagoniste che si sono caratterizzate in opposizione alle politiche del governo Monti, ad una assemblea cittadina per ragionare insieme sull’esito di tale iniziativa. E’ indubbio che tra il centro sinistra ed il movimento 5 stelle, esiste una vasta area di cittadinanza priva di rappresentanza, alla quale dare una prospettiva politica di cambiamento. E’ per questo che riteniamo utile aderire all’appello "Cambiare si può, noi ci siamo", promuovendo anche a Verona la costruzione di liste alternative di sinistra.

Sabato 15 dicembre ore 15
sala civica via Brunelleschi 12 (Verona)

interverrà Giuliana Beltrame del coord. naz. dell'appello Cambiare si può

Per costruire una presenza alternativa alle elezioni poilitiche 2013

Primi firmatari per Verona: Simonetta Venturini, Marco Frapporti, Giorgio Rametta, Dante Loi, Corraso Bares, Stefano Raccuglia, Fiorenzo Fasoli, Manuela Maccacaro

La settimana arancione

Sono forse i giorni decisivi per la nascita di una lista alternativa al centrosinistra. Il ritorno di Berlusconi, però, frena i soggetti in campo. Ogni cosa può accadere

di Salvatore Cannavò
ilmegafonoquotidiano.it
Potrebbe essere definita la settimana "arancione" quella iniziata lunedì 10 dicembre. Segnata profondamente dall’ennesimo “ritorno del Caimano”, nei prossimi giorni si terranno alcuni appuntamenti che contribuiranno a definire la mappatura politica alle prossime elezioni. Il più importante è la convention di Luigi De Magistris, che si terrà il 12 dicembre a Roma; poi le assemblee provinciali di "Cambiare si può" previste nel fine settimana e l'assemblea nazionale dell'Italia dei Valori che si terrà il 15 dicembre. Saranno questi appuntamenti che stabiliranno se ci sarà o meno una lista alternativa al Pd alle prossime elezioni, che tipo di lista sarà, con quali soggetti, programmi e obiettivi.
La novità della svolta berlusconiana, però, non potrà non tenere banco. A parte il fatto che il ritorno del Cavaliere rigetta il quadro politico all’indietro di diversi anni, la "svolta", ampiamente attendibile, sia chiaro, si porta dietro la mossa, ben più rilevante, che si appresta a compiere Mario Monti. E questo scombina non poco i piani di Pierluigi Bersani, vincente alle primarie del centrosinistra e che pensava di correre in un contesto privo di reali contendenti. Il segretario del Pd, invece, si trova di fronte "due destre" di tipo diverse una delle quali, Monti, è sua alleata nell'attuale governo e che rappresenta un mondo con il quale il premier "in pectore" non vuole confliggere. Si guardi all'intervista al Wall Street Journal in cui ha rassicurato la comunità finanziaria internazionale.
Monti e Berlusconi, però, rappresentano anche una possibile sfida nella sfida che mette un po' ai margini colui che, con le primarie, sembrava l'unico protagonista della prossima stagione politica ed è soprattutto per questo che Pierluigi Bersani ha chiesto a Mario Monti di non intestarsi nessuna lista promettendogli il Quirinale.
Difficile dire se la mossa riuscirà: l'attuale presidente del Consiglio si è rivelato persona cinica e scaltra ed è probabile che, pur non impegnandosi direttamente, cercherà di benedire quella lista a cui si stanno impegnando i vari Montezemolo, Casini e diversi transfughi del Pdl a cominciare dalla corrente ciellina.
La novità, però, potrebbe rendere molto più arduo costituire una lista di "sinistra" alternativa vista la presa, sempre forte, dell'antiberlusconismo classico. Gli echi si sono fatti già sentire e i vecchi richiami sono stati già attivati. Berlusconi non ha nessuna chance di vincere ma il solo fatto di vederlo in circolazione, impegnato in una nuova campagna elettorale, renderà difficile, per molti, l'impegno in una operazione che potrebbe far perdere voti a sinistra al Pd e ai suoi alleati.
Per questo i riflettori vanno puntati soprattutto sulla convention che Luigi De Magistris terrà il 12 dicembre al teatro Eliseo di Roma dove lancerà il "Movimento arancione" e dove dovrà chiarire se si tratterà di una costola del centrosinistra o se invece punterà a collocarsi al di fuori delle alleanze. Strettamente connesso a quel che farà il primo cittadino napoletano è poi l’iniziativa di Antonio Di Pietro, in caduta libera nei sondaggi ma certamente indisponibile a lasciare libero il campo. Di Pietro terrà l’assemblea generale dell’Italia dei Valori il 15 dicembre presso il Marriott Park Hotel di Roma per dimostrare che l’Idv “c’è ed esiste ancora ed è fortemente determinata a rilanciare la propria azione politica”. La tentazione di una ricucitura con il Pd è fortissima ma non è detto che siano realizzabili i canali di comunicazione. Anche in questo caso, la tentazione di una lista alternativa, con il proposito di divenire indispensabili dopo le elezioni per formare un nuovo governo, sarà forte. Ma anche questa eventualità, con la presenza di Berlusconi ed esposti all'accusa di poter fare il gioco del "caimano", è rischiosa.
Contemporaneamente a questi appuntamenti si terrà la due giorni di “Cambiare si può”, il 14 e 15 dicembre, come deciso all’assemblea del 1 dicembre cui hanno preso parte lo stesso De Magistris e anche il magistrato Antonio Ingroia. Si discuterà a livello provinciale della possibilità di “una proposta elettorale autonoma e nuova, anche nel metodo, capace di parlare a un’ampia parte del Paese”. Nelle conclusioni di quell'assemblea, Marco Revelli è stato molto prudente nel lanciare l'ipotesi di una lista alternativa e diversi interventi hanno sottolineato la pericolosità di lanciarsi in un'avvenutura elettorale senza aver solidificato finora nulla. Anche perché, è chiaro a molti che la partita si giocherà soprattutto tra i soggetti indicati sopra e la lista di Beppe Grillo, l'unico vero catalizzatore del voto di protesta (che con le sue "parlamentarie" ha, però, offerto una concezione della partecipazione diretta piuttosto misera e manipolata).
Non c'è dubbio che l'assenza di una lista alternativa alle prossime elezioni, con un programma se non anticapitalista almeno antiliberista e in grado di fare il controcanto alla vulgata liberista del rigore e dell'austerità, rappresenterebbe una grave mancanza. In ogni caso, sarebbe l'esatta fotografia della situazione attuale in cui le forze di sinistra rasentano il minimo storico, poco in grado di riattivarsi e di parlare un linguaggio attraente e in sintonia con i grumi di rabbia sociale che si colgono dappertutto. Per fare questo servirebbe una buona dose di coraggio, abbandonare involucri desueti e lanciarsi con più determinazione verso le novità della fase. Nessuna delle forze in campo sembra volersi cimentare in questa impresa - in cui l'innovazione andrebbe coniugata alla radicalità - e questo, forse, è il limite sostanziale.
In ogni caso, le carte stanno per essere distribuite e ognuno dei soggetti in campo farà il suo gioco.

Intervento di Piero Maestri (Sinistra Critica) all’assemblea di “Cambiare si può”

Carissime e carissimi,
siamo qui oggi perché anche noi convinte/i che c’è un urgente bisogno di cambiare, e che “cambiare si può”.
Questa convinzione ce la danno ogni giorno i movimenti sociali e politici che non solo resistono alle politiche liberiste del governo Monti (come di quelli precedenti), ma lo fanno sulla base di una proposta forte di alternativa politica e sociale: il movimento NoTav – che da anni resiste di fronte ad uno scempio del territorio per affermare un’altra idea del bene comune e della democrazia; il movimento degli studenti e degli insegnanti, che difendono non la scuola esistente, ma la possibilità di una scuola davvero pubblica e che sia luogo di formazione e crescita culturale; le/i giovani che si battono per conquistare un futuro degno; le lavoratrici dell’ospedale S.Raffaele di Milano, che difendono il loro posto di lavoro difendendo il ruolo fondamentale della sanità pubblica; le centinaia di vertenze di lavoratrici e lavoratori in difesa del posto di lavoro; le esperienze di comitati contro il debito e per l’audit cittadino; le/i precarie/i che affermano il loro bisogno di reddito e diritti e tanti altri movimenti e iniziative; gli operai e i cittadini di Taranto che non vogliono scegliere tra lavoro, diritti e salute, perché salute e lavoro devono essere un diritto per tutte e tutti.
Lotte sociali ed esperienze importanti che si sono però espressi in forma ancora troppo frammentaria ed inefficace; per questo la preoccupazione maggiore che abbiamo oggi di fronte non è solamente la possibilità di un ennesimo governo neoliberista – a guida del centrodestra o del centrosinistra – quanto la difficoltà a ricostruire un’opposizione politica e sociale a queste politiche. Un’opposizione che deve evidentemente collocarsi in una posizione alternativa al centrosinistra, senza alcuna possibilità di accordi prima o dopo le elezioni con quest’ultimo.
Crediamo sia necessario e possibile un progetto elettorale alternativo che sappia collegarsi e saper parlare a quelle mobilitazioni e al potenziale di radicalizzazione sociale, con un programma all’altezza della sfida delle politiche di austerità e dei ricatti della Troika e della Bce e del governo Monti che parta dai bisogni sociali dei soggetti prima citati.
Una coalizione che abbia chiari riferimenti programmatici, antiliberisti e di rilancio di un’economia sociale e che risponda ai bisogni dei più deboli.
Condividiamo le proposte sottolineate da Livio Pepino nella sua introduzione. Aggiungeremmo da parte nostra il rifiuto del pagamento del debito – perché sul ricatto del debito sono fondate le politiche di austerità; una decisa caratterizzazione di genere, non solo per la difesa delle condizioni di vita e dei diritti delle donne, ma che apra definitivamente alla loro partecipazione al processo decisionale; una politica di garanzia dei diritti delle persone Lgbt e per un allargamento dei diritti civili e sociali; la cancellazione delle leggi che producono razzismo e clandestinità e per la libertà di movimento e soggiorno per le donne e gli uomini migranti, la difesa dei diritti di lavoratrici e lavoratori – che devono riconquistare garanzie, poteri di rappresentanza, salari dignitosi; per il reddito e una nuova stagione di diritti che metta fine alle leggi “precarizzanti” come il pacchetto Treu, la legge 30, la riforma Fornero; contro il patto per la “produttività”.
È sulla base di questi contenuti che possiamo scrivere un programma condiviso. E su quel programma costruire una proposta elettorale alternativa con alcune caratteristiche chiare:
* fuori a alternativa dal centrosinistra, prima e dopo le elezioni – non solo per i suoi programmi attuali ma per quello che ha fatto e fa tutti i giorni (per fare solo un esempio, chi oggi come Nichi Vendola chiede la cancellazione del progetto degli aerei F35, sembra dimenticarsi, un po’ ipocritamente, che quel progetto fu firmato da Forceri, sottosegretario del governo Prodi che lui stesso appoggiava);
* un progetto che vada oltre le esperienze del passato e non ne ricalchi gli errori; una proposta fuori e contro qualsiasi coalizione con il PD – evitando le contraddizioni di un sostegno al centrosinistra in regioni chiave come la Lombardia e il Lazio; una proposta nuova, interessante e utile, non finalizzata a riprodurre apparati, non meramente autorappresentativa, plurale, appetibile soprattutto per giovani generazioni e per i movimenti e per lavoratrici e lavoratori dal futuro sempre più incerto; una proposta che “ribalti” completamente gli attuali assetti della sinistra, le sue vecchie simbologie, i suoi ceti politici che si auto-riproducono, che punti quindi a far emergere un “nuovo” che non sia semplice ideologia nuovista ma valorizzi le esperienze di lotta e movimento, senza per questo cadere in opzioni già viste di “autopromozione” di nuovi ceti politici.
Evitando anche di innamorarsi di nuove iconografie, come quella «arancione», che vista da Milano è solamente un «centrosinistra dal volto umano».
Facciamo quindi tutti un passo indietro per far entrare in campo nuove forze sociali e di movimento.
Questa proposta deve essere quindi capace di dare vita ad una dinamica partecipata, con assemblee locali aperte e democratiche, nelle quali si possano scegliere in maniera trasparente e condivisa programmi, candidature, forme della campagna elettorale.
Come? Siamo d’accordo con la proposta di comitati promotori locali che già da domani siano il riferimento di questo progetto e siano capaci di coinvolgere sul territorio le realtà sociali più interessanti, le esperienze di lotta, i comitati di difesa del territorio e, soprattutto, una giovane generazione che non sia ancora stata toccata dalle esperienze (spesso fallimentari) di passate elezioni.
In quei comitati si dovranno trovare regole certe e condivise per la scelta dei programmi,delle candidature, dei contenuti e delle modalità della campagna elettorale.
Una proposta finale sulla necessità di valorizzare il ruolo delle compagne e delle donne: loro stesse che partecipano a questo progetto decidano – nel caso sia necessaria per la legge elettorale un’indicazione per il/la “premier” – la donna che possa rappresentare questa candidatura. E diventi riferimento per tutte e tutti.

In difesa della rivoluzione tunisina. Solidarietà con lo sciopero generale del 13 dicembre!

Giovedi 13 dicembre, per la terza volta nella sua lunga storia, l’UGTT (Unione generale tunisina del lavoro) convoca una giornata di sciopero generale: in questo modo, non solo protesta contro l’attacco del 4 dicembre alla sua sede nazionale da parte delle milizie islamiste, ma sceglie di difendere il futuro stessi della rivoluzione.
Se il partito al potere Ennadha lancia le sue milizie all’assalto delle sedi sindacali è perché ritiene che l’UGTT sia la spina dorsale della resistenza al tentativo di sottoporre l’intera società al suo modello reazionario e religioso.
Da diversi mesi Ennadha ha moltiplicato i suoi attacchi contro i lavoratori, le donne e i giovani. Visibilmente, il fatto che abbia dovuto fare qualche passo indietro dopo lo sciopero generale di Siliana della scorsa settimana, ha portato Ennadha a cercare di terrorizzare gli attivisti sindacali.
Se Ennadha vuole spezzare la centrale sindacale UGTT è perché questa gioca un ruolo insostituibile nella resistenza al perseguimento delle politiche economiche neoliberiste e sociali ereditate da Ben Ali. In particolare il potere vorrebbe continuare a vendere le società pubbliche ai suoi amici dal Qatar.
Se Ennedha si comporta in questo modo è anche perché l’UGTT, che mantiene legami di lunga data con le organizzazioni femministe, rappresenta un ostacolo nel suo desiderio di sfidare gli ampi diritti a partire dal 1956.
La rivoluzione tunisina si trova oggi di fronte a un bivio: attaccando le sedi dell’organizzazione sindacale che è stata la base del movimento per l’indipendenza, Ennadha vuole provocare una rottura; vuole scrivere una nuova storia basata su principi reazionari e religiosi.
La lunga tradizione di lotte del popolo tunisino rende possibile una controffensiva vittoriosa, come dimostrano l’ampiezza degli scioperi e delle manifestazioni regionali che sono seguite immediatamente all’attacco del quartier generale della UGTT il 4 dicembre.
La Quarta Internazionale e le sue sezioni esprimono la loro più forte solidarietà allo sciopero generale di giovedì 13 dicembre e si impegna a promuovere una più ampia solidarietà alla stessa giornata di sciopero.
Parigi, 9 dicembre 2012