29 settembre 2010

Gaza, armi non convenzionali: guerra ‘sperimentale’ e danni collaterali

Ferite e amputazioni non provocate da frammenti di bombe ma da metalli tossici e sostanze carcinogene. La guerra ‘nuova’ e i rischi per la popolazione. Intervista a Paola Manduca, del gruppo di ricerca New Weapons
Israele ha firmato nel 1993 la Convenzione di Parigi sulle armi chimiche (sviluppo, produzione, immagazzinamento e uso, CWC in inglese). La convenzione, uno dei maggiori risultati della Conferenza sul Disarmo delle NU, è entrata in vigore nel 1997, ma Israele non l’ha mai ratificata. Così come non ha mai aderito al Trattato sulle armi biologiche e batteriologiche, (BWC) entrato in vigore nel 1975.
Già nel 2006 il gruppo del New Weapons Research - una commissione indipendente di scienziati ed altri esperti internazionali che studiano l'impiego delle armi non convenzionali e i loro effetti - aveva denunciato l’uso di armi con caratteristiche tali da essere in contrasto con le convenzioni di Ginevra (armi termobariche in luoghi aperti, armi senza frammenti), armi usate dall’esercito israeliano che hanno prodotto danni di portata sconosciuta sia in Libano che a Gaza.
A maggio New Weapons ha redatto e diffuso un nuovo report in cui dimostra la presenza di metalli tossici e carcinogeni nei tessuti di feriti a Gaza tra il 2006 e il 2009, durante le operazioni militari condotte da Israele. I tessuti sono stati esaminati partendo da biopsie di ferite senza frammenti effettuate dai medici dell’ospedale Al Shifa di Gaza e sono stati analizzati in tre diverse università (Italia, Svezia e Libano). Ne abbiamo parlato con Paola Manduca, docente di biologia genetica all’Università di Genova e coordinatrice del gruppo di ricerca New Weapons.


Perchè avete scelto un’indagine su ferite non procurate da schegge o frammenti?
Ferite di questo tipo sono state segnalate dai medici di Gaza ma anche del Libano già dal 2006. Indicano che si tratta di armi non convenzionali, di fatto sconosciute o di cui si sa veramente molto poco, soprattutto i cui effetti sono ancora in fase di accertamento e di studio.
Già nel 2006 i medici libanesi e di Gaza ci avevano contattato perchè riscontravano ferite in assenza di frammenti o schegge: per esempio, i pazienti venivano trattati come casi simili a ferite amputanti ma spesso seguivano esiti sconosciuti, in alcuni casi anche la morte del paziente. Nel caso in cui si sono effettuate autopsie si sono riscontrati danni ad organi interni, soprattutto al fegato. In questa ultima ricerca, abbiamo scoperto che queste armi non convenzionali lasciano dei metalli all’interno delle ferite, metalli che si depositano sulla pelle e all’interno del derma.

Da una analisi per misurare la presenza di 32 metalli nelle biopsie, si dimostra la presenza in dosi più o meno elevate, ma sempre maggiori che nei tessuti normali, di sostanze altamente carcinogene (come il mercurio, l’arsenico, l’uranio), di altre potenzialmente carcinogene (ad esempio il cobalto), altre tossiche per il feto (come ad esempio alluminio, rame). Per gli effetti dei metalli vi siete basati su una letteratura medico-scientifica già esistente?
La nostra indagine si è basata su una letteratura medico-scientifica già esistente, ovviamente. Ma le conoscenze rispetto allo spettro di agenti che abbiamo individuato sono relativamente limitate. Si conosce l’effetto della assunzione di alcuni di questi metalli, se assunti singolarmente, come ad esempio nel caso di lavoratori coinvolti in processi che li usano. Ma non si conoscono gli effetti che i metalli possono avere se assunti in associazione e si conosce ancora poco sulla modalità con cui ogni metallo è più o meno in grado di interferire con diversi meccanismi all’interno dell’organismo. Non solo: l’effetto dell’assunzione in eccesso di un metallo può modulare la capacità di trattenere o di espellere un altro metallo, quindi scientificamente ci sono delle conoscenze base ma c’è ancora tanto da fare.

Alcuni dei metalli individuati sono in grado di produrre mutazioni genetiche, che cosa si intende esattamente?
Innanzitutto si possono causare gravi danni all’organismo, anche se non si provocano mutazioni genetiche. Detto questo, alcuni di questi metalli sono noti carcinogeni: è stato cioè dimostrato che possono provocare tumori, il che significa che possono anche provocare mutazioni genetiche. Questi stessi metalli carcinogeni possono anche causare un grave malfuzionamento a livello cellulare, quindi dare luogo a patologie.
Altri dei metalli individuati sono metalli noti perché associati a malattie croniche o in grado di indurre malattie o malformazioni in particolari comparti durante lo sviluppo dell’embrione. In questo caso non si può parlare di mutazione genetica ma di uno sbilanciamento complessivo, un malfunzionamento ereditabile anche se non c’è un danno al DNA. Quindi questi metalli pur non comportando una mutazione genetica diretta comportano una alterazione funzionale, che può anche essere ereditabile e quindi altrettanto grave.

Puoi farci qualche esempio di metalli e degli effetti tossici o patologie provocate?
Abbiamo trovato alte percentuali di alluminio, per esempio, che è un tossicante, è associato a malattie dell’apparato nervoso e all’alzheimer e anche all’incidenza di malformazioni infantili. È un metallo che viene anche assorbito dalla pelle e quindi è in grado di oltrepassare la placenta e danneggiare l’embrione. Anche il molibdeno è assorbito dalla pelle, è fetotossico e può provocare patologie croniche nell’apparato riproduttivo.

Si può quantificare quanto a lungo le sostanze rilasciate dalle armi rimangono nel derma?
Non abbiamo alcuna certezza sul raggio di diffusione nel corpo di queste sostanze.

Si può quantificare quale sia il raggio di esposizione ai metalli?
Per quanto riguarda la diffusione nell’ambiente, per esempio, i filtri delle munizioni al fosforo, che hanno una densità relativamente bassa perché sono di materiale spongioso (se la munizone è esplosa in aria, come a Gaza, dove la pioggia incendiaria che abbiamo visto nelle immagini è una pioggia di filtri imbevuti di fosforo) si diffondono per un raggio di 250-500 metri. I filtri sono di bassa densità, mentre i metalli contenuti in queste munizioni hanno una densità maggiore e quindi probabilmente si disperdono diversamente, ma non possiamo dire se si espandano su un raggio più ampio.

Si può quantificare l’esposizione della popolazione?
Uno dei metodi più diretti per conoscere il livello di esposizione ambientale, anche riconosciuto dalla Agenzia per l’energia Atomica (IAEA), è quello che abbiamo usato in una precedente indagine, cioè l’analisi dell’accumulo di metalli nei capelli. Abbiamo individuato tracce di metalli carcinogeni e tossici come uranio, tungsteno e alluminio nei capelli di un centinaio di bambini palestinesi che vivono nelle zone colpite dai bombardamenti, che rivelano un’esposizione avvenuta nei mesi tra agosto e dicembre 2009.
I metalli tendono a permanere nei capelli per tempi diversi, alcuni per anni, altri per periodi più brevi, e il fattore durata dipende dal metallo e dall’equilibrio dall’organismo. Sui tempi di permanenza della contaminazione così rilevata si può dire davvero poco. Possiamo però dire per certo che chi li ha assunti e accumulati è sottoposto a un rischio che si estende nel tempo se non cambia la esposizione ambientale o se non si riesca a produrne la eliminazione degli eccessi ed il riequilibrio dell’organismo.
E in un posto come Gaza, dove la popolazione è imprigionata da un assedio che dura da oltre tre anni, è possibile anche solo pensare a una bonifica del territorio?
Visto che i palestinesi della Striscia di Gaza non possono né uscire né entrare e vivono in una condizione di sovraffollamento, la bonifica del territorio non è certo praticabile. Inoltre visto che la popolazione civile continua a vivere in condizioni abitative precarie, anche in tende, i bambini continuano a giocare tra le macerie degli edifici bombardati, il livello potenziale di esposizione è ancora più elevato. I crateri di bombe sono contaminati da metalli carcinogenici e l’uso di armi senza frammenti (che contengono metalli) hanno probabilmente lasciato questi metalli che vengono inalati non solo nel momento dello scoppio e dalla persona ferita, ma anche dalle persone che in quell’area continuano a vivere. Il rischio di contaminazione non c’è solo per le persone coinvolte direttamente ma anche per quelle non colpite.

Si può risalire con certezza alla tipologia delle armi e al marchio di fabbricazione?
Per le armi al fosforo sicuramente sì, perché si sono ritrovati in numero abbondante diversi involucri di armi. Sono convinta che si potrebbe risalire anche ad altre armi, così anche in Libano, perché sono state conservate. Occorrerebbe qualcuno che facesse questo tipo di indagine.
Le munizioni al fosforo ritrovate sono di produzione statunitense. Per bombe più grandi come quelle a frammentazione, in cui l’involucro esplode, è più difficile identificare i numeri che farebbero risalire al tipo d’arma e non mi risulta che nessuno lo abbia fatto.

Gaza si differenzia da altre situazioni come l’Iraq o l’Afghanistan?
Gaza, come pure il Libano, sono gli unici luoghi da dove, a partire dal 2006, sono arrivate a noi diverse informazioni sull’uso delle armi non a frammentazione, e dove per certo sappiamo che sono state sperimentate le armi cosidette a danno collaterale limitato. Mentre nessun report simile ci è arrivato dai medici dell’Iraq. Dalla guerra in Afghanistan in poi si sono sviluppati sistemi di nuove armi, spesso modificando quelle già esistenti, sono state usate armi amputanti o armi a bassa intensità, anche mirate non a uccidere ma a colpire precisi soggetti, o modulate in intensità quali quelle usate in Libano e Gaza contro bambini. L’Iraq e l’ Afghanistan sono luoghi però da cui qualsiasi osservatore è stato mandato via e in buona parte è fuggito anche il personale medico, pertanto è molto difficile avere informazioni, date le condizioni di sicurezza, e anche chi sa parla poco. A Gaza ed in Libano i dati sono stati più accessibili e anzi sono stati gli stessi medici a rivolgersi a noi. Le armi al fosforo usate a Gaza sono simili se non identiche a quelle usate in Iraq.

In questi due anni il NWRC ha realizzato verifiche scientifiche con tecniche di istologia, microscopia elettronica a scansione e per spettrometria di massa su biopsie da vittime della guerra del 2006 e insieme a dottori libanesi e palestinesi ha raccolto casistica clinica e documentazione dalle quali emerge che bombe termobariche, small bombs caricate a metalli e ad esplosione mirata anche ad intensità subletale sono state usate nelle guerre del 2006 in Libano e a Gaza e ancora nel 2009 a Gaza. (Informazioni: www.newweapons.org)

28 settembre 2010

Brescia: protesta ad oltranza per la sanatoria colf e badanti

Sanatoria subito e per tutti: con questo slogan e’ partita questa mattina a Brescia una protesta ad oltranza per richiedere la regolarizzazione di tutte le persone migranti che hanno presentato la domanda di sanatoria nel settembre del 2009. Ad un anno di distanza si registrano ritardi clamorosi oltre a rigetti delle domande e si configura una vera e propria truffa ai danni dei migranti. A livello nazionale su 300mila domande, solo 170mila sono state esaminate e 130mila restano inevase; i rigetti sono stati oltre 20mila. A Brescia, secondo i dati forniti oggi dalla Prefettura, le domande sono state 11200, circa 7000 hanno avuto risposta e circa 4000 sono ancora in attesa; i rigetti sarebbero circa 1000 anche se per l’ufficio immigrati della CGIL e per gli avvocati dell’associazione Diritti per tutti sono molti di piu’.
La motivazione principale per i rigetti e’ la condanna per clandestinita’ che molti migranti hanno subito negli anni scorsi, cioe’ la condanna senza aver commesso reati ma solo per il fatto di essere stati fermati senza permesso di soggiorno. La protesta e’ cominciata in Piazza Loggia verso le ore 10 poi dopo un breve corteo che si e’ ingrossato man mano arrivando a contare diverse centinaia di persone ci si e’ spostati sotto il Palazzo della Prefettura dove una delegazione e’ stata ricevuta dal viceprefetto. Il corteo e’ poi ripartito lungo le vie del “ring” cittadino, arrivando sotto la sede del TAR per un presidio di protesta e ripartendo in seguito per concludersi verso le 16,30 davanti all’ufficio unico della Prefettura di via Lupi di Toscana (ex caserma Randaccio) dove si e’ insediato il presidio permanente ed e’ iniziato lo sciopero della fame: la protesta proseguira’ ad oltranza, 24 ore su 24 e davanti all’ufficio delle Prefettura sono state montate tende dove trascorrere la notte.
Associazione Diritti per tutti

Gelmini: studenti “soldato” nei licei, impareranno a sparare. Il declino inarrestabile della scuola italiana.


Mai la scuola italiana aveva raggiunto, nel corso degli ultimi decenni, un livello così basso. Per molti quasi un punto di non ritorno. Lo confermano i dati statistici, lo stato degli atenei italiani, le difficoltà della didattica, gli scarsi risultati degli studenti (rispetto ai coetanei europei). La scuola italiana è al collasso, si sa, nonostante le tante riforme (pseudo-riforme) di questi ultimi anni. Un numero considerevole di tentativi che, invano, hanno cercato di dare un po’ di respiro al settore, senza riuscirci. Anzi, quello che abbiamo davanti è un quadro sempre più cupo, senza prospettive. E così, assistiamo, ad una serie di scandali, di decisioni eclatanti, spesso non conformi neanche alla stessa legge italiana. Lo sa il Ministro dell’Istruzione Gelmini, lo sanno gli operatori della scuola, lo sanno gli studenti. E dalla scuola di Adro al nuovo protocollo firmato fra il Ministro dell’Istruzione Gelmini e il Ministro della Difesa La Russa, il passo è davvero breve. Forse l’ultimo colpo di coda di un’estate “drammatica” per la scuola, che preannuncia un autunno davvero caldo, anzi, incandescente.

Lo chiamano “allenati per la vita” ed è un corso valido come credito formativo rivolto agli studenti dei licei. In realtà sembra un vero e proprio corso “paramilitare”. Non è uno scherzo. E’ un protocollo già firmato fra la Gelmini e La Russa. Ma cosa prevederà? Con grande pace della Gelmini, gli studenti dei licei impareranno a sparare con pistola (ad aria compressa), a tirare con l’arco, ad arrampicarsi, a eseguire perfettamente “percorsi ginnico-militari”. E quale sarebbe l’assurda spiegazione (motivazione) di questa nuova trovata “geniale” del Ministro Gelmini? Ecco la laconica ed “ipocrita” risposta: “Le attività in argomento permettono di avvicinare, in modo innovativo e coinvolgente, il mondo della scuola alla forze armate, alla protezione civile, alla croce rossa e ai gruppi volontari del soccorso”. Si tratta, in buona sostanza, di veicolare la pratica del mondo militare in quello della scuola: roba da altri tempi, tempi bui e, speriamo, non riproponibili. Ma la speranza “muore” leggendo, di fatto, in cosa consisterà la prova finale per il nuovo corso “allenati per la vita” (leggi corso “paramilitare”, ndr): “una gara pratica tra pattuglie di studenti”. No, non è un errore di battitura. La circolare parla proprio di “pattuglie” di studenti. A dir poco equivocabile e senza ritegno il termine utilizzato. Fosse solo il termine! E’ un progetto “innovativo” passato nel silenzio assoluto delle opposizioni. Ma anche questa, purtroppo, non è una novità.E con la nuova proposta Gelmini – La Russa , si allunga, di fatto, l’elenco degli incomprensibili provvedimenti del Ministro dell’Istruzione. I tagli alle elementari hanno eliminato qualsiasi potenzialità di realizzare il vero tempo pieno e ridotto gli spazi per progetti, uscite didattiche e laboratori. Non c’è un insegnante di sostegno ogni due studenti disabili, come prevede la legge, a tal punto che alcuni alunni vengono seguiti solo per cinque ore settimanali. Il provvedimento che prevede il numero maggiore di studenti per classe, da 27 a 35, viola apertamente il testo sulla sicurezza scolastica: Il D.M. Interno del 26/8/1992, recante “Norme di prevenzione incendi per l’edilizia scolastica”, al punto 5.0 (“Affollamento”) stabilisce che, al fine dell’evacuazione delle aule, il massimo affollamento ipotizzabile è fissato in 26 persone/aula ed al punto 5.6 (“Numero delle uscite”) che le porte devono avere larghezza di almeno m 1,20 ed aprirsi nel senso dell’esodo quando il numero massimo di persone presenti nell’aula sia superiore a 25 (quante scuole, in tutto il territorio nazionale, non sono in regola? La maggioranza). E la riduzione del tempo scuola nei licei artistici (11%) , nei licei linguistici (17%), negli istituti tecnici e professionali (diminuzione del 30% delle ore di laboratorio) a quale esigenza didattica di rinnovamento rispondono? Forse servono a far posto a pseudo-corsi di natura “paramilitare” come quello messo in campo dal duo Gelmini – La Russa? Tante sono le domande, poche le risposte e le certezze. Quello che appare chiaro, tuttavia, è che non basteranno anni di riforme e provvedimenti ad hoc per far risalire la china alla scuola italiana. E la trovata degli studenti soldato nei licei, a dir poco bizzarra, non va in quella direzione. Siamo al punto più basso della scuola italiana? Peggio di così non può andare? Seppur infinitamente poco consolatoria, dateci almeno questa, di certezza.

Emanuele Ameruso
Fonte:Famiglia Cristiana
(http://www.famigliacristiana.it/Informazione/News/articolo/la-scuola-militare.aspx)

26 settembre 2010

Governo, Rettori e Confindustria accelerano sull'approvazione della riforma. Fermiamoli!

Sta proseguendo il dibattito all'interno della Commissione Cultura della Camera. Nella giornata di ieri sono stati ascoltati i pareri della CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) e di Confindustria. L'indicazione unanime emersa è chiara: bisogna accelerare sui tempi di approvazione del DDL Gelmini ed il testo alla Camera non dovrà essere modificato rispetto a come è stato approvato dal Senato.
"La Riforma universitaria è un treno che non va perso e deve arrivare in porto rapidamente" ha dichiarato Enrico Decleva - Magnifico dell'università di Milano e presidente della Crui.
"Questa riforma deve passare come è uscita dal Senato» ha spiegato al termine dell'audizione il vice presidente di Confindustria per l'Education Gianfelice Rocca per il quale il ddl va approvato in aula entro metà ottobre, prima della sessione di bilancio.
Alle dichiarazioni di Crui e Confindustria hanno subito fatto seguito quelle del Governo che ha anticipato l'inizio della discussione della riforma alla Camera al 4 ottobre.

Governo, Rettori e Confindustria hanno dunque paura. Paura delle rivolte studentesche che stanno per esplodere in tutti gli atenei e in tutte le scuole italiane. Paura dell'indisponibilità dei ricercatori a sostenere incarichi didattici, forma di protesta che di fatto ha bloccato l'inizio degli anni accademici ovunque. Paura della diffusione virale della protesta, che dalle scuole e le università potrebbe allargarsi a macchia d'olio, legandosi alle lotte dei lavoratori come certamente avverrà il 16 ottobre, in occasione della manifestazione nazionale dei metalmeccanici.

Non abbiamo motivo dunque di essere preoccupati di questa anticipazione da parte del Governo che, anzi, è sintomo di estrema debolezza. E' necessario cominciare a mobilitarsi fin da subito in tutte le scuole e tutte le università, convocare assemblee di facoltà e d'ateneo, saldarsi fin da subito alla protesta dei ricercatori, degli insegnanti precari e alle lotte dell'intero mondo del lavoro.

Il Governo ha intenzione di discutere il DDL Gelmini il 4 ottobre alla Camera? Bene, noi ci saremo.

Ma allo stesso tempo riteniamo necessario guardare oltre la sola riforma Gelmini e affrontare i problemi della crisi e gli attacchi di Governo e Confindustria nel loro complesso. Non vogliamo il semplice ritiro di una riforma, non ci accontenteremo dei quattro spicci che ci regalerà Tremonti.
Noi vogliamo rovesciare un paradigma: quello per cui a pagare siano sempre lavoratori e lavoratrici, precari e precarie, studenti e studentesse. Con questa convinzione andremo avanti determinati, ci riapproprieremo della scuola e dell'università pubblica, conquisteremo diritti, difenderemo il lavoro, eroderemo i loro profitti.

Un autunno di grandi rivolte è alle porte, Governo e padroni lo hanno capito. Ora sta a noi non deluderli!

Ateneinrivolta - Roma

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22 settembre 2010

Dietro lo IOR, niente?

Il presidente Gotti Tedeschi e il direttore generale Cipriani indagati per violazione delle norme sull’antiriciclaggio.
di Anna Petrozzi - 21 settembre 2010
Aveva assicurato massima trasparenza e piena collaborazione con i magistrati il presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi quando lo scorso giugno e nel novembre 2009 un’inchiesta della procura di Roma aveva messo sotto la lente di ingrandimento alcune operazioni milionarie (in euro) avvenute tra la Banca vaticana e altri istituti di credito tra cui Unicredit, Intesa San Paolo e la Banca del Fucino. Ora la trasparenza non sarà sufficiente, il noto economista dovrà fornire risposte precise e circostanziate ai pm Nello Rossi e Stefano Rocco Fava che lo hanno iscritto nel registro degli indagati assieme al direttore generale Paolo Cipriani per violazione della legge antiriciclaggio.Dal 2003 infatti la Cassazione ha stabilito la competenza della giurisdizione italiana anche sullo Ior e la stessa Bankitalia con una circolare del 9 settembre scorso ha imposto controlli rafforzati anche sulla banca vaticana considerata come un istituto di credito comunitario.
In particolare la contestazione mossa ai due dirigenti riguarda i commi 2 e 3 dell’articolo 55 del decreto legislativo n.231 del 2007, vale a dire sono accusati di aver omesso di fornire le indicazioni richieste inerenti le generalità dei soggetti sul conto dei quali eseguivano le operazioni (comma 2) e gli scopi e la natura del rapporto continuativo o della prestazione professionale (comma 3).
Non vi è la prova del riciclaggio quindi, in effetti assai difficile da trovare. Ma la mancata segnalazione è comunque ritenuta ugualmente grave al punto che i due pm hanno ottenuto dal gip Maria Teresa Covatta il sequestro preventivo di 23 milioni di euro (su 28 complessivi) depositati presso un conto corrente aperto presso la sede romana del Credito Artigiano spa.
Secondo la ricostruzione si tratta del trasferimento di 20 milioni alla JP Morgan di Francoforte e di 3 alla Banca del Fucino. La transazione è stata segnalata come sospetta dall’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia (UIf) che ha quindi sospeso l’operazione per 5 giorni lavorativi consentendo così alla Guardia di Finanza di effettuare accertamenti.
La Santa Sede non ha esitato ad esprimere la propria solidarietà e fiducia a Gotti Tedeschi e Cipriani ribadendo il proprio impegno affinché lo Ior possa essere inserito nella cosiddetta “white list”, una sorta di lista dei buoni istituti che fanno della trasparenza un tratto distintivo.
Per quanto riguarda invece le transazioni in questione – si legge nella nota diffusa nella sala stampa vaticana – si tratta di operazioni di giroconto (cioè un trasferimento di denaro tra conti dello stesso proprietario) per tesoreria presso istituti di credito non italiano il cui destinatario è il medesimo Ior.
Questo spiegherebbe perché dietro i vari bonifici vi sarebbe solo l’acronimo della banca. I magistrati, al contrario, ipotizzano che proprio dietro la sigla Ior si possano nascondere persone fisiche o società che hanno utilizzato questi conti schermati come una via privilegiata per lo spostamento di capitali tra l’Italia e l’estero. L’indagine punta proprio a identificare gli eventuali beneficiari di titoli e operazioni per milioni di euro.
www.antimafiaduemila.com

18 settembre 2010

La Lega avanza in Fondazione Cariverona

BANCHE E POLITICA. Ieri pomeriggio il rinnovo dell'organismo collegiale di via Forti che vede almeno 11 consiglieri su 25 vicini all'area del Carroccio. Il Consiglio generale riconferma la fiducia al presidente Paolo Biasi. La sua elezione e quella del cda il 22 ottobre. Una sola sorpresa: Wilmo Ferrari dentro, Sardos fuori

La Lega fa il botto nella minirivoluzione del Consiglio generale della Fondazione Cariverona, presediuta da Paolo Biasi, rinnovato ieri nella sede di via Forti, per 25 su 32 componenti (sette membri non erano in scadenza). Il Carroccio del sindaco Flavio Tosi riesce così a piazzare 10 consiglieri (ma diventeranno 11) di militanza o di area leghista, sui 25, di cui 18 votati sulla base delle terne presentate e sette di nomina diretta. Dei 18 inoltre, 10 sono nuovi. A testimonianza di un cambio della guardia che deriva da nuovi equilibri politici, con il centrodestra (Lega e Pdl) in maggioranza. Ma, a questo punto, con la Lega sempre più determinante nel definire indirizzi e strategie della Fondazione bancaria, primo azionista italiano di Unicredit dove ha il 4,63 per cento delle quote.
AUTONOMIA. Ha presieduto la riunione di ieri Biasi, che in avvio ha informato il Consiglio sulle iniziative giudiziarie in corso che lo riguardano relativamente alla sua attività imprenditoriale. Dopo la comunicazione ha lasciato la seduta, da lì guidata dal vicepresidente Eugenio Caponi.
Il Consiglio a quel punto ha espresso la piena fiducia a Biasi non ravvisando, statuto alla mano, che vi fossero condizioni per una sua sospensione dall'incarico in Cariverona. E sottolineando la bontà dell'operato della Fondazione nel salvaguardare l'autonomia territoriale dell'ente e la sua progettualità e nell'assegnare denaro per attività di assistenza sanitaria, culturale e dell'istruzione. Biasi è poi rientrato e ha espresso ai consiglieri uscenti un vivo ringraziamento per l'impegno da loro profuso a servizio della Fondazione e delle comunità locali.
SORPRESA. Pesi e contrappesi però sono cambiati. Dei 25 consiglieri nominati ieri, e fra quelli indicati dal sindaco Flavio Tosi nelle terne, della galassia leghista fanno parte l'avvocato Giovanni Maccagnagni, già assessore comunale, membro del Collegio dei Garanti del Comune, l'ingegner Cesare Locatelli, coordinatore dei dipartimenti tecnici dell'Azienda Ulss 20 e dell'Azienda ospedaliera, e Damiano Monaldi, già consigliere provinciale (ex Fi). Il quarto che esce dalle terne non è leghista ed è, invece, la sorpresa di questo giro di nomine: stiamo parlando di Wilmo Ferrari, commercialista, già deputato e sottosegretario alle finanze per la Dc e assessore a Verona, oltre che presidente dell'Amt, esponente dell'area ex Popolari della Margherita e comunque del centrosinistra. Il suo nome rientrava nella terna presentata al sindaco Tosi dal Pd, per le minoranze.
FUORI. È rimasto fuori dalle terne invece, Gian Paolo Sardos Albertini, avvocato, presidente uscente dell'Agsm, già consigliere della Lista Tosi, che però potrebbe rientrare nel futuro Consiglio di amministrazione della Fondazione (sarebbe quindi l'undicesimo uomo di area Lega) composto da otto membri, compreso il presidente e due vice, che verrà eletto il 22 ottobre dallo stesso Consiglio generale. Nel cda, si dice come vicepresidente, potrebbe entrare a far parte anche lo stesso Maccagnani; va ricordato che i membri del cda, compreso il presidente, possono essere scelti anche dall'esterno del Consiglio generale.
La Lega esprime nel nuovo Consiglio generale anche Paolo Richelli, architetto, e poi Claudio Ronco e Michele Romano, già direttore generale dell'Azienda ospedaliera di Verona. Questi, sulla base delle indicazioni, vengono nominati direttamente dal presidente sentiti i soprintendenti, i direttori generali delle Ulss di Verona, Vicenza e Belluno. Nell'area leghista anche Giuliano Lunardi, di Legnago, Sergio Genovesi indicato dal sindaco di Mantova, Serena Todescato per la Provincia di Vicenza e Giuseppe Dalle Mulle per il sindaco di Feltre.
Fra i nomi nuovi, poi, entra nel Consiglio generale Nicola Sartor, già sottosegretario all'economia nel Governo Prodi, espresso dall'Università di Verona. I sette membri del Consiglio generale non in scadenza sono Alberto Aldegheri per la Camera di Commercio di Verona, Giovanni Sala, avvocato veronese, cooptato e, per la Provincia di Verona Luigi Centurioni. Quindi Manlio Sorio per il Comune di Bassano, Silvano Spiller (Camera di Commercio di Vicenza), Rosabianca Guglielmi, per l'Azienda ospedaliera di Vicenza, Ruggero Boschi, cooptato.

Enrico Giardini L'Arena 18/09/2010

15 settembre 2010

Narcoguerra

Eroina afgana sui voli militari britannici di ritorno dal fronte. La notizia rafforza i sospetti sui reali interessi economici che si nascondono dietro la guerra in Afghanistan
di Enrico Piovesana

La notizia, diffusa lunedì dalla Bbc, dei militari britannici e canadesi accusati di trasportare eroina in Europa sfruttando l'assenza di controllo sui voli militari di ritorno dal fronte, non fa che rafforzare i sospetti sui reali interessi economici che si nascondono dietro la guerra in Afghanistan. Il traffico 'militare' di eroina scoperto tra le basi Nato nel sud dell'Afghanistan (Helmand e Kandahar) e l'aeroporto militare di Brize Norton, nell'Oxfordshire, verrà liquidato con la solita spiegazione delle 'mele marce', del caso isolato che riguarda solo alcuni individui.
Più probabilmente si tratta invece della punta dell'iceberg, o meglio delle briciole di un traffico ben più grande e strutturato che i suoi principali gestori - militari e servizi segreti Usa - lasciano ai loro alleati, evidentemente meno bravi di loro nel non farsi scoprire.
Solo pochi mesi fa sulla stampa tedesca era venuto fuori che una delle principali agenzie private di contractors addette alla logistica delle basi Nato in Afghanistan - la Ecolog, sospettata di legami con la mafia albanese - era coinvolta in traffici di eroina afgana verso il Kosovo e la Germania. L'anno scorso fece molto scalpore la rivelazione, del New York Times, che Walid Karzai, fratello del presidente afgano e principale trafficante di droga della provincia di Kandahar, fosse da anni sul libro paga della Cia.
"I militari americani non contrastano la produzione di droga in Afghanistan perché questa frutta loro almeno 50 miliardi di dollari all'anno: sono loro a trasportare la droga all'estero con i loro aerei militari, non è un mistero", dichiarava nell'estate 2009 a Russia Today il generale russo Mahmut Gareev. Già nel 2008 la stampa russa, sulla base di informazioni di intelligence non smentite dall'allora ambasciatore di Mosca a Kabul, Zamir Kabulov, rivelava che l'eroina viene portata fuori dall'Afghanistan a bordo dei cargo militari Usa diretti nelle basi di Ganci, in Kirghizistan, e di Inchirlik, in Turchia. Nello stesso periodo, un articolo apparso sul quotidiano britannico Guardian riferiva delle crescenti voci riguardanti la pratica dei militari Usa in Afghanistan di nascondere la droga nelle bare dei caduti aviotrasportate all'estero, riempite di eroina al posto dei cadaveri dei soldati.
"Le esperienze passate in Indocina e Centroamerica - si leggeva, sempre nel 2008, sull'americano Huffington Post - suggeriscono che la Cia potrebbe essere coinvolta nel traffico di droga afgana in maniera più pesante di quello che già sappiamo. In entrambi quei casi gli aerei Cia trasportavano all'estero la droga per conto dei loro alleati locali: lo stesso potrebbe avvenire in Afghanistan. Quando la storia della guerra sarà stata scritta, il sordido coinvolgimento di Washington nel traffico di eroina afgana sarà uno dei capitoli più vergognosi".
Nel 2002 il giornalista ameriano Dave Gibson di Newsmax ha citava una fonte anonima dell'intelligence Usa secondo la quale "la Cia è sempre stata implicata nel traffico mondiale di droga e in Afghanistan sta semplicemente portando avanti quello che è il suo affare preferito, come aveva già fatto durante la guerra in Vietnam". Secondo lo storico Usa Alfred McCoy, principale studioso del coinvolgimento della Cia nel narcotraffico in tutti i teatri di guerra americani degli ultimi cinquant'anni (fino alla resistenza antisovietica afgana degli anni '80), il principale obiettivo dell'occupazione americana dell'Afghanistan era il ripristino della produzione di oppio, inaspettatamente vietata l'anno prima dal Mullah Omar nella speranza di guadagnarsi il riconoscimento internazionale.
I fatti, e il buon senso, sembrano confermare la tesi di McCoy: dopo l'invasione del 2001, la produzione e lo smercio di oppio afgano (e dell'eroina) sono ripresi a livelli mai visti, polverizzando in pochi anni i record dell'epoca talebana, mentre le truppe Usa e Nato si sono sempre rifiutate di impegnarsi nella lotta al narcotraffico, continuando a sostenere i locali signori della droga.
Rimane una domanda di fondo: perché mai gli apparati militari e d'intelligence americani, in teoria dediti alla sicurezza nazionale e internazionale, mirano da decenni al controllo del narcotraffico? Per la venalità dei loro vertici corrotti? Per garantirsi fondi neri per operazioni coperte? O forse dietro c'è qualcosa di più strategico e sistemico che, alla fine, riguarda realmente il mantenimento della la sicurezza?
Il direttore generale dell'Ufficio Onu per la droga e la criminalità (Unodc), Antonio Maria Costa, ha implicitamente risposto a questa domanda, dichiarando che gli enormi capitali derivanti dal riciclaggio dei proventi del narcotraffico costituiscono la linfa vitale che garantisce la sopravvivenza del sistema economico americano e occidentale nei momenti di crisi. ''La maggior parte dei proventi del traffico di droga, un volume impressionante di denaro, viene immesso nell'economia legale con il riciclaggio'', affermava Maria Costa nel gennaio 2009. ''Ciò significa introdurre capitale da investimento, fondi che sono finiti anche nel settore finanziario, che si trova sotto ovvia pressione (a causa della crisi finanziaria globale, ndr)''. ''Il denaro proveniente dal narcotraffico attualmente è l'unico capitale liquido da investimento disponibile'', proseguiva il direttore dell'Unodc. ''Nel 2008 la liquidità era il problema principale per il sistema bancario e quindi tale capitale liquido è diventato un fattore importante. Sembra che i crediti interbancari siano stati finanziati da denaro che proviene dal traffico della droga e da altre attività illecite. E' ovviamente arduo dimostrarlo, ma ci sono indicazioni che un certo numero di banche sia stato salvato con questi mezzi''.

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Fiom: la Cgil dica se su Pomigliano stiamo sbagliando

“Quando si dice che la Fiom rischia l'isolamento occorrerebbe dire con franchezza se si considerano sbagliate le scelte dei metalmeccanici. Occorre dire se la Cgil considera materie come il diritto di sciopero, il diritto alla malattia, la non derogabilità dei contratti e l'esistenza stessa del potere contrattuale dei lavoratori, trattabili oppure no”. Ad affermarlo in una nota, rispondendo alle parole di Epifani che aveva chiesto alla Fiom di non isolarsi, è il segretario nazionale della Fiom Cgil Sergio Bellavita.
“Occorre dire se il modello Pomigliano è da rigettare oppure se su quella base si può trattare – prosegue Bellavita - Nel pieno del più grande attacco ai diritti dei lavoratori nella storia della Repubblica era lecito attendersi qualcosa di segno diverso dal segretario generale della Cgil”.

“Il consenso alla Fiom cresce perché tutti nei luoghi di lavoro hanno capito cosa sta succedendo – prosegue il segretario Fiom - Il punto vero è che la Cgil rischia l'isolamento, quello più grave e drammatico, quello dalle condizioni reali delle lavoratrici e dei lavoratori. Altro che toni pacati, occorre rabbia, indignazione e conflitto per impedire a Confindustria, Fiat e Governo di cancellare nel silenzio generale i diritti e le tutele del lavoro. E questo – conclude Bellavita - di certo, non riguarda solo la Fiom, ma tutta la Cgil”

11 settembre 2010

I nemici della FIOM

Landini lancia lo sciopero articolato, la "nuova piattaforma contrattuale" e la manifestazione del 16 ottobre. Ma l'area di Epifani gli vota contro e trova l'appoggio anche di una parte della Federazione della Sinistra

La Fiom non si arrende e anche se deve registrare l'opposizione interna che fa capo a Epifani – incredibilmente sostenuta anche da un pezzo della Federazione della Sinistra -, il Comitato centrale che si è svolto ieri a Roma risponde con una mobilitazione straordinaria alla decisione di Federmeccanica di recedere dal contratto metalmeccanico siglato nel 2008. «Un fatto davvero nuovo, che cambia la fase e chiude con l'ipotesi della contrattazione come forma di mediazione degli interessi» sottolinea Landini nelle conclusioni e che induce la Fiom a lanciare un piano di iniziative basate su 4 ore di scioperi articolati, una manifestazione nazionale a Roma il 16 ottobre – aperta a tutte le forze sociali e assunta dalla Cgil che potrebbe chiudere l'iniziativa con l'intervento di Epifani anche se non è ancora confermato - ma soprattutto con il coinvolgimento dei lavoratori attorno alla proposta di una nuova piattaforma contrattuale che la Fiom vuole discutere in tutte le fabbriche per poi approvarla in una grande assemblea dei delegati da tenersi entro gennaio del 2011. L'obiettivo è quello di erodere, con una ampia campagna, il consenso a Cisl e Uil ma anche di insidiare le medie e piccole imprese che oggi accettano in silenzio la strategia che la Fiat ha «imposto a tutto il comparto» ma che potrebbero non tollerare una nuova fase di conflittualità. Ieri ci sono stati scioperi spontanei a Torino e Bologna e altri ce ne saranno nei prossimi mesi e settimane. Ecco quindi che si darà vita a una mobilitazione «articolata», in una sorta di guerra di movimento. Al cui centro, nella prossima fase, c'è la manifestazione del 16 ottobre che la Fiom pensa allargata all'esterno, ai comitati dell'acqua, ai centri sociali, alle resistenze sociali in corso anche se l'indizione è chiaramente Fiom e anche la possibile presenza di Epifani contribuerebbe a renderla una manifestazione più ristretta. Dipenderà da come si muoveranno quei soggetti che sono intenzionati a partecipare in forma organizzata.

In ogni caso la Fiom deve tornare a fronteggiare il dissenso della minoranza interna, capeggiata da Fausto Durante legato a Epifani e all'area “riformista” della Cgil. Ieri Durante, condividendo i giudizi duri su Fiat, Federmeccanica e su quanto avvenuto a Melfi ha però proposto un documento alternativo, carico di aperture a Cisl e Uil per «un nuovo contratto nazionale» in grado di tenere conto «delle necessità della competizione e della produttività». Una proposta immediatamente percepita dal Comitato centrale come una capitolazione della Fiom e che quindi è stata bocciata – 92 a 26 – dal voto finale. Con una “sorpresa”. A intervenire a sostegno di Durante è stato il rappresentante dell'area di Lavoro&Società nella Fiom, Augustin Breda, area che di fatto fa ancora riferimento a GianPaolo Patta, storico dirigente della sinistra Cgil, poi schierato con Epifani e oggi uno dei leader della Federazione della Sinistra. Che si trova a vivere un bel paradosso: a parole sta con la Fiom ma in alcune delle sue articolazioni politiche e sindacali – in questo caso tramite Lavoro&Solidarietà, il “braccio politico” di Lavoro&Società che fa parte della Fds – contribuisce a mettere all'angolo e isolare la Fiom. Ora il prossimo appuntamento è per il Direttivo nazionale Cgil del 14 e 15 settembre: difficile che la maggioranza di Epifani non riprenda le posizioni di Durante. Vedremo se si spingerà fino a mettere seriamente in difficoltà la Fiom. Sarebbe un passaggio di svolta nella vita sindacale che non potrebbe non avere effetti dirompenti.

www.ilmegafonoquotidiano.it

Tutti i segreti del traforo di Tosi

di Gianni Belloni

Non è propriamente un'opera faraonica, se rapportata a quelle che fanno discutere tutta la penisola - 390 milioni di euro, 7 chilometri di strade di cui 2 in galleria a doppia canna sotto le colline veronesi -, anche se è stata inserita nell'accordo quadro delle grandi opere, la nuova autostrada che attraverserà alcuni quartieri cittadini fungendo da tangenziale a nord della città di Verona.

Parliamo di un'autostrada in project financing per cui una cordata di aziende veronesi, capeggiata dalla Techinital è stata scelta, nel 2009, come soggetto promotore e vedrà riconosciuti 5,06 milioni di euro per la progettazione [ne avevano inizialmente richiesti 4,3] mentre la giunta preme per arrivare in questi giorni all'approvazione della necessaria variante urbanistica e del progetto preliminare. Un'opera da 382 milioni di euro investiti in parte dai privati che si rifaranno con l'incasso dei pedaggi – inizialmente esclusi nelle dichiarazioni del sindaco Flavio Tosi – e nella concessione di opere compensative – alberghi, aree di servizio e parcheggi – che andranno a corredare il tracciato.

Un'opera molto «politica» per cui la Lega ha investito pesantemente la credibilità del suo sindaco sceriffo e che muove diversi interessi. Il sindaco Tosi è arrivato a dichiarare «o Techinital o tutti casa», mentre le contestazioni degli alleati di giunta, il Pdl, venivano ripetutamente ricomposte dall'ormai famoso Aldo Brancher attraverso opportuni distribuzioni di incarichi. L'allora assessore regionale Valdegamberi, nel giugno 2009, dichiarava al quotidiano veronese L’Arena: «Nel campo delle opere c´è una lobby imprenditoriale e finanziaria che realizza operazioni nel settore pubblico. E’composta sempre dalle stesse persone. Parlo di opere pubbliche importantissime che, alla fine, vengono realizzate sempre dai soliti noti: sempre gli stessi imprenditori, che magari sono anche i finanziatori del Sindaco (in maniera assolutamente regolare e legittima, naturalmente: non è questo che è in discussione). E’ ora che i veronesi aprano gli occhi. C´è tutto un backstage che si dovrebbe conoscere e che invece è a conoscenza solo di pochi addetti ai lavori. Ci sono strane coincidenze».
Interessante da questo punto di vista il ruolo della Mazzi Impresa Generale Costruzioni s.p.a - coinvolta nella cordata Technital e collegata con la società Serenissima - uno dei tre soggetti della cordata di imprese il cui progetto è stato dichiarato di «pubblico interesse» dall'amministrazione scaligera nel 2009. L'impresa Mazzi non solo ha finanziato, legalmente, la campagna elettorale di Flavio Tosi con 10mila euro regolarmente comunicati, ma ha avuto affidati senza gara i lavori della Valdastico sud [costo 800 milioni] perché parte, con il 30 per cento, della Serenissima costruzioni, società controllata dall'Autostrada Serenissima. Procedura che ha provocato un ricorso, bocciato dal Tar, dell'associazione nazionale costruttori [Ance]. I lavori della Valdastico sud sono stati funestati dal sequestro da parte dei magistrati antimafia di Caltanissetta, di due lotti dell'autostrada nell'ambito dell'inchiesta sul cemento depotenziato utilizzato dalla Calcestruzzi Spa.
La Mazzi la ritroviamo nell'affare del Ponte sullo Stretto insieme alla Technital la quale è presente nei più contestati lavori pubblici: dal ponte sullo stretto di Messina allo scavo del tunnel per la Tav Milano - Bologna, dal Mose all'autostrada Palermo – Messina. Quest'ultima nasce nel 1967 e si rivelerà «l’opera con l’esecuzione più lenta della storia d’Italia, quaranta anni di lavori a singhiozzi - come denuncia il giornalista Antonio Mazzeo nella sua inchiesta pubblicata su www.terrelibere.it -, sprechi di risorse finanziarie, decine d’inaugurazioni e fittizi tagli di nastri, infiltrazioni mafiose e mazzette multimilionarie per politici e amministratori, indicibili disagi e mortali incidenti per utenti e abitanti».
A guidare il consorzio di imprese, denominato Verona Infrastrutture, impegnato a progettare il traforo delle colline veronesi, Aleardo Merlin, ex presidente della provincia di Verona e, soprattutto, dell'Autostrada Serenissima. Società che si rivela, anche in questo caso, il punto d'incontro di quell'oligarchia predatoria nordestina di cui la Lega è parte integrante. Un collezionista di incarichi Merlin che ritroviamo come socio di maggioranza della finanziaria lussemburghese Serenissima Investements S.A. insieme alla Abm Merchant di Alberto Rigotti, filosofo e finanziere vicino al Pdl, entrato in possesso nel 2007 della catena di giornali free press Epolis insieme a Marcello Dell'Utri [che nel frattempo uscì dall'affare] e presidente della Finanziaria Infrastrutture SPA, società con sede a San Marino, che vanta come amministratore delegato, Claudia Minutillo, ex segretaria del presidente Giancarlo Galan e ora al centro, attraverso Adria Infrastrutture e il gruppo Mantovani, di tutte le grandi opere in Veneto. Rigotti ha appoggiato, nel 2006, l'acquisizione da parte dell'industriale bresciano Rino Gambari di quote della società Serenissima per 200 milioni di euro. Oggi la società Serenissima vanta un pesante indebitamento e banca Intesa, decisa ad entrare alla grande nel gioco delle grandi opere nordestine, ha promesso di fare la sua parte. Dimenticavamo di dirvi: finanziamenti decisivi per l'operazione traforo delle Toricelle sono in arrivo dalla società autostradale Serenissima [54 milioni] nel cui consiglio d'amministrazione, rinnovato il mese scorso, hanno trovato posto i presidenti della provincia scaligera Giovanni Miozzi e della provincia patavina Barbara Degani, entrambi del Pdl e il sindaco veronese Flavio Tosi.

24/07/2010

www.estnord.it

"A noi interessano le lotte per un'opposizione sociale"

LA FIERA DEL LEVANTE
da bari.repubblica.it

di GIANNI DE GIGLIO (Sinistra Critica)

Poco importa se la Fiera del Levante non sia stata inaugurata da Belusconi rispetto invece alla necessità di costruire un’opposizione sociale radicale per resistere concretamente alla crisi e prospettare una via d’uscita da essa a favore dei lavoratori e delle lavoratrici.

Infatti il problema è che, nonostante il logoramento nel centro destra, Berlusconi gode ancora di un forte consenso sociale e, nell’incertezza della crisi politica, l'offensiva contro lavoratori e lavoratrici prosegue senza esitazioni. La Fiat con l’appoggio di Confindustria ne ha approfittato per chiudere la partita con il contratto nazionale. L'ipotesi di riforma dello Statuto dei lavoratori, l'attacco al Pubblico impiego, si pensi alla scuola, fanno da battistrada. La crisi del governo Berlusconi non è accompagnata da nessuna crisi degli assetti dominanti, anzi!

In questo scenario l'opposizione politica parlamentare, ma anche quella extraparlamentare, è del tutto inadeguata. La confusione e l'incertezza del Pd sono espressioni soprattutto della piena internità di quel partito ad attuare politiche economiche compatibili con le proposte avanzate da Tremonti e avvallate dall’Ocse ed UE: competitività delle imprese mediante ristrutturazioni aziendali, maggiore flessibilità dei salari, ossia licenziamenti e precarietà a favore dei profitti, e rientro dal deficit affossando quello di cui è rimasto dello stato sociale.

All'inconsistenza e alle vere complicità dell'opposizione di centrosinistra ormai è definitiva l’involuzione delle principali forze sindacali, dalla Cisl e Uil, asservite alla logica di impresa e agli interessi confindustriali, e alla Cgil che cerca di rincorrere questa politica mettendo in forte difficoltà la stessa Fiom.

Lo strumento più efficace per rispondere a questi attacchi rimane l'unità delle lotte, della ricomposizione sociale, a partire dai migranti intesi come parte integrante del nuovo proletariato, dell'individuazione di una piattaforma unitaria con l'obiettivo di far pagare la crisi a chi l'ha provocata: attacco ai profitti e alla rendita, nuove rigidità del lavoro, regolarizzazione del lavoro precario, nuovi e più avanzati diritti, civili e sociali, difesa ecologica del territorio, controllo pubblico su gangli essenziali dell'economia e sui beni comuni. La manifestazione del 16 ottobre può diventare un primo appuntamento in questa direzione.

Sinistra Critica è pienamente interna a battaglie sociali in cui siano i soggetti sociali i reali protagonisti, in cui le strutture di movimento restino i luoghi decisionali e i soggetti titolari della vertenza. Per questo lavoriamo con i comitati e il Forum per l’acqua sia per il referendum che per continuare il processo di ripubblicizzazione dell’acquedotto pugliese. Non ci convincono, invece, movimenti astratti, che nulla hanno a che fare con esperienze di organizzazione democratica interna: politicanti che continuano a teorizzare la fine della classe lavoratrice che, qui a Bari come in tutta Italia, nulla hanno ottenuto, se non alleanze ed appoggi istituzionali col centro sinistra.

Ecco come le forze politiche della sinistra cosiddetta radicale, sia nella versione “Opa sul Pd” di Vendola sia nella versione “si, ma…” della Federazione della Sinistra, si dichiarano a parole per un’alternativa, ma nei fatti avallano la formula proposta dal Pd: un “alleanza democratica” che includa di tutto e di più: dall’Udc di Casini a tutti coloro, che appoggiano a pieno la “ristrutturazione” Fiat di Marchionne, il ritorno al nucleare o l’ingresso dei privati nella gestione dell’acqua pubblica, come avanzato dallo stesso Chiamparino, sindaco di Torino.

Senza ambiguità, doppi giochi è necessario continuare a costruire, seppur nella sua fragilità, la prospettiva di una Sinistra Anticapitalista che abbia alcune coordinate semplici: la propria esternità dalla coalizione di centro sinistra; un programma radicale di uscita dalla crisi; una prospettiva orientata al futuro, priva del residualismo che ancora permea gran parte delle sinistre “radicali” italiane. E’ necessaria una soluzione politica innovativa; la capacità di attrazione di movimenti sociali, comitati di lotta, soprattutto di nuove generazioni più disponibili a una resistenza sociale e a un'ipotesi di alternativa.

Reputiamo che l'assenza a Bari di Berlusconi abbia un'importanza secondaria rispetto alla necessità di costruire questo processo per ribadire, ancora una volta, che le nostre vite valgono più dei loro profitti.

09 settembre 2010

Venezia non ha paura

Venezia non ha paura
10/12 set 2010 - Campo S.Giacomo dell'Orio.
http://www.sepoina.it/blobgiudecca/AppelloVeneziaNonHaPaura.PDF


Li sentimmo arrivare, era il 15 settembre 1996. Per la prima volta sentimmo la città attraversata dalla scampagnata domenicale dei secessionisti. Ammainarono le altre bandiere ed issarono quella del loro stato, quel giorno lontano.
Ci sentimmo attraversati, perché la cultura della nostra città era estranea alla secessione, al particolarismo. Quel partito qui, allora, non raggiungeva il 9% dei consensi. Ci sentimmo attraversati, perché scegliere Venezia fu uno sfregio calcolato alla tradizione multiculturale e multietnica della città.
Ma non reagimmo. Il rispetto per le idee altrui, anche pessime, prevalse sulla risposta. Ma oggi qualcosa è cambiato. Scomparsa l'agitata bandiera della secessione, solo la paura tiene insieme quella strana comunità ideologica. La paura dell'immigrato, la paura del futuro, la paura della crisi... la paura. Un collante povero e inacidito, che sembra tenere insieme gli opposti, all'ombra del quale spesso si celano interessi ben calcolati, un collante che non porta da nessuna parte, alimenta solo se stesso e i suoi cantori all'infinito. Tutti i problemi si amplificano nella civiltà della paura.
Finché qualcuno non ritorna alla realtà.


Per tre giorni a Venezia discuteremo, perché vogliamo capire davvero, e canteremo, perché l'arte è pensare assieme.

- Di rispetto per l'ambiente e difesa del territorio, perché la nostra attenzione è a quello che ci circonda e non alle fantasie di un leader. Perché nel nome della ricchezza economica non si può trascurare la salvaguardia della qualità della vita, dell'ambiente, dei beni comuni, in una parola, del futuro.
- Di migranti, integrazione e identità, senza pietismo e senza timore di riscoprirci diversi. Opponendoci a chi mal nasconde l'odio nel retro d'una bandiera. Perché le paure indotte o reali non possono limitare la nostra capacità di riconoscere la dignità di ogni essere umano e non devono affogare nell'indifferenza i diritti di ciascuno di noi.
- In un viaggio verso Sud e ritorno, raccontando le esperienze di autogestione e di democrazia diretta e partecipata, perché senza futuro non si sfugge alla paura. Conosceremo i ragazzi dell'Aquila e di Cinisi capaci di ricostruire un altro mondo oltre le macerie. E poi di nuovo qui, a Venezia, dove gli studenti di Ca'Tron, con la loro preziosa esperienza di partecipazione, hanno acceso i riflettori sulle speculazioni immobiliari in città, sul bisogno di nuove attività non solo turistiche, sul bisogno di nuova residenzialità.

Questo è il nostro programma ambizioso. Che forse non tutti capiranno, forse non oggi. Ma oggi abbiamo deciso di affrontare la paura più che i suoi evidenti effetti. Perché oggi quel collante inacidito va oltre gli schieramenti, invade le storie di tutti, e, come una melassa, trasforma i sindaci in sceriffi, agita dalle finestre dei municipi di tutta Europa bandiere d'odio d'ogni colore. Una melassa che ci ruba ogni giorno gocce di libertà.

Ed è con curiosità, senza toglierci il cappello davanti a lobby e padrini, che proveremo a pensare insieme a nuove alternative. E per farlo, abbiamo bisogno, del tuo, del vostro contributo in questi giorni, perché democrazia per noi è innanzitutto... partecipazione.

Cosa abbiamo da perdere? solo paure.
E questa città non ha paura.

Venezia Città Aperta
veneziacittaperta@gmail.com

07 settembre 2010

Spettri di guerra


di Antonello Catacchio
Il 26 aprile di quest'anno Army Times, periodico dell'Esercito americano, ha fornito questi dati: tra i soldati in cura nelle strutture del ministero per i veterani ci sono 950 tentativi di suicidio ogni mese e nel 2009 il numero dei militari suicidi ha superato quello dei soldati morti in guerra.
La struttura che dovrebbe farsi carico dei problemi psicologici dei soldati che tornano dalla guerra in Afghanistan o in Iraq è il Ward54, il braccio psichiatrico del Walter Reed, l'ospedale che si fa carico dei veterani a Washington. Negli altri reparti i feriti, i mutilati, qui invece quasi un braccio fantasma, perché lì non si entra. L'esercito non ama far vedere che molti, troppi, non hanno retto psicologicamente. Anche perché dovrebbe risarcirli. Ecco allora che il Ptsd, il termine che definisce un «Disturbo post-traumatico da stress» viene praticamente bandito. Utilizzando cavilli burocratici, anche se hanno terminato la ferma, alcuni vengono rimandati nelle zone operative, chi ha tentato il suicidio viene cacciato dall'esercito con disonore (e senza soldi). E dietro questi suicidi, tentati o riusciti, ci sono storie di persone che Monica Maggioni, giornalista del Tg1, ha voluto raccontare nel documentario Ward54, presentato a Venezia nell'ambito del Controcampo italiano, seppure in modo semiclandestino (una sola proiezione pubblica in una saletta da 150 posti).
La storia segue le vicende di alcuni veterani che hanno tentato il suicidio. In particolare quella di Kristofer Goldsmith. Kris è andato in Iraq, il suo compito era quello di fotografare e classificare i cadaveri iracheni. Un giorno però l'orrore di una fossa comune fa scattare qualcosa da cui non riesce a liberarsi. Ritorna in patria e la prima cosa che fa è entrare in un negozio di liquori e prendersi litri di whisky. Per un paio di mesi beve a dismisura «prima di allora avevo bevuto cinque o sei volte», afferma. È chiaramente malato, ma l'esercito non ci sta, lo vuole rimandare in Iraq. Lui allora il Memorial Day tenta di suicidarsi. E l'esercito lo congeda. Con disonore.
Kris è a Venezia per accompagnare il film, a sua volta accompagnato dalla sua ragazza «non mi sentirei a mio agio senza di lei, questa è la prima volta che vengo in Italia, gli unici miei contatti con l'Europa sinora erano stati un aeroporto in Germania e uno a Dublino». Ma questa è l'unica nota leggera in un contesto durissimo dove appaiono immagini crude. Alcune, quelle delle fosse comuni, sono state riprese proprio da Kris, altre dalla troupe di Monica Maggioni che ha inquadrato prigionieri iracheni devastati dopo tre giorni abbandonati nel deserto, oppure nel Mash, l'ospedale da campo dove si vede un intervento a cuore aperto, o sulla tristissima processione di militari feriti che salgono sul 130 che li riporta in patria. Immagini che Bush non voleva far vedere ai suoi cittadini.
I soldati da inviare nella guerra bugiarda erano pescati tra le fasce più deboli della popolazione. «I giovani erano reclutati tra coloro che non avevano alternative - racconta Maggioni - ragazzini che arruolandosi speravano di raggranellare il denaro necessario per andare all'università, immigrati di seconda generazione che arruolandosi ottenevano la cittadinanza, addirittura persone condannate per reati minori che così avevano qualche sconto di pena». Poi però dovevano confrontarsi con una guerra odiosa. Così viene spontaneo chiedere a Kris perché lui, di Long Island, quindi vicino a New York, si sia arruolato, soprattutto in un periodo di guerra. «Fin da bambino sognavo di entrare nell'esercito. Mi piacevano le mimetiche, collezionavo mostrine militari, ero affascinato dalle divise. Sognavo di fare la carriera militare sino in fondo, diventando alla fine ufficiale. Mentre ero al liceo ci fu l'11 settembre. A quel punto al sogno di una vita si abbinava un nemico concreto. Alla fine del 2003 mi sono arruolato. All'epoca la guerra era quella in Afghanistan. L'Iraq doveva essere una guerra lampo. Poi l'Afghanistan è stato dimenticato e l'Iraq è stato quel che è stato».
E allora viene da chiedergli quale sia oggi la sua percezione del nemico che aveva visto concretamente. «Questo argomento di chi sia il nemico è un pensiero costante per me. Più imparo, conosco, cerco di comprendere e analizzare, più cambia il mio punto di vista. Da ragazzo, il primo anno in cui mi sono arruolato, mi avevano insegnato che iracheni e afghani erano tutti jihadisti, erano nostri nemici perché avevano come unico obiettivo uccidere americani . Avevamo allora un presidente che ci diceva queste cose, affermando che loro odiavano la nostra libertà. Ora mi sembra sciocco. La guerra fu fatta col pretesto di cercare armi di distruzione di massa che avrebbero potuto distruggere le città americane, anche se la scusa era Libertà in Iraq. Poi vidi Bush che scherzava su queste cose, fingendo di cercare le armi di distruzione di massa sotto la sedia, nello studio ovale. Lì ho cominciato a aprire gli occhi. Mentre tanti al fronte soffrivano, cominciavo a trovare spaventoso quel che diceva».
Kris ha dovuto abbandonare il suo sogno infantile di diventare ufficiale, poi anche quello più modesto di andare all'università con i soldi dell'esercito che non gli riconosce alcuna malattia. Lui non rinnega la sua storia militare, anzi vuole che gli venga riconosciuta. «In prima istanza, ho ricevuto un rifiuto alla mia richiesta; voglio riaprire il caso, l'esercito non può ignorare queste cose, alcuni miei amici sono finiti in galera per avere tentato il suicidio».
La Ptsd è una sorta di insormontabile senso di colpa per quel che si è visto e fatto in guerra e uno dei momenti emotivamente più forti del documentario è la visita di Kris ai genitori di Jeffrey Lucey. Giovanissimo, Jeffrey aveva firmato per arruolarsi contro il parere di mamma. Poi era stato addestrato per partire prima ancora dell'invasione. L'impatto con l'Iraq, a Nassiriya è devastante. Quando si trova di fronte due giovani della sua stessa età, disarmati, Jeffrey esita. Qualcuno invece lo spinge a tirare il grilletto. Spara. Davanti a lui due cadaveri. Jeffrey prende le loro piastrine e non le mollerà più. Quando rientra a casa è devastato, la sua idea fissa è il suicidio, addirittura gli capita di chiedere al padre di tenerlo sulle ginocchia. Una sera il babbo vede la luce accesa in veranda, apre la porta, lungo le scale vede delle fotografie, disposte con attenzione, scende gli scalini, cammina ancora, vede suo figlio, sembra in piedi, invece ha qualcosa intorno al collo. Si è impiccato. Il padre lo solleva e lo tiene in braccio. Per l'ultima volta.
Il prezzo pagato dagli iracheni per la guerra criminale voluta da Bush e co. è spaventoso, ma c'è anche un conto da saldare nei confronti di chi, per ingenuità o ignoranza, ha creduto in buona fede di combattere per la libertà e la giustizia e si è ritrovato privato proprio di libertà e giustizia.
il manifesto

La disdetta della Federmeccanica: un atto in malafede che apre la stagione dello scontro sociale

di Giorgio Cremaschi

La decisione della Federmeccanica di disdettare formalmente il contratto nazionale sottoscritto nel 2008 con tutti i sindacati è la dimostrazione della malafede e, nello stesso tempo, della volontà di scontro frontale degli industriali. Disdettando il contratto ora, a molti mesi dalla sottoscrizione dell’accordo separato con Fim e Uilm che avrebbe dovuto rinnovare il contratto nazionale, la Federmeccanica dimostra che aveva ragione la Fiom quando sosteneva che il contratto del 2008 era ancora in vigore. Non si può disdettare una cosa che non esiste più.
Nello steso tempo con questa scelta la Federmeccanica dà l’avvio all’attacco finale al contratto nazionale. Solo pochi illusi potevano pensare che con Pomigliano si affrontasse una situazione particolare. Come hanno mostrato queste settimane da Pomigliano è partito l’attacco al contratto nazionale, allo Statuto dei lavoratori, alla stessa Costituzione della Repubblica.

Quella della Federmeccanica è una scelta eversiva senza precedenti a cui si dovrà rispondere sia sul piano legale, sia sul piano del più diffuso conflitto sociale. Anche se gli effetti formali di questa disdetta sono rinviati nel tempo, visto che il contratto resta comunque in vigore fino al 2012, quelli politici si dispiegano subito. Dimostrano che gli industriali italiani vogliono competere con i paesi a più basso costo del lavoro, senza investimenti, tagliando diritti e salario. Non solo la Fiom, ma tutta la Cgil, tutti gli spiriti liberi e le forze democratiche del paese, devono opporsi alla distruzione del contratto nazionale voluto da Marchionne, dal Governo, dalla Confindustria e dalla Federmeccanica.

L’epoca delle parole è finita, adesso si deve passare ai fatti con il massimo del rigore e dell’intransigenza nella mobilitazione.

06 settembre 2010

Chianciano 23-26 settembre: SEMINARIO NAZIONALE DI SINISTRA CRITICA


La crisi non è terminata e non terminerà molto presto. Dopo la fase delle bolle speculative e dei salvataggi finanziari è invece arrivata quella del "massacro sociale" con la prima finanziaria "europea" della storia. Il fronte delle classi dominanti di tutta Europa ha deciso di far pagare tutto il conto della crisi ai lavoratori e alle lavoratrici e la manovra finanziaria di Berlusconi e Tremonti, quella conservatrice di Merkel e Cameron, quella "progressista" di Zapatero, hanno tutte lo stesso segno: una "guerra di classe" i cui effetti non sono ancora del tutto visibili.
La crisi non è un incidente atmosferico o una calamità naturale. Ha precise ragioni, una sua logica interna e produce effetti sociali dirompenti. Il seminario di Sinistra Critica - che quest'anno si tiene a Chianciano, in Toscana - vuole cercare di capire cos'è davvero la crisi e indagare meglio e da vicino com'è fatto oggi, cosa pensa, cosa può proporre quel soggetto di classe di cui c'è un disperato bisogno. Capire la crisi, capire il soggetto che deve combatterla, immaginare vie d'uscita anche sul piano di proposte alternative alla logica dominante.
Il seminario si articolerà attorno a relazioni unitarie tenute in plenaria e poi a workshop diversi in un programma ampio e differenziato in cui uno spazio preciso sarà garantito alla lettura di genere della crisi e alla necessità di cimentarsi con un soggetto della trasformazione che è composto da identità differenti.

Il seminario si svolgerà presso l'hotel Santa Chiara di Chianciano. Il costo del seminario è di:
120 euro per tre giorni in pensione completa a persona
90 euro per due giorni in pensione completa a persona
50 euro per un giorno in pensione completa a persona

Per le stanze singole è previsto un supplemento

Sarà attivo un servizio di baby-sitting; chi desidera usufruirne lo comunichi al momento della prenotazione

Per prenotarsi scrivere a: daniele.dambra@gmail.com

PROGRAMMA

Il nuovo numero di ERRE: UN' EXIT STRATEGY DALLA CRISI


UN'EXIT STRATEGY DALLA CRISI

EDITORIALE (Salvatore Cannavò)

PRIMO PIANO
Israele senza limiti (Piero Maestri)

TEMPI MODERNI
Senza se e senza spa (Emiliano Viti)
Privacy di classe e bavaglio al conflitto (Checchino Antonini)
Prove di autorganizzazione (Massimo Lettieri e Gigi Malabarba)
La sinistra e la lotta alla mafia (Intervista a Umberto Santino di Gennaro Montuoro)

FOCUS
E' possibile una soluzione alla crisi? (Marco Bertorello e Danilo Corradi)
Il dibattito sul saggio di profitto (Michel Husson)
Il lavoro delle donne (Lidia Cirillo)

IDEEMEMORIE
L'eredità di Trotskij (Antonio Moscato)
Sanguineti, il materialismo erotico, il canone antagonista (Antonio Montefusco)
Di nuovo a Reggio Emilia / Di nuovo là in sicilia (Diego Giachetti)
Libreria

CORRISPONDENZE
L'india alla conquista di un ruolo mondiale (Antonio Moscato)
Le rivolte del Sudafrica (Peter Dwyer e Leo Zeilig)

Per richiedere questa copia scrivi a scverona@gmail.com

Per abbonamenti: abbonamento ordinario 25 euro (6 copie), sostenitore 50 euro. versamenti su ccp 65382368 intestato a Edizioni Alegre soc. Coop. giornalistica 00176 Roma.

05 settembre 2010

Perchè le nostre vite valgono più dei loro profitti!


Il testo del volantino distribuito da Sinistra Critica ai cancelli della Fiat di Melfi

Agli operai della Fiat, così come ai tanti lavoratori, dall’Eutelia ai cassaintegrati dell’Asinara e della Natuzzi, viene chiesto di adattarsi alla logica d'impresa, ai suoi tempi, ai suoi ritmi e ai suoi interessi, cioè al duro sistema capitalista. Chi protesta o dice di no viene bollato come conservatore se non accusato di sabotaggio. E’ questo il progetto di Marchionne a cui i lavoratori e le lavoratrici della Fiat si sono opposte e non hanno abbassato la testa. Un'azienda che mentre parla di etica e di diritti non ha remore a chiedere l'aiuto dello Stato per la Cassa integrazione o gli incentivi pubblici in Serbia, Brasile e negli stessi Stati Uniti. Un'ipocrisia a cui non intendiamo rassegnarci!

In questi ultimi mesi i lavoratori, a cui va la nostra piena solidarietà, sono riusciti a resistere. A Pomigliano, di fronte all’imposizione delle condizioni di lavoro e ritmi da padrone delle ferriere dell’800 e di fronte a una terribile pressione, il 40% dei lavoratori con il No all'accordo firmato da Fim, Uilm, Fismic e Ugl, sostenuto dal governo e dalla stragrande maggioranza dei partiti, ha impedito il plebiscito voluto dalla Fiat, dimostrando che si può resistere e provare anche a vincere!

Dopo i licenziamenti a Mirafiori, a Termoli e Pomigliano è stata la volta della rappresaglia della Fiat anche a Melfi. Le mobilitazioni per difendere i propri diritti non solo hanno portato al licenziamento di tre lavoratori, ma addirittura, dopo la sentenza del tribunale per il loro reintegro, Marchionne per nulla intimorito continua la lotta padronale con l’unico scopo di smantellare i contratti collettivi e fare profitti. Infatti nell’ultimo anno la Fiat:
- ha distribuito 260 milioni di euro di dividendi agli azionisti;
- ha aumentato per il 40% i compensi per gli alti dirigenti;
- ha concesso bonus milionari per Marchionne (che arriva a 5,6 mln l’anno) e per i super manager.

Tutto questo a discapito dei lavoratori che creano, con la loro fatica, con turni e ritmi massacranti tutta la ricchezza della Fiat (179 mln di utili nel secondo trimestre del 2010 e ricavi cresciuti del 12,5% per un valore di 14,8 miliardi di €); lavoratori ai quali non viene riconosciuto nessun aumento di salario, la corresponsione di nessun premio di risultato, se non il ricatto di mantenere i siti produttivi solo a condizione di un lavoro senza diritti e quasi da schiavi.

Il plebiscito voluto dalla Fiat a Pomigliano è mancato, la resistenza e il coraggio di
voi lavoratori di Melfi rimettono al centro il vostro protagonismo
. Serve la più ampia autorganizzazione e unità di tutte le lotte per un nuovo conflitto sociale della classe lavoratrice, organizzato dal basso che costruisca una effettiva radicalità per riconquistarsi la propria vita e i propri diritti: di tutti i lavoratori, pubblici e privati, italiani e migranti; anche contro le paralisi e il boicottaggio provocato dagli apparati sindacali filo aziendali e di un ceto politico complice.

Oggi cerchiamo di lavorare per un'alleanza di forze, politiche e sociali, che pensino l'esatto opposto di quanto propone Marchionne, che pensino che bisogna ridurre i profitti e aumentare i salari, rilanciare la scuola pubblica, difendere le pensioni e lo stato sociale, costruire una prospettiva ecologista per la salvaguardia dell’ambiente per il futuro, affrontare la crisi andando a prendere le risorse là dove ci sono, anche rendendo pubblici alcuni punti nevralgici dell'economia.
E’ necessaria un'alleanza alternativa a Berlusconi, ma anche a Marchionne e alla Confindustria. La sinistra italiana può rinascere se affronta questa sfida.

Sinistra Critica - Organizzazione per la Sinistra Anticapitalista

Uribe ha tradito la Colombia


di Stella Spinelli
Tradimento della patria. E' questa la nuova accusa piombata sull'ex presidente Alvaro Uribe a un mese dalla sua dipartita. A rivolgergliela, dati alla mano, l'autorevole Ong colombiana Ccajar, Corporación Colectivo de Abogados José Alvear Restrepo. Giovedì due settembre, di fronte al Parlamento, l'associazione ha puntato il dito contro il fautore di sicurezza democratica e militarizzazione a ogni costo per quella decisione presa negli ultimi mesi del suo doppio mandato di concedere a un paese straniero, gli Stati Uniti d'America, di installare sette basi in territorio colombiano.

"Stiamo lavorando a una denuncia penale perché l'accordo sulle basi militari firmato dal governo Usa lede profondamente la sovranità nazionale", ha spiegato ai deputati Luis Guillermo Pérez, rappresentante della Ong. "Il presidente ha violentato la Costituzione", ha aggiunto, riferendosi all' "Accordo complementare per la Cooperazione e l'assistenza tecnica in Difesa e Sicurezza fra governo della Repubblica di Colombia e governo degli Stati Uniti d'America". Si tratta del documento firmato il 31 ottobre 2009, sottocritto dagli allora ministri degli Esteri, della Difesa e degli Interni, rispettivamente Jaime Bermúdez; Gabriel Silva e Fabio Valencia. Dall'altra parte solo l'ambasciatore Usa a Bogotá, William Brownfield.

Una firma arrivata nonostante il Consiglio di Stato avesse consegnato a Uribe un documento nel quale lo metteva in guardie sull'illegalità di molti punti e sull'irregolarità della procedura. Una decisione simile non spettava all'Esecutivo, ma andava presentata prima al Parlamento, che avrebbe dovuto avere il tempo di discuterla e votarla. Avvertenze, queste, completamente ignorate dall'allora presidente.
Anche allora, il Ccajar si appellò alla Corte Costituzionale, la quale si espresse in linea con il Consiglio di Stato: solo il Legislativo aveva la facoltà di esprimersi su casi simili.

Così, il 17 agosto scorso, è arrivata la decisione definitiva: la Corte Costituzionale ha invalidato l'accordo grazie al voto di sei magistrati su nove. Ed è tutto da rifare. Il governo, se vorrà cimentarsi in un gioco simile, dovrà rivolgersi per forza alle camere che avranno l'ultima parola.

Agendo in un modo tanto sprezzante della Magna Cartha, Uribe non solo ha compromesso l'integrità nazionale, ma ha anche agito contro gli interessi della Colombia, cedendo porzioni strategiche dello spazio aereo, marittimo e dello spettro elettromagnetico agli Usa. "Alvaro Uribe Velez ha commesso quello che il Codice Penale del nostro paese chiama delitto di tradimento della patria, che include l'aver pregiudicato l'integrità nazionale e il tradimento diplomatico", parola di Pérez. Il giurista ha infine precisato che le cause saranno intentate anche contro i tre ministri firmatari, corresponsabili. L'ennesima eredità uribista.

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Agosto 2010: settanta palestinesi arrestati ad Hebron, numerosi sono studenti

Al-Khalil (Hebron) - Infopal. Al-Khalil è la città della Cisgiordania occupata in testa agli arresti effettuati nel mese scorso dalle forze d'occupazione israeliane.

Il dato complessivo è di settanta sequestri: 36 sarebbero cittadini tra studenti universitari ed altre figure legate all'istruzione.

Alcuni studiano all'estero e sono stati fermati ed arrestati al momento del rientro in Palestina; si riporta il caso di 'Abbas Suleiman al-'Amle, studente di legge in Marocco, e 'Adel Abu Ahmed Yousef, studente di Farmacia ad Abu Dhabi (Uae). Entrambi si troverebbero in detenzione amministrativa (prorogabile ad oltranza senza un'accusa).

Dodici sono i minori palestinesi arrestati nel governatorato di Hebron ad agosto scorso, attualmente detenuti tra Rimonim e 'Ofer.

www.infopal.it