31 maggio 2011

Il voto dei ballottaggi accresce la crisi di Berlusconi

Nota dell'Esecutivo nazionale di Sinistra Critica

I risultati dei ballottaggi per le elezioni dei sindaci confermano e addirittura rendono ancora più forti i segnali del primo turno di 15 giorni fa.

È una decisa sconfitta per Berlusconi e la destra italiana, che accelera una crisi cominciata ormai quasi un anno fa e che renderà sempre più difficile la permanenza del governo Berlusconi, che in ogni caso non potrà più mantenere l’equilibrio attuale.

È una sconfitta prima di tutto per Silvio Berlusconi, per le sue strategie comunicative, per la sua attuale incapacità di rimanere in sintonia con la società italiana e persino con il suo elettorato, che lo ha abbandonato soprattutto nelle grandi città. Una sconfitta che mette a nudo gli scontri interni al PdL e con l’alleato leghista, anch’esso in gran parte punito da questo voto (l’elezioni solo al secondo turno e con uno scarto non cos’ deciso del sindaco di Varese è un segnale importante).

Il centrosinistra si riaffaccia così come “alternativa” elettorale alla destra – e in esso il PD riesce a riguadagnare voti e credibilità (malgrado debba incassare la sconfitta della sua strategia a Napoli).

La vittoria di Pisapia a Milano e De Magistris a Napoli mostrano con chiarezza che il “popolo di sinistra” ha scelto di tornare a votare e di farlo con maggiore partecipazione e speranza quando candidati e/o coalizioni rappresentano in qualche modo una novità ai soliti schemi del centrosinistra.

Queste settimane di campagna elettorale non hanno probabilmente rappresentato il segno che “il vento è cambiato”, ma hanno riacceso la speranza nella possibilità di battere Berlusconi e la destra: a Milano si vive un senso di “liberazione” per aver mandato a casa Moratti-DeCorato; a Napoli la parte migliore della città ha scelto di evitare di consegnare il governo ad una destra pericolosa, sconfiggendo anche la tendenza continuista del PD bassoliniano.

Sinistra Critica aveva scelto di partecipare a queste elezioni dove avavamo valutato ci fossero le condizioni per provare a mettere in campo proposte alternative alla destra e al centrosinistra social-liberista. In alcuni casi i risultati sono stati confortanti, in altri decisamente negativi. In ogni caso abbiamo scelto di partecipare al secondo turno dove si presentavano le condizioni per dare un colpo alla destra berlusconiana.

Questo non comporta in alcun modo che proveremo ora a salire sul carro del vincitore – come invece sembra fare una parte della borghesia milanese e non solo – ma che saremo ancor più attenti e conseguenti nella nostra opposizione a eventuali (probabili) politiche di privatizzazione, speculazione territoriale, riduzione dei servizi pubblici.

Le speranze di questi giorni non sembrano per il momento diventare una mobilitazione permanente; l’indignazione che soffia forte in altri paesi del Mediterraneo in Italia si serve per il momento dello strumento elettorale. Noi vogliamo lavorare per una mobilitazione politica e sociale che metta all’angolo Berlusconi e la destra e ponga la questione della necessità della trasformazione sociale.

Per questo siamo impegnate/i per affermare i SI ai referendum del 12/13 giugno.

Per questo continueremo a lavorare perché sia presente in Italia una sinistra anticapitalista più forte e capace di incidere sulle scelte politiche del paese.

29 maggio 2011

La democrazia del consenso del Movimento 15 M

Iniziano a smontare la piazza-accampamento, a Puerta del Sol. Il Movimento si scioglie? Per nulla, anzi. La strategia decisa è quella di trasferire la discussione a livello ancora più capillare, dentro i barrios, i quartieri

di Angelo Miotto

www.peacereporter.net

27/05/2011

C'è una mail di riferimento, la commissione incaricata di trattare con i media afferma che risponderà. Funziona. In un giorno arriva la risposta: due cellulari di portavoce. Non sono dei 'leader', come siamo abituati a pensare. Sono persone che si sono messe a disposizione all'interno di una commissione che divide i volontari incaricati di parlare con tg, con le radio e al telefono con i media internazionali. C'è Polo, dall'altra parte del telefono, a Madrid. Ha appena lasciato la piazza per fare un salto a casa. Messicano, vive a Madrid da nove anni, ne ha 36. Nessuna appartenenza a un particolare gruppo o associazione. Si è avvicinato al Movimento così, per curiosità. E adesso è uno dei portavoce.

Chi c'è all'accampamento di Puerta del Sol?
Alla Puerta del Sol c'è semplicemente la società civile. L'accampamento non ha una sigla, non è di democracia real, perché c'è un patto che abbiamo stretto fin dall'inizio per includere ogni tipo di sensibilità. Per questo ci sono persone di ogni tipo: anziani, bambini, lavoratori, gente che si occupa degli immigrati, chi si oppone alla ley Sinde, chi protesta per la legge sulla proprietà intellettuale. A Sol puoi incontrare di tutto, c'è chi ci porta acqua e da mangiare, chi ci appoggia.

Come funziona la piazza?
La piazza è divisa in molte commissioni diverse, come quella per le infrastrutture, con persone che devono trovare tutte le cose necessarie, per la pioggia, o per altre cose, coperte, e via dicendo. Poi per esempio c'è la commissione per il cibo, oppure quella che tiene i legami con le altre piazze in Spagna e all'estero, come coordinamento, una per i mezzi i comunicazioni, una per la pulizia della piazza, poi una commissione che dibatte sul coordinamento delle commissioni, quella per lo streaming. Poi ci sono le sottocommissioni... Come vedi questa è la struttura.

Quindi ci sono esperienze che hanno aiutato in questa organizzazione?
Certo, ci sono persone che per la prima volta affrontano la sfida di organizzare una protesta del genere, e ci sono settori che hanno pratica ed esperienza in presidi come questo. C'è chi ha portato il proprio know how che non è spontaneo, ma che viene da un lavoro lungo, non è una cosa che è nata lì.

Da quanto tempo si stava pensando di realizzare un protesta di queste dimensioni?
L'accampamento come tale viene deciso il 15 maggio, la notte stessa. Ci siamo dimenticati delle nostre sigle, associazioni, centri sociali, movimenti e abbiamo deciso di partecipare come persone. Ma per le rivendicazioni che vengono portate avanti sono conosciute da anni. Come la commissione sulla legge per gli immigrati: la rivendicazione in questo settore è nota da tempo, ed è la riforma della legge sulla base del principio: nessuna persona è illegale. I temi sono di periodo, l'accampamento è stato una decisione momentanea.

È vero che il voto amministrativo non ha suscitato particolare interesse all'accampamento della Puerta del Sol?
La sensazione generale è stata che non ci interessava quello che sarebbe successo. È lo stesso, per noi, chi vince o chi perde. Noi stiamo creando uno spazio diverso proprio da quelle dinamiche che erano rappresentate dal voto. Queste elezioni sono un esempio fulgido di un meccanismo che non ci permette di partecipare alla costruzione e alla gestione economica della vita sociale. Quindi in piazza la notizia era qualcosa di irrilevante.

E adesso che farete?
Faremo una serie di riunioni per un paio di settimane e poi faremo assemblee di quartiere dove ci saranno dei portavoce, per arrivare a concretizzare le nostre rivendicazioni. Vogliamo dare le gambe a quello che è successo nell'accampamento di Sol. Siamo all'inizio di un processo e di un lavoro che ci aspetta nei prossimi mesi.

Rivendicazioni concrete o anche di sistema, come per esempio il grande tema di un cambiamento da una democrazia rappresentativa a una di tipo partecipativo?
Saranno di due tipi: una concreata è la derogazione della ley Sinde, o la riforma della legge sull'immigrazione, dove abbiamo proposte molto avanzate, con la chiusura dei centri di segregazione per stranieri, e poi ci sono discussioni che porteranno via più tempo: come quella che investe il tema della rappresentazione della cittadinanza.

Un movimento politico e non partitico, ma poi come farete a incidere sulle istituzioni?Questa è la chiave che dobbiamo costruire. Stiamo pensando a uno spazio e una logica del tutto diversa da quella dei partiti e che deve essere compresa dai signori del governo. Non si passa solo dai congressi dei partiti, dai loro rappresentanti... Dobbiamo articolare e prendere forza in questo spazio nuovo che abbiamo creato, quindi una maturazione del movimento, e nello stesso tempo affermare una logica diversa dalla loro.

Secondo te la polizia avrebbe agito in maniera diversa se ci fosse stata la destra al governo in Spagna?
Non lo so, non saprei dirtelo. Tieni conto che il governo della città di Madrid è in mano alla destra. Pensiamo che popolari e socialisti in realtà non sono così differenti, certo hanno sfumature diverse sui diritti sociali e sull'economia, ma non sono poi così diversi fra loro. La cosa chiara è che la polizia non ha sgomberato l'accampamento non perché non ha voluto, ma perché non ha potuto. Avrebbe dovuto farlo con migliaia di persone presenti nella piazza.

Come valuti l'astensione registrata nel voto amministrativo. Alcuni analisti dicono che una parte dell'astensione si può attribuire al movimento del 15 m.
Mi pare una speculazione. Molte persone erano in piazza e quindi non sono andate a votare, molte persone già non votavano da tempo. Ci sarà molta gente che ha smesso di votare perché c'è uno scontento sociale e c'è molta gente che sta in piazza perché c'è uno scontento sociale. Non il contrario.

Non c'è un leader. Una cosa che non piace ai giornalisti, soprattutto, ma questo è un riflesso del vostro metodo di fare politica, il metodo del consenso. Non ci sono leader?
No, non ci sono leader. Noi vogliamo andare in direzione contraria, lavorare tutti insieme. Lavoriamo con il metodo del consenso. Tutto quello che succede all'accampamento accade proprio grazie a questo metodo. Certo, con questa maniera di discutere procediamo più lentamente. Ma non abbiamo la fretta che hanno altri.

Quando presenterete le vostre rivendicazioni, quando il frutto del lavoro sarà pubblico?
Alcune sono già pronte. Quelle meno concrete hanno bisogno di un consenso e per questo si è pensato alla assemblee di barrio; secondo me in sei mesi ce la dovremmo fare.

Con la lotta si vince

Brescia, 26 maggio 2011

Dopo otto mesi di lotta, dal presidio davanti agli uffici della Prefettura in settembre all'occupazione della gru per 17 giorni fino al recente presidio di quattro giorni sul sagrato del Duomo di Brescia, e le due sentenze del Consiglio di Stato e della Corte di Giustizia Europea, il Governo e il Ministero dell'Interno sono stati costretti a diramare una circolare che riconosce i diritti dei migranti che avevano fatto domanda di sanatoria nel 2009. La condanna per non aver obbedito all'espulsione non è ostativa per l'ottenimento del permesso di soggiorno.

Sono stati mesi molto duri e difficili in cui ci siamo scontrati con il razzismo istituzionale dell'amministrazione comunale e della Prefettura, con politiche securitarie che vedono i migranti come un problema di ordine pubblico, con la repressione e le espulsioni dei migranti che in prima persona hanno portato avanti la lotta. Sono stati però anche mesi che hanno insegnato molto. Dalla solidarietà tra migranti, tra antirazzisti e migranti, tra migranti e una parte significativa della città, alla necessità dell'autorganizzazione dei migranti, del conflitto sociale per affermare i propri diritti. La determinazione dei migranti è stato un esempio per tutti coloro, nativi e migranti, che sono costretti a subire discriminazioni, tagli dello stato sociale, peggioramento delle condizioni di reddito e di vita.

Oggi possiamo dire che con la lotta si vince, un passo importante è stato fatto ma non ci fermeremo.

Se i migranti che sono stati condannati per la cosiddetta clandestinità avranno il permesso di soggiorno, ci sono ancora purtroppo migliaia di migranti che sono stati truffati da imprenditori senza scrupoli che stanno aspettando il permesso di soggiorno. Questa è l'ennesima dimostrazione che la legge Bossi-Fini, con il legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, produce solo clandestinità, precarietà e sfruttamento.

Per noi questa vittoria è solo una tappa, la lotta dei migranti e degli antirazzisti contro il razzismo istituzionale continuerà.


Presidio sopra e sotto la gru

Associazione Diritti per Tutti

25 maggio 2011

Verona e Padova 26 maggio: DI ACQUA SI VIVE DI NUCLEARE SI MUORE









il 12 e il 13 giugno
3 SI per difendere i beni comuni
e per una nuova politica energetica




I referendum dei prossimi 12 e 13 giugno, a dispetto del silenzio dei media, saranno molto importanti per la situazione politica e culturale del nostro Paese. Con la vittoria del SI al referendum contro il nucleare si porranno le basi non solo per fermare il folle rilancio di una produzione energetica obsoleta, anti economica, dispregiativa dell’ambiente, della vita e del futuro; ma si potrà ridiscutere l’intera politica energetica che non può essere basata su un modello “dissipatore, termico, centralizzato e militarizzato” come quello nuclearista ma deve proporre un nuovo modello “conservativo, rinnovabile, territorializzato e democratico” come quello fondato sulle rinnovabili.

Ma sarà soprattutto con la vittoria dei 2 SI ai referendum per la ripubblicizzazione dell’acqua che si potrà cambiare direzione per la prima volta dopo due decenni cancellando le politiche liberiste con il voto democratico e popolare.Una sorta di rivoluzione politica e culturale, che sancirà, ben oltre lo specifico dei temi oggetto della consultazione, alcune importanti novità : la crisi dell’ideologia privatistica che in questi decenni ha mercificato l’intera vita delle persone, consegnando diritti, beni comuni e servizi pubblici ai grandi capitali finanziari; la restituzione alla sovranità popolare del potere di decidere da parte di tutte e tutti su ciò che da sempre ci appartiene, ponendo le basi per una rifondazione della democrazia reale.


GIOVEDI' 26 MAGGIO


ore 17.00 - Piazza delle Erbe - Verona


Funerali dell'acqua pubblica- CONFERENZA STAMPA

le esequi si terranno in forma privatizzata presso la fontana di piazza delle Erbe per poi raggiungere piazza Dante in processione funebre


ore 17.30 - Piazza Dante - Verona


MARCO BERSANI (Attac - Forum Italiano dei movimenti per l'Acqua)

presenterà il libro

"L’impossibile capitalismo verde. Il riscaldamento climatico e le ragioni dell’eco-socialismo" di Daniel Tanuro, prefazione di Marco Bersani

(Alegre, Roma 2011, pp. 224, € 16,00)




ore 21.00 - Loggia della Gran Guardia, Piazza dei Signori - Padova


MARCO BERSANI (Attac - Forum Italiano dei movimenti per l'Acqua)

presenterà il libro

"L’impossibile capitalismo verde. Il riscaldamento climatico e le ragioni dell’eco-socialismo" di Daniel Tanuro, prefazione di Marco Bersani

(Alegre, Roma 2011, pp. 224, € 16,00)


"Le rivendicazioni sui beni comuni-acqua, aria, energia, territorio- suggeriscono una nuova definizione della democrazia e pongono la necessità di una gestione partecipativa che partendo dalla loro riappropriazione sociale e dalla responsabilità condivisa sulla loro conservazione superi il conflitto tra pubblico e privato definendo la gestione pubblica come condizione necessaria sostanziata dalla partecipazione diretta dei cittadini, dei lavoratori e delle comunità locali alla loro gestioni"


Comitato referendario 2 SI per l'acqua bene comune

Comitato nazionale vota SI per fermare il nucleare

22 maggio 2011

Mediterraneo, anticapitalismo sulle due sponde

di Piero Maestri

Su invito del Nouveau partì anticapitaliste francese, il 7 ed 8 maggio si è svolto a Marsiglia il primo degli incontri tra le organizzazioni anticapitaliste del Mediterraneo.

Un incontro la cui proposta è nata nel contesto particolare in cui le rivoluzioni nel Maghreb e in Medioriente hanno evidenziato la capacità dei popoli di prendere in mano il loro destino.

Il ravvicinamento degli anticapitalisti e dei rivoluzionari si pone dunque come una necessità sia per favorire i processi rivoluzionari in corso che per fronteggiare i guasti crescenti della crisi.

Il primo obiettivo, che era quello di riunire il massimo numero possibile di organizzazioni, è stato raggiunto: 19 delegazioni rappresentanti 11 paesi (Marocco, Tunisia, Egitto, Libano, Irak, Grecia, Italia, Corsica, Spagna, Cipro del Nord, Palestina) hanno infatti risposto all’invito.

Durante due giorni i delegati hanno potuto dibattere e scambiarsi opinioni nel corso di riunioni seminariali su diversi temi quali : i processi rivoluzionari in corso e la situazione delle mobilitazioni nell’area mediterranea; la crisi globale del capitalismo, le sue conseguenze sociali ed ecologiche e le resistenze sociali; le resistenze e le solidarietà di fronte alla guerra e alle occupazioni; le politiche razziste e di freno all’immigrazione nel quadro dell’Europa fortezza. Dibattiti ricchi di insegnamenti sulla situazione politico-sociale dei diversi paesi rappresentati. Questo incontro ha permesso alle organizzazioni di discutere e, per certune di lavorare insieme per la prima volta, come conferma la decisione, presa in occasione di una riunione improvvisata, delle organizzazioni del Maghreb e del Machrek, di ritrovarsi rapidamente per organizzare degli incontri anticapitalistici dei paesi arabi.

Il dibattito ha preso avvio dal riconoscimento che troppo spesso le organizzazione della sinistra europea hanno sofferto – appunto – di eurocentrismo, che le ha spesso portate a non comprendere (e non sostenere) i processi di mobilitazione della sponda sud.

Le rivoluzioni tunisina ed egiziana e le crescenti mobilitazioni di massa in molti paesi della regione richiedono invece uno sforzo di incontro e di scambio, perché si aprano due opportunità storiche parallele: nei paesi del sud l’occasione di costruire nuovi sindacati indipendenti, organizzazioni radicali di massa, strutture di democrazia diretta – che hanno bisogno di un aiuto da parte di tutte/i perché si tratta di una nuova esperienza che ha bisogno di sostegno politico e materiale; nell’Europa mediterranea si apre invece l’occasione di saldare le resistenze alla crisi con un rinnovato internazionalismo, che riconosca i soggetti che hanno messo in crisi l’equilibrio imperiale a sud come naturali alleati della loro lotta – riconoscimento che presuppone anche la capacità di rispettare e curare i plurali e differenti cammini delle rivoluzioni.

Siamo oltre la solidarietà, siamo alla comune lotta contro l’imperialismo e il sistema capitalistico globale.

La discussione ha posto molti spunti di riflessione, che hanno riguardato la nuova composizione di classe (con il racconto dei compagni egiziani del loro impegno insieme ai giovani precari del Cairo), la necessità di costruire partiti rivoluzionari di massa e fronti progressisti che siano capaci di amplificare le crisi politiche e conquistare larghi spazi di libertà e autonomia per porre la questione di una trasformazione economico-sociale, le esperienze di “contropotere” e di difesa dal basso delle conquiste per consolidare i processi di partecipazione popolare, il bisogno di una solidarietà visibile, e così via.

Una particolare attenzione è stata data anche alla guerra e all’intervento militare in Libia – che è stato condannato da tutti i soggetti presenti come ipocrita e diretto a garantire il controllo politico-economico sulla regione frenando le lotte rivoluzionarie in corso nel mondo arabo.

All’interno di questo meeting il Npa ha organizzato anche un incontro pubblico (con la partecipazione di centinaia di persone) incentrato sui processi rivoluzionari, al quale sono intervenuti un rappresentante delle delegazioni tunisine (a nome del Fronte del 14 Gennaio), un rappresentante delle delegazioni egiziane (nello stesso spirito unitario) e un rappresentante del Fronte popolare per la liberazione della Palestina; per il Npa è intervenuto un compagno di Marsiglia che ha fatto il punto sulla situazione dei migranti tunisini a Marsiglia e infine hanno chiuso Olivier Besancenot e la nuova portavoce del Npa Myriam Martin.

Aldilà del piacere di ritrovarsi, di conoscersi e di discutere insieme in commissione e, in maniera informale, durante i pasti, questi incontri confermano la necessità e la possibilità reale di un lavoro comune al fine di lottare contro il sistema capitalista ed imperialista. E ciò si ritrova nella dichiarazione finale che propone un gruppo di continuità incaricato di preparare i prossimi incontri che avranno luogo in un paese del Sud del Mediterraneo e che avranno l’obiettivo di costruire anche campagne comuni (per esempio per l’annullamento del debito dei paesi della sponda sud o contro l’intervento militare imperialista e la Nato)

Certo si è trattato di una prima volta ma lo slancio e l’entusiasmo dei delegati per la proposta di continuare i dibattiti, la riuscita degli incontri indica come questi dovrebbero essere i primi di una lunga e fruttuosa serie. Con lo scopo di organizzare simultaneamente azioni comuni in tutto il Mediterraneo.

Dall’Italia ha partecipato una delegazione di Sinistra Critica, che ha rilevato una fortissima omogeneità di fondo nelle analisi e nella concezione dell’impegno politico anticapitalista con le altre forze presenti.

Appello dei partecipanti al primo incontro delle organizzazioni anticapitaliste del Mediterraneo

La revuelta de la "generaciòn perdida"

In Spagna sta accadendo qualcosa che mai si era visto, quello che può essere chiamato "Movimento del 15 Maggio", la cui nascita è un avvenimento veramente storico. A due giorni delle elezioni amministrative le piazze di più di cinquanta città sono occupate da quelli che, con lo slogan “non ci rappresentano”, hanno perduto la fiducia nella politica e adesso si fanno vedere ogni giorno nelle assemblee in strada e nelle piazze. Anche se nessuno si sarebbe aspettato un movimento di tale entità, la cosa strana è il fatto che non avesse avuto luogo prima: quando la disoccupazione giovanile aveva toccato il 45%, quando il 63% dei cittadini spagnoli vivevano con mille euro al mese o ancora meno; tutto questo mentre le grandi imprese raggiungevano profitti record e stipendi mai visti per i dirigenti delle stesse. Duecentocinquantamila famiglie sono sotto sfratto perché non riescono a pagare il mutuo, mentre la stessa banca che le lascia senza casa e con molti debiti ottiene, come premio, quasi due punti del PIL nei piani di salvataggio pubblico; la gente a questo punto scende in strada e prende parola.

I cittadini, con il motto “Non siamo merce nelle mani dei politici e dei bancheri”, non si vedono rappresentati da una classe politica permanentemente colpita da scandali di corruzione e che in una crisi sistemica come questa ragalano benefici alle banche e agli istituti finanziari, precarizzando sempre più la vita della maggior parte della popolazione.

La riforma delle pensioni, quella delle casse di risparmio, le riforme universitaria e quella dei contratti collettivi sono le cause che producono queste conseguenze. I tentativi di mobilitazione più recenti possiamo individuarli in due date: la prima è il 7 aprile, con la grande manifestazione convocata dalla piattaforma studentesca “Gioventù senza futuro”. Con lo slogan “Senza pensione, senza casa, senza lavoro, senza paura”, migliaia di giovani sono scesi in strada in differenti città spagnole per riavere indietro il futuro di una intera generazione che il Fondo Monetario Internazionale ha definito “una generazione perduta”.

La seconda data fondamentale è stata il 15 maggio, creata dalla rete sociale “Democrazia reale adesso”. La manifestazione convocata ha visto l’adesione di centinaia di collettivi; tra questi proprio la piattaforma studentesca “Gioventù senza futuro”. Una manifestazione di massa che è terminata a Madrid tra la repressione della polizia e l’arresto di 24 giovani manifestanti. Il giorno seguente, la Puerta del Sol, cosiddetta Kilometro Zero, ha cominciato a riempirsi di gente. Ogni giorno alle otto di sera le piazze spagnole hanno richiamato sempre più “indignati” (molti dei quali hanno dormito nelle piazze stesse); specialmente la Puerta del Sol di Madrid, rinominata dagli occupanti “Piazza della soluzione” o “La nostra Piazza Tahir” con riferimento alle rivoluzioni in nord Africa.

Sono le stesse motivazioni che hanno spinto sia le mobilitazioni europee di quest’anno (per esempio gli studenti di “Gioventù senza futuro” hanno come riferimento le rivolte italiane dello scorso autunno), sia quelle del mondo arabo che hanno ormai provocato un fortissimo effetto-contagio.
Tutti i settori che fino ad ora erano rimasti assopiti cominciano a risvegliarsi ed unirsi, confluendo in un movimento ampio ed eterogeneo. Gli studenti e i giovani senza futuro, i disoccupati, i precari, gli sfrattati. Tutti insieme ogni giorno per le strade, costruendo una nuova politica non assoggettata ai mercati. Ogni giorno più persone ricominciano a credere che “La rivoluzione è possibile”, con un altro modo di fare politica, e che uniti si può vincere. Sanno che c’è ancora molto lavoro davanti a loro: grazie alle commissioni create in ogni città il principale lavoro è la diffusione della protesta per aumentare il numero dei manifestanti.

Grazie alle grandi assemblee vengono portate avanti le rivendicazioni in maniera concreta, anche incontrando difficoltà dovute all’eterogeneità delle piazze; ma non hanno fretta, perché adesso sono loro che scandiscono il tempo, stabiliscono le linee guida per una classe politica sempre più spaventata.
La Giunta elettorale ha dichiarato illegale la manifestazione che “Gioventù senza futuro” vorrebbe indire sabato, il giorno prima delle elezioni (giorno del silenzio elettorale). Gli studenti si sono dichiarati “insorti” e partiranno domani (oggi n.d.T) dalla Puerta del Sol in corteo con lo slogan “Non c’è democrazia se governano i mercati” per bloccare la città. Intanto il vicepresidente del governo, Rubalcaba, ha dichiarato che “non ci sarà sgombero con la forza a meno che non abbiano luogo atti di violenza o altre infrazioni della legge”. Il governo sa che utilizzare la repressione in questo momento significa aumentare l’indignazione verso il proprio operato, che è una delle cause principali per la quale è cominciata la protesta.

Nessuno sa cosa succederà oggi e nei prossimi giorni, tuttavia è chiaro che la chiamata ad una “Spanish revolution” è sempre più forte, e gli occupanti non sembrano rassegnarsi, hanno ormai perduto ogni tipo di timore.

di Isabel Serra da Madrid

19 maggio 2011

Battere Berlusconi ai ballottaggi e vincere al referendum. C'è spazio per una sinistra innovativa e radicale

NOTA DELL'ESECUTIVO NAZIONALE DI SINISTRA CRITICA

La sconfitta di Berlusconi e le crepe del centrodestra costituiscono la notizia più rilevante di queste elezioni amministrative. Il caso di Milano è evidente ma anche gli insuccessi diffusi della Lega stanno lì a testimoniare una crisi della compagine governativa. I limiti evidenti del governo, gli effetti della crisi, la speranza di un cambiamento motivano un voto che utilizza quello che ha a disposizione. Il risultato di Pisapia, in particolare, recupera una parte dell'astensionismo di sinistra e beneficia del crollo del centrodestra solo in parte spiegabile con i voti, modesti andati al "terzo polo" di Udc-Fli-Api. Il fatto che la Lega sia costretta a fermarsi offre spunti nuovi e produrrà una movimentazione all'interno del Carroccio (il cui risultato delle scorse regionali era stato comunque sopravvalutato).
Pisapia più che un volto e una proposta di alternativa radicale è stato un buon candidato democratico, pulito, efficiente, credibile. Il successo della lista Pd lo dimostra. Ed è stato utilizzato soprattutto per dare un colpo a Berlusconi.

A Torino vince il tradizionale patto sociale che comprende i poteri forti, Fiat e San Paolo, il vecchio apparato socialdemocratico moderato del Pci, le organizzazioni sindacali, fino ad arrivare alla stesso apparato della Fiom. Dura la sconfitta delle forze politiche della destra che si inserisce nelle più generali difficoltà del berlusconismo. La resistenza operaia di Mirafiori non ha riscontri elettorali significativi testimonianza dei difficili rapporti di forza tra le classi.

A Bologna vince il Pd ma a fatica e soprattutto non costituisce una alternativa essendo la candidatura Merola in piena continuità con il malgoverno passato. Il grande successo della lista Grillo erode consensi a destra e sinistra mentre il Pd subisce una sonora sconfitta a Napoli.

La destra perde, il centrosinistra si rafforza ma con importanti contraddizioni al suo interno. Il Pd non ha deciso se stare con il "centro" o con le componenti alla sua sinistra, l'Idv subisce una forte battuta di arresto mitigata solo dal successo di De Magistris, Vendola ottiene un buon risultato sulle liste di Sel ma forse in misura minore alle aspettative, la Federazione della sinistra si salva solo in alleanza e probabilmente archivierà l'ipotesi di costruire una sinistra alternativa.

Lo spazio a sinistra, pur esistendo ancora, non viene occupato adeguatamente. Non funziona l'esperimento torinese che Sinistra Critica - che pure conferma i suoi voti e registra un buon risultato della candidatura operaia di Lojacono - ha fatto con la Fds e neanche quello della lista "Napoli non si piega". Il Pcl praticamente scompare e sembra pagare la sua linea isolazionista e indisponibile a unità. Ma come evidenziano le liste Grillo, il successo di De Magistris, le numerose liste alternative al Pd in varie città che ottengono buoni risultati, quello spazio resta disponibile nonostante l'inadeguatezza dei soggetti in campo. C'è una voglia di cambiamento che aspetta di essere organizzata e rappresentata.

Alla luce dei risultati, confermiamo la scelta di non aver voluto presentare una lista propagandistica a Milano. Dal voto di domenica e lunedì, infatti, si conferma che una presenza elettorale di stampo propagandistico, identitaria o, peggio, nostalgica non ha nessuna attrattiva. Ovviamente si tratta di un limite perché è chiaro che Pisapia e De Magistris, come Fassino a Torino, si collocano all'interno di un classico antiberlusconismo: etico quello di Milano, "giudiziario" e anticamorra quello di Napoli, di "potere" quello di Torino. Nessuna di queste candidature riesce però a esprimere un profilo sociale e di classe e resta distante da una prospettiva anticapitalista. La loro presenza, se pure viene utilizzata nell'immediato per incrinare il potere berlusconiano, non è certo sufficiente a disegnare un'alternativa sociale. Se la sinistra vuole giocare un ruolo deve quindi avere un certo radicamento e presentare candidature credibili. Guardare al futuro piuttosto che al passato, riuscire a cambiare passo anche per competere con l'insidia rappresentata dal movimento grillino che si conferma ancora come la novità elettorale. Ci sarà da riflettere e serviranno ulteriori approfondimenti.

Gli altri esperimenti prodotti da Sinistra Critica hanno avuto successo in particolare Cattolica con il 4,2% a Giona Di Giacomi che costringe il Pd al ballottaggio; Casoria dove l'alleanza con Sel e Fds ha prodotto il 5,28; Monfalcone con la lista "comunista e anticapitalista", con una forte presenza operaia, al 2,2%. In linea con i dati delle politiche 2008 lo 0'6% di Rimini.

Nell'immediato Sinistra Critica si impegnerà per la sconfitta di Berlusconi a partire dai ballottaggi di Milano e Napoli. Continueremo a lavorare per una sinistra unita e radicale, senza ideologismi o soluzioni identitarie ma con un lavoro politico orientato al conflitto e al radicamento sociale. Soprattutto, costruiremo a fondo la campagna elettorale per il referendum, rafforzata dal grande successo della consultazione in Sardegna, con il 60% di affluenza al voto e il 98% contro il nucleare. Se a Milano Berlusconi ha ricevuto una sconfitta netta, il successo dei Sì il 12 e 13 giugno potrà costituire il Ko definitivo.

14 maggio 2011

Cgil, meno conflitti e più servizi

Un servizio sull'Espresso spiega tutte le attività "collaterali" di Cgil, Cisl e Uil: dai patronati ai Caaf, dagli Enti bilaterali a banche e fondi pensione. Durissima la lettera del segretario generale che minaccia il ricorso al tribunale

La lettera di Susanna Camusso all'Espresso:

http://www.cgil.it/dettagliodocumento.aspx?ID=16339

di Salvatore Cannavò, da L'Espresso, 5 maggio 2011


"Perdiamo iscritti, e la Cisl potrebbe diventare nel medio periodo il più grande sindacato italiano". Quando Susanna Camusso ha lanciato questo allarme durante l'ultimo Comitato direttivo, lo scorso 23 febbraio, tra gli uomini della Cgil girava una voce inquietante: in provincia di Milano la Cisl sarebbe già il primo sindacato. A quel punto, le parole del segretario generale hanno messo in chiaro a tutti che non c'è più molto tempo per invertire la tendenza che porterebbe a uno storico sorpasso. Occorre fare in fretta, cambiare pelle, trovare nuovi canali di contatto con i lavoratori, attivarsi su nuovi fronti, proprio come sa fare bene la Cisl. Ed entrare in concorrenza con il sindacato guidato da Raffaele Bonanni soprattutto sul terreno dei nuovi business, quelli che fanno da compensazione alla difficoltà di trovare nuovi iscritti, e da argine alla crisi della contrattazione.

Lo slogan del futuro potrebbe essere: "meno conflitti e più servizi". In sostanza, premere l'acceleratore sulle attività collaterali: quella dei patronati, ma soprattutto i nuovi filoni come la consulenza fiscale e previdenziale agli iscritti, quella sulle vertenze legali, o attività più propriamente economiche come gli enti bilaterali, fino alla presenza nei consigli di amministrazione di banche, fondi pensione, fondi sanitari. Avendo ben presente un rischio. Diventare un sindacato-gestore, che si fa ente economico e giuridico, comporta la tentazione di trasformarsi in centro di potere, o luogo di smistamento di pratiche clientelari. Come ha dimostrato la "parentopoli" romana, che ha visto dirigenti sindacali più preoccupati di collocare figli e nipoti all'Atac, l'azienda pubblica di trasporto della Capitale, che della bontà del servizio pubblico.

D'altra parte, è dall'inizio degli anni Novanta, grazie alla concertazione, che il sindacato ha via via dato spazio a comitati paritetici, commissioni congiunte, organismi di vigilanza, tutti luoghi decisionali in cui i rapporti con imprese e governo si confondono. Prendiamo l'Inpdap e l'Inps: l'attività di vigilanza che i sindacati svolgono nella previdenza pubblica si traduce in un "Comitato di indirizzo e vigilanza" che ha ben 24 membri perché deve far posto alle associazioni dei lavoratori dipendenti (una decina), degli autonomi, dei datori di lavoro. Poltrone, e gettoni di presenza per tutti: 810 mila euro i compensi e i rimborsi pagati nel 2009 (sia pure in calo quasi della metà per effetto dei tagli di Tremonti). Senza contare l'ufficio di presidenza del Comitato, per il cui funzionamento l'Inps spende 221 mila euro, e il cui vertice è di pertinenza dei rappresentanti dei lavoratori dipendenti, ed è attualmente affidato a uno storico dirigente della Cgil, Guido Abbadessa (il quale prima ricopriva lo stesso incarico all'Inpdap).
Il nodo, per il sindacato, è quello dei soldi. Dagli oltre 5,7 milioni di tesserati (di cui 3 milioni pensionati) la Cgil ricava una cifra complessiva - stimando 10 euro mensili a testa - di oltre 680 milioni di euro all'anno, che servono a tenere in piedi una struttura poderosa, con 16 mila funzionari e sedi in tutto il paese; con lo stesso criterio di calcolo la Uil (con 2.184.000 tessere, tra cui 575 mila pensionati) incassa 250 milioni e la Cisl (con 4,5 milioni di tesserati di cui 2,2 pensionati) 540. Se declina l'introito delle tessere, per tenere in piedi la baracca occorre dunque trovare nuove entrate. Quali?

Il santo patronato
I patronati (l'Inca-Cgil, l'Inas-Cisl, l'Ital-Uil) sono stati il primo business in cui il sindacato si è diversificato. Le entrate complessive di tutti i 27 patronati ammontano a circa 370 milioni di euro (dato 2009 tratto dalla Relazione generale sulla situazione economica del paese) e vengono dal disbrigo delle pratiche su contributi, pensioni, infortuni, immigrazione, ammortizzatori sociali, invalidità civili e previdenza sociale. Chi paga? Il ministero del Welfare, che gira al sindacato un contributo dello 0,226 per cento (ora ridotto da Tremonti allo 0,178) sul monte contributi delle pratiche che si concludono positivamente. L'Inca incassa circa 85 milioni, l'Inas 64 milioni, al terzo posto le Acli, con circa 40 milioni di contributi. Un legame così forte, quello con il ministero del Welfare, che il ministro Maurizio Sacconi sta studiando come compensare il taglio del collega dell'Economia: un'ipotesi è quella di appaltare alle sedi estere del patronato la selezione di badanti e colf da collocare nel mercato del lavoro italiano. Un affare con un potenziale di circa 20 milioni di euro.
Nei patronati il sindacato occupa una parte consistente della sua "forza lavoro": sono 1.723 gli operatori della Cgil, 1.100 quelli della Cisl (le Acli arrivano a occupare ben 5.000 persone, volontari inclusi). Numeri di un'azienda medio-grande. Ma i patronati sono anche strategici sul piano delle tessere: si stima che metà delle pratiche pensionistiche risolte diano luogo a nuovi iscritti.

Tu litighi, io incasso
Gli uffici-vertenze si occupano di risolvere i contenziosi con le aziende, e non hanno contributi pubblici ma entrate volontarie. Vi ricorrono i singoli lavoratori o le cause collettive. Una singola vertenza genera mediamente tra i 1000 e i 2000 euro (ma alcune hanno prodotto anche 40 mila euro) e per ogni causa vinta il 10 per cento resta al sindacato. L'ufficio vertenze della Cgil-Lazio, per esempio, ha incassato in un anno un milione di euro.

Caaf in rosso
Poi ci sono i Caaf, i centri di assistenza fiscale che aiutano nella compilazione della dichiarazione dei redditi. Come "intermediari fiscali", sono diventati società a responsabilità limitata, cioè società di capitali i cui soci di riferimento sono i sindacati e le loro articolazioni territoriali. Peccato che da un po' i Caaf siano spesso in passivo, causa eccesso di dipendenti. Quello della Cgil del Lazio, ad esempio, ha accumulato un debito di 14 milioni e deve ricorrere a un taglio sui circa 150 lavoratori, che potrebbero andare a ingrossare le fila di quei "licenziati dalla Cgil" che stanno conducendo una vertenza contro il sindacato di Susanna Camusso.
Per sanare il rosso, una mano la potrebbe dare l'Inps, che ha deciso di abolire il servizio di ricezione gratuita dei moduli 730 che fino all'anno scorso potevano essere consegnati presso i suoi sportelli. Questo aumenterà il giro d'affari dei Caaf e il conto che presentano allo Stato. Anche se è prevista una tariffa pagata dall'utente, il Caaf ottiene infatti un contributo pubblico per ogni pratica svolta (730, Unico, Ici): l'assegno staccato dal Welfare si aggira intorno ai 200 milioni annui. A cui si aggiungono i soldi pagati dall'Inps per la realizzazione degli Isee (l'indice di situazione economica delle famiglie), un servizio che nel 2009 ha fatto incassare ai Caaf 102 milioni.
I vertici dei Caaf, come i presidenti dei patronati, vengono nominati dalle segreterie provinciali e regionali: l'Inca-Cgil è diretto da Morena Piccinini, che prima era componente della segreteria confederale, così come lo era Antonino Sorgi, presidente dell'Inas-Cisl, mentre il presidente di Ital-Uil, Giampiero Bonifazi, fa anche parte del Cnel, grande area di parcheggio di dirigenti sindacali.

Sbarco nella finanza
Le strutture che stanno ridisegnando il sindacato di domani sono gli Enti bilaterali. Secondo la legge Biagi dovrebbero servire a regolare il mercato del lavoro, programmare attività formative, di fatto, servono ad allevare nuove leve burocratiche e mini-apparati. Il numero dei loro componenti non è mai meno di tre per parte sindacale (quanti quelli dei datori di lavoro. E questo per ogni categoria nazionale, per ogni struttura provinciale o regionale. Le categorie sono 89, i sindacati più rappresentativi sono almeno 4 o 5, le provincie oltre 120 e le regioni 20: viene fuori una schiera di qualche migliaio di funzionari. Tutti pagati da aziende e lavoratori: il contributo per finanziarli si calcola infatti sull'imponibile previdenziale del monte dei salari (in media 0,20 per cento a carico delle aziende, altrettanto a carico dei lavoratori).

Nomenklatura sanità
Da quando il Tfr alimenta la previdenza complementare, la gestione dei fondi sanitari è diventata ambitissima. Nonché inevitabilmente numerosa. Prendiamo il fondo Sanimpresa: funziona dal 2003 per gestire l'assistenza sanitaria ai dipendenti della Confcommercio di Roma insieme a Cgil, Cisl e Uil. Ebbene, il consiglio di gestione è formato da 36 persone, metà espressione delle imprese e metà dei sindacati. Come il Fonchim, fondo pensione dei chimici, che ha 2,5 miliardi di patrimonio ed è governato a un'assemblea di delegati formata da 31 rappresentanti delle imprese e 31di parte sindacale. Poi c'è il consiglio d'amministrazione (7+7) il Collegio dei Revisori (2+2) e la Consulta dei soci fondatori (9+9), con spese generali pari a 1,5 milioni di euro oltre al milione per il personale. Analogo il caso del Fondo Cometa, per i metalmeccanici, che ha un'assemblea di delegati più grande (45+45), un cda di 6+6.

Tutti insieme appassionatamente
Infine Cgil, Cisl e Uil insieme sono tra i fondatori dell'Unipol, che ha da poco dato vita alla holding finanziaria Ugf. Dentro: assicurazioni, banche, fondi di investimento, leasing e altre attività finanziarie. Tra i 25 membri del consiglio di amministrazione della Ugf - che stacca un compenso di 50 mila euro all'anno ciascuno più 1.500 euro di gettone di presenza alle riunioni - accanto a uno della Cgil, uno della Cisl e due della Uil, ci sono amministratori che provengono dai sindacati di artigiani, commercianti e agricoltori (Cna, Confesercenti e Cia). Un curriculum per tutti dà l'idea di quanta carriera possa fare un sindacalista che entra nei nuovi ranghi manageriali, quello di Sergio Betti: carriera nella Cisl in Toscana, poi consigli degli enti bilaterali edile e agricolo, cda dell'Università di Siena, della Camera di Commercio, del patronato Inas ed oggi, oltre che nel cda di Ugf, è presidente di Marte. Che cosa è? La prima società di brokeraggio assicurativo creata direttamente da un sindacato, la Cisl. Che è già, certamente il primo sindacato: almeno per il suo senso degli affari.

(13 maggio 2011)

13 maggio 2011

Per la Palestina, con Vittorio nel cuore

Sinistra Critica sulla manifestazione del 14 maggio
Le rivoluzioni e le rivolte che si sono aperte in tutto il Mediterraneo e in Medio Oriente rappresentano finalmente una ventata di aria fresca, un evento storico di portata globale, un’opportunità affinché non solo le dittature arabe entrino in una salutare crisi che possa definitivamente spazzarle via, ma che gli interessi occidentali nel mantenimento dello status quo venga smascherato e combattuto.
Anche se le forze della controrivoluzione – interne ed esterne al mondo arabo – stanno cercando di chiudere alla svelta la porta aperta dalle rivolte di massa e popolari, nulla sarà comunque più come prima. Le donne e gli uomini, soprattutto giovani, in Tunisia e in Egitto hanno mostrato a tutte/i che “si può fare”, che la rivoluzione è possibile.
Nemmeno Israele e la Palestina sono rimasti indenni. Il governo israeliano è fortemente preoccupato che possano cambiare gli equilibri nella regione, che le popolazioni arabe possano essere protagoniste del proprio destino e che si affermi la democrazia: niente favorisce meglio gli interessi sionisti dei regimi autocratici, che proclamano ogni giorno la loro solidarietà ai palestinesi e agiscono come stretti alleati dell’ordine statunitense ed europeo nella regione, ovviamente favorevole agli interessi israeliani e degli stessi regimi arabi, ordine che costringe i palestinesi all’occupazione permanente, all’espropriazione delle loro terre, e persino all’oblio.
Per questo la Nato è intervenuta in Libia, non certo per proteggere la popolazione civile o aiutare un processo di trasformazione democratica, ma per frenare ogni possibile cambiamento radicale e mantenere il controllo sulle dinamiche economiche e politiche della regione. Per questo l’occidente rimane alla finestra di fronte alla repressione del regime siriano, che garantisce anch’esso in qualche modo un equilibrio necessario a Israele e l’occidente.
Noi stiamo dalla parte delle rivolte, delle manifestazioni, del protagonismo arabo. Un protagonismo che si è mostrato anche in Cisgiordania e Gaza, grazie soprattutto alle/ai giovani del “movimento 15 marzo” che hanno manifestato la loro voglia di protagonismo, la loro protesta contro dinamiche politiche bloccate e troppo spesso concentrate sulla competizione tra Hamas e Fatah che sulla resistenza all’occupazione. Hanno manifestato la loro voglia di una rivoluzione anche in Palestina. Questo vento nuovo ha portato all’accordo tra Hamas e Fatah che potrebbe finalmente riaprire una stagione positiva per l’unità palestinese, anche se allo stesso tempo potrebbe tagliare fuori le sinistre laiche e progressiste e i movimenti della società civile. L’unità palestinese è importante perché può rilanciare l’iniziativa contro l’occupazione e la resistenza all’espropriazione. Il compito del movimento internazionalista di solidarietà è quello di sostenere questa resistenza, di sostenere la partecipazione e il protagonismo palestinese, di contribuire alla denuncia e all’isolamento politico del governo israeliano – in particolare attraverso il consolidamento della campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro lo stato sionista.
Sinistra Critica parteciperà alla manifestazione del 14 maggio per contribuire alla visibilità di questa solidarietà internazionalista con la Palestina, e saluta l’iniziativa del Convoglio Restiamo Umani che in questi giorni porterà a Gaza l’abbraccio e la solidarietà di tante/i, con la Palestina e Vittorio Arrigoni nel cuore, perché il suo esempio e il suo ricordo sono un continuo stimolo all’iniziativa per la fine dell’occupazione e per la giustizia in Palestina.

05 maggio 2011

6 maggio 2011: RIBELLARSI E' GIUSTO!

RIBELLARSI E' GIUSTO!

OPERAI, PRECARI, STUDENTI e MIGRANTI INSIEME

CONTRO IL GOVERNO BERLUSCONI

CONTRO MARCHIONNE E LA CONFINDUSTRIA

La crisi non è superata.
Con il “patto per l’euro”, l’Unione europea ha deciso ancora di ridurre i salari (!), attaccare quel che resta dello stato sociale e portare l’età pensionabile a 67 anni! In Italia stanno finendo gli ammortizzatori sociali, i precari vengono lasciati a casa e i disoccupati crescono. Ma i profitti e le rendite finanziarie non si fermano. Diseguaglianze così profonde non ci sono mai state e sono inaccettabili! E Tremonti sta preparando un’altra manovra finanziaria da “lacrime e sangue”.
Questo sciopero generale è sicuramente anche il risultato delle enormi pressioni dal basso arrivate nei mesi scorsi, da dentro e fuori la CGIL, fin dalla manifestazione nazionale della FIOM del 16 ottobre, e poi dagli studenti, dallo sciopero dei metalmeccanici del 28 gennaio, ecc. Tuttavia rischia di essere una iniziativa tardiva e inefficace.
Certo, ogni manifestazione di lotta che contribuisca a un maggiore protagonismo di lavoratori, lavoratrici, precari, immigrati è un segnale positivo di resistenza alla crisi che va valorizzato. Ma è necessario, al contempo, dare chiari e precisi segnali di una continuità nella mobilitazione, fuori da ogni ambiguità.
Non è credibile, ad esempio, aver continuato a celebrare il 1° maggio, come se nulla fosse successo, insieme ai sindacati “complici” CISL e UIL, che hanno sottoscritto accordi separati per ormai oltre 7 milioni di lavoratori (metalmeccanici, pubblico impiego, commercio, ecc.), oltre a tutti i diktat di Marchionne e della Fiat. E peraltro la CGIL, continua a tenere aperto un tavolo di contrattazione nazionale con la Confindustria con l’obiettivo di concertare un nuovo patto sociale, in nome dell’incremento della produttività.
Per questo è più che mai necessaria una grande mobilitazione della classe lavoratrice che difenda salari , occupazione e diritti, che rivendichi un intevento pubblico sul futuro della Fiat. Obiettivo dello sciopero non possono essere solo le “inefficienze” del governo (che è in verità molto efficiente, a sostegno della Confindustria e dei banchieri, nei provvedimenti contro lavoratori, precari, donne e migranti).Così come non si possono lasciare da sole e separate tante vertenze, come da ultimo i lavoratori della Bertone.

VOGLIAMO:

• LA RIDISTRIBUZIONE DEL LAVORO CHE C’E’ TRA TUTTI basta licenziamenti comunque mascherati
• IL RIPRISTINO LA SCALA MOBILE CONTRO LA RIDUZIONE DEL POTERE D’ACQUISTO
• NESSUN REDDITO AL DI SOTTO DI € 1.000, NESSUN SALARIO SOTTO € 1.300 MENSILI
• LA TASSAZIONE DELLE RENDITE FINANZIARIE, DEI SOVRAPROFITTI E DI TUTTI I PATRIMONI SUPERIORI AI 200.000 EURO ALL’ANNO
• IL TAGLIO DELLE SPESE MILITARI 2 milioni di euro al giorno per la guerra in Afghanistan

Bisogna organizzare la rabbia di milioni di persone “senza futuro” in tutta Europa contro il padronato e governi liberisti. Come sta avvenendo nel mondo arabo, nelle piazze di Tunisi e del Cairo.
E’ necessario che tutti i settori sindacali combattivi, nella CGIL e nei sindacati di base, agiscano insieme per ricostruire il conflitto sociale, così come ad esempio sta avvenendo a Roma, Milano e altrove con l’esperienza dei delegati Autoconvocati di tutte le sigle sindacali. E anche la Mayday di Milano ha lanciato la proposta di uno “sciopero precario”, cioè di tutte e tutti contro la precarietà e per il diritto al reddito, alla casa, ai servizi: è anche questa la nostra lotta.
IN SOLIDARIETÀ CON LE LAVORATRICI ED I LAVORATORI DELLE FABBRICHE IN LOTTA! CONTRO IL RAZZISMO ISTITUZIONALE E LO SFRUTTAMENTO DELLE LAVORATRICI E DEI LAVORATORI MIGRANTI!

SINISTRA CRITICA Veneto

Tra concerti e concertazione, noi tifiamo rivolta!

verso lo sciopero generale del 6 maggio

Le nuove generazioni in generale e gli studenti in particolare, negli ultimi vent’anni hanno sistematicamente espresso un forte senso di disagio e di preoccupazione per il loro futuro, fino a giungere alla fase attuale nella quale il futuro non solo non è percepibile, ma nemmeno immaginabile.

Negli ultimi anni gli studenti si sono resi protagonisti di lotte che hanno avuto, il pregio di aver contribuito a colmare il vuoto politico causato dalla totale incomprensione delle grandi organizzazioni sindacali e politiche nei confronti delle problematiche giovanili e non solo, quali ad esempio la precarietà lavorativa.

L’attiva partecipazione degli studenti alle lotte dei lavoratori non si è limitata alla mera solidarietà, ma ha avuto un preciso scopo: da una lato evitare che la demolizione dei diritti sul posto di lavoro oggi, possa recludere ulteriormente l’accesso ad un futuro lavorativo certo, dall’altro esprimere chiaramente la necessità di un’unità reale tra tutti i soggetti che stanno pagando la crisi.

La rabbia dettata da una prospettiva di totale precarietà, sociale e lavorativa, ci ha fornito gli strumenti per un’analisi critica sulla fase che stiamo attraversando, per non esserne semplici spettatori, ma per cercare di determinarla. Ed è in quest’ottica che abbiamo partecipato a costruire la data del 16 ottobre, che avrebbe dovuto evolvere in una mobilitazione generale e generalizzata, in tempi ragionevoli e strategicamente utili per dare una significativa “spallata” alla leadership governativa, formata non solo dalla componente politica ma soprattutto degli interessi di confindustria.

La CGIL ha però preferito tergiversare senza alcuna motivazione apparente, cercando di raffreddare in tutti i modi le piazze e rifiutandosi di proclamare lo sciopero generale nel momento più alto del conflitto, quando la rabbia giovanile e studentesca esplodeva nella giornata del 14 Dicembre e la battaglia di resistenza di Mirafiori cominciava a nascere all’interno della fabbrica torinese.

Nonostante tutto abbiamo comunque scelto di partecipare allo sciopero del 6 Maggio, per portare la nostra visione critica di una data, che, se fosse stata aperta realmente a tutti i soggetti sociali, dagli studenti, agli abitanti di Terzigno, ai migranti, che hanno prodotto un reale conflitto in questo Paese, e se fosse stata convocata nel momento culminante delle mobilitazioni sociali, avrebbe potuto essere sicuramente un momento importante e decisivo. Come sappiamo tutto questo non è avvenuto e ad oggi ci ritroviamo nella situazione in cui non si ha la minimia certezza sulla riuscita dello sciopero, mentre all’orizzonte si profila un rafforzamento della vocazione concertativa della CGIL (come dimostra l’atteggiamento della FIOM al referendum tenutosi alla ex-bertone, dove il sindacato metalmeccanico ha scelto di appoggiare il Si).
Il nostro obbiettivo quindi rimane quello di costruire un percorso dal basso, che possa anche rendere evidenti le palesi contraddizioni della CGIL.

L’azione diretta dell’economia liberista nello scardinare sistematicamente ogni forma di tutela dei diritti sul lavoro, non ha come conseguenza la sola precarizzazione della vita, ma innesca un gioco al massacro tra i lavoratori che svendono la loro vita per paghe sempre più misere e tempi di lavoro sempre più lunghi, e proprio per questo risulta sempre più inaccettabile qualsiasi politica concertativa.

Per quel che ci riguarda questa non deve essere l’ennesima data isolata, ma la tappa di un percorso aperto, collettivo e determinato al recupero di quello spirito conflittuale che si era intravisto nei mesi scorsi.
Recupero necessario per cercare di ricucire e riavvicinare i lembi del tessuto sociale che sono stati, nel tempo, lacerati con concetti quali imprenditore di se stesso, lavoratore indipendente, collaboratore esterno e tutta quella lunga serie di definizioni che servono solo a nascondere la realtà dei fatti: lavoratore precario a tempo indeterminato!

Finchè non vedremo ritornare sui tavoli di contrattazioni quelle garanzie che sono state svendute, continueremo a riempire le piazze e le strade, con quell’autodeterminazione che ci contraddistingue, continueremo a bloccare scuole e università.

NON SI PLACA IL VENTO DELLA RIVOLTA!

04 maggio 2011

Nichi e la "nuova narrazione" su Israele


di Cinzia Nachira
Nichi Vendola ha una caratteristica predominante: il tempismo. A poco più di 15 giorni dall’assassinio di Vittorio Arrigoni non si è chiesto se fosse o meno il caso di incontrare l’ambasciatore israeliano Meir. Non si è nemmeno posta la stessa domanda riguardo ai grandi cambiamenti che sono in corso in Medio Oriente e nel Maghreb. Avrebbe dovuto tenere conto del fatto che l’Egitto del post-Mubarak ha annunciato la riapertura totale del valico di Rafah, di fatto annullando l’efficacia dell’assedio cui la popolazione civile della Striscia di Gaza è sottoposta fin dal 2006, per volontà di Israele e della cosiddetta “comunità internazionale”. Inoltre, avrebbe fatto bene a ricordare che Fatah e Hamas, dopo quattro anni di divisione geografica e politica (entrambe conseguenze dirette della politica israeliana), il 27 aprile hanno raggiunto un’intesa per superare la divisione politica.
Forse, se avesse riflettuto su questi tre elementi, avrebbe capito (spes ultima dea) che incontrare ora l’ambasciatore israeliano significa dare un segnale negativo di controtendenza rispetto al vento di libertà che sta soffiando sul Mediterraneo. Le conseguenze del suo gesto le pagheremo tutti e tutte. C’è, poi, giusto bisogno di rimarcare l’infondatezza tutt’altro che innocente di alcune affermazioni che hanno segnato quella stretta di mano. La sua dichiarazione che: “[…] c’è una gamma assai variegata e ricca di possibilità di relazioni. Israele è un Paese che ha fatto investimenti straordinari sin dalla sua nascita, sull’innovazione. Un Paese che ha trasformato aree desertiche in luoghi produttivi e in giardini, un Paese che si confronta col tema mondiale del governo del ciclo dell’acqua, dell’energia, dei rifiuti con pratiche di avanguardia. Penso che la possibilità di sviluppare reciprocamente le attività turistiche e la tutela e valorizzazione del patrimonio culturale siano altri elementi importanti di una relazione che con la mia visita in Israele può raggiungere un punto di svolta”.
Neanche Theodor Herzl, il fondatore del sionismo politico, avrebbe trovato una formula più fine per nascondere il carattere colonialistico e razzista dello Stato di Israele. Ci ha pensato, nel 2011, Nichi Vendola. È sconcertante come sia possibile che oggi, mentre gli aerei da guerra della NATO (compresi quelli italiani) decollano dalle basi pugliesi per aggredire la Libia, proprio Vendola rivendichi la “riappropriazione” delle radici ebraiche della Puglia. La nostra regione è un crogiuolo di culture che nei secoli si sono integrate e mescolate e certamente non saremo noi a negare che tra queste c’è quella ebraica. Noi, però, sappiamo che la cultura ebraica ha poco o nulla a che vedere con la creazione dello Stato israeliano ad opera dei colonialisti sionisti ed europei a spese del popolo palestinese e dei popoli arabi della regione. Noi difendiamo la cultura ebraica, per il buon motivo che identificarla con lo Stato di Israele significa negare semplicemente il suo valore positivo inserendola a pieno titolo nel contesto colonialistico ed esclusivistico. Vendola ignora o, peggio, vuole ignorare che “i deserti trasformati in giardini” sono le terre da cui un milione di palestinesi sono stati cacciati manu militari, che le fonti di acqua che fanno “fiorire i deserti” sono sottratte con la forza ai palestinesi. Il Presidente della regione ignora che Israele ha deviato il corso del fiume Giordano, condannando a una morte lenta il fiume e le terre circostanti. Per cui è più appropriato affermare che Israele è un grande creatore di deserti dove c’erano terre fiorenti. Oggi, grazie a Israele, la valle del Giordano è pressoché desertica.
Le dichiarazioni di Nichi Vendola sono eticamente, culturalmente e politicamente sconcertanti, non degne di una persona che sostiene di voler essere parte di quella battaglia improba, ma inevitabile, per rendere questo mondo vivibile per tutti gli esseri umani che lo popolano e la cui stragrande maggioranza vive in condizioni di povertà assoluta, per consentire ad una minoranza di poter “far fiorire i deserti”. La Puglia, per la sua posizione geografica, è una regione mediterranea a pieno titolo e noi sentiamo il bisogno di dire ai popoli mediterranei, che stanno lottando per la loro libertà, che le dichiarazioni di Vendola, come la NATO, come il Presidente Napolitano che avalla la guerra NATO, non ci rappresentano. Lo diciamo anche al popolo israeliano, invitandolo caldamente a comprendere che i sostenitori incondizionati del governo israeliano che rifiuta tutti i tavoli negoziali sono in realtà i nemici più pericolosi del suo futuro. Noi rivendichiamo per tutti popoli del Mediterraneo, nessuno escluso, la volontà di essere protagonisti di un’alternativa vera. L’unica soluzione che possa portare la regione mediterranea ad una pace giusta ed equa.

02 maggio 2011

Tunisia: sindacato e processo rivoluzionario

Solidali e internazionalisti Delegazione della Union syndicale Solidaires in Tunisia. 15 aprile 2011

Tra il 27 marzo e il 2 aprile, una delegazione della
Union syndicale Solidaires si è recata in Tunisia. Ne facevano parte compagni di SUD-PPT [Poste], di SUD-Education [Scuola] di SUD-Rail [Ferrovie] e della Segreteria nazionale. La delegazione stava nel quadro della rete sindacale euro-mediterranea. Erano quindi presenti anche rappresentanti della CGT spagnola, della CUB italiana e della SNAPAP algerina, come pure una delle organizzazioni europee con le quali collaboriamo, la LAB del Paese Basco. La delegazione era accompagnata da un responsabile dell’associazione svizzera Solifonds, su richiesta dello Snapap.

Abbiamo constatato un grande cambiamento riguardo alla democrazia. Oggi, la maggior parte delle persone discute apertamente per strada delle proprie convinzioni politiche. È la fine di un regime dittatoriale che reprimeva severamente le mobilitazioni, il sindacalismo autentico, le associazioni e organizzazioni politiche che si opponevano al potere. Le manifestazioni sono autorizzate, anche se la repressione poliziesca può essere molto violenta, come abbiamo visto nella Casba il 1° aprile. Tuttavia, il sentimento generale, sia de* militanti incontrat*, come di ciò che si può vedere o leggere da «visitatori», è che a parte quello, non è cambiato quasi niente, in particolare sul piano economico-sociale. È quanto ci hanno detto, in forme un po’ diverse per la veemenza, ma identiche sul fondo, i sindacalisti della sinistra dell’UGTT (insegnanti, postini, ferrovieri, varie strutture interprofessionali), il segretario generale aggiunto dell’UGTT, il segretario generale della CGTT, i rappresentanti di 10 dei partiti politici che costituiscono il fronte del 14 gennaio, e in varie regioni i Comitati locali per la salvaguardia della rivoluzione, come pure i giovani che abbiamo incontrato, in particolare i/le disoccupat* laureat*, ecc. I giovani e la sinistra sindacale hanno avuto una parte fondamentale nel processo rivoluzionario, e ognuno di questi due gruppi ritiene che il proprio apporto è stato il più importante.

Negli ambienti militanti incontrati c’è un certo unanimismo sui seguenti punti:

  • Un numero enorme di responsabili del «vecchio regime» rimane al suo posto: nel governo, nei ministeri, nelle imprese. Il FMI, la Banca Mondiale sono sempre molto presenti … e non messi in discussione dai governi che si sono succeduti dopo il 14 gennaio. Anche se gli insegnanti del bacino di Gafsa, prima condannati, sono stati amnistiati e reintegrati nella Funzione pubblica, non hanno riavuto i loro posti. I telefoni dei militanti continuano ad essere intercettati…
  • Pochissime cose sono cambiate in due mesi in campo economico e sociale. Da notare tuttavia le misure prese per ridurre il fenomeno del subappalto. Il 2 aprile, il governo ha annunciato un piano di rilancio molto socialdemocratico (creazione di posti di lavoro nella Funzione Pubblica, e aiuti agli imprenditori privati affinché assumano…). È in particolare per denunciare questo che i giovani, sempre molto attivi, hanno lanciato l’appello al sit-in «Casba III» venerdì 1° aprile (sit-in represso violentemente per ordine di un ministro degli interni superstite del vecchio regime).
  • La maggior parte delle persone che abbiamo incontrato ritiene che l’organizzazione islamista Ennahdha sta diventando una delle principali forze politiche del paese: realizza un importante lavoro sul terreno, utilizza le moschee per fare passare le proprie idee e dispone di molto denaro. Ennahdha potrebbe essere una delle prime forze politiche in seguito alle prossime elezioni. C’è poi un dibattito nella sinistra sul posizionamento dei fondamentalisti. * Alcuni valutano che Ennahdha ha avuto una reale evoluzione: separazione della moschea dallo Stato, uguaglianza di diritti tra uomini e donne, ecc. Ritengono che i media esagerano il pericolo fondamentalista che, a forza di essere gonfiato, si rafforza giocando sull’insufficienza di cambiamenti dopo il 14 gennaio.. * Altri, in particolare le associazioni di donne, valutano che Ennahdha ha un doppio linguaggio e che finirà per allinearsi sui fondamentalisti «puri e duri» che moltiplicano gli atti violenti. Quest* temono in particolare una rimessa in discussione dei diritti delle donne.
  • La maggior parte de* nostr* interlocut/rici/ori ci hanno dichiarato la loro volontà di un rinvio delle elezioni all’autunno. Ritengono che se si tenessero a luglio, i partiti di sinistra, che stanno appena uscendo dalla clandestinità, non avranno avuto il tempo di organizzarsi e i vincitori saranno Ennahdha e gli ex benalisti riorganizzati sotto forma di «nuovi» partiti. In effetti queste due correnti sono attualmente le sole a essere strutturate e a disporre di importanti mezzi materiali e finanziari. Ritengono che una scadenza troppo corta per preparare l’elezione di una Assemblea Costituente non permetterebbe un vero dibattito democratico, in particolare sulle forme di scrutinio, l’elaborazione dei programmi, ecc. Alcun* sottolineano che il dibattito sulla data delle elezioni non deve mascherare un dibattito ancora più importante: in assenza di un cambiamento rapido nei rapporti sociali e nelle strutture amministrative,si rischia di vedere rafforzarsi un sentimento del genere: «in definitiva non fanno niente per noi».
Il ruolo decisivo dell’autorganizzazione
In tutta la Tunisia le istituzioni locali sono state spazzate via, il che ha posto in seguito grossi problemi per gli abitanti nella vita di ogni giorno. Nelle città di provincia che abbiamo visitato, sono state create istituzioni locali provvisorie con un forte coinvolgimento della popolazione. Il più sovente, le strutture locali dell’UGTT hanno avuto una parte determinante nel processo. La forma e la composizione di tali istituzioni locali provvisorie sono in generale basate sui rapporti di forza tra militanti politici e sindacali, alcuni dei quali non erano sempre molto autonomi dal vecchio potere. A Redeyef, città del bacino minerario insorta e repressa nel 2008, l’amministrazione comunale è stata rovesciata dalla popolazione a gennaio. Si sono svolte numerose assemblee con la partecipazione di centinaia di abitanti che hanno designato con il metodo del consenso un consiglio provvisorio di 9 persone, a partire da una lista iniziale di 20 nomi, stabilita dall’Unione locale dell’UGTT. Sono state istituite commissioni per gestire gli affari correnti. A Thala non c’è più un consiglio comunale. È stato costituito un Consiglio per la salvaguardia della rivoluzione. I giovani continuano ad avere voce in capitolo: sono i giovani insorti, che avevano incendiato il commissariato, a mantenere l’ordine in città. Il Comitato di Biserta, contrariamente a molti altri, funziona sotto forma di Assemblee Generali alle quali partecipano da 500 a 1000 persone. Si colloca in una logica sia di contropotere che di autorganizzazione della società da edificare. A Biserta è l’AG che ha deciso i 25 nomi che compongono l’istituzione locale provvisoria.
Una rivoluzione a metà strada
Con la caduta di Ben Alì è stato compiuto un passo enorme, ma le vecchie strutture dello Stato restano in piedi, e niente di fondamentale è cambiato in termini di rapporti sociali ed economici. Perché una nuova società venga alla luce, l’essenziale rimane da fare, e le forze reazionarie operano con molta energia affinché ciò non avvenga. I giovani hanno un ruolo importante. Vigilano a che il processo non venga interrotto e sono pronti a mobilitarsi di nuovo a questo fine. È ciò di cui si può essere certi, ad esempio, dalle nostre interviste a Thala e dal movimento nella Casba il 1° aprile. Alcuni compagni di Biserta si esprimono così: «in Tunisia c’è stata un’insurrezione, ora ci vuole la rivoluzione». È dovere del sindacalismo che difendiamo sostenere quell* che vogliono andare in questa direzione.

Lo stato del sindacalismo tunisino
Si assiste a un’ondata massiccia di sindacalizzazione: ci sarebbero più di 50.000 nuove adesioni in due mesi (30.000 delle quali a Tunisi), vale a dire un aumento totale superiore al 10%. A Benarous, città industriale nella periferia di Tunisi, gli iscritti all’Unione regionale dell’UGTT sono quasi raddoppiati, con un progresso del 10% nel settore pubblico e una moltiplicazione di 2,6 nel privato! C’è una posta in gioco importante nel prossimo congresso dell’UGTT (dicembre 2011). In particolare c’è una battaglia in corso sul rispetto dell’articolo 10 del regolamento interno, che prevede che i/le dirigenti non possano avere più di due mandati consecutivi. Se questo testo sarà applicato bene, ne dovrebbe risultare un rinnovamento completo della segreteria confederale. Su questo tema restiamo in contatto con le federazioni degli insegnanti e delle poste che contribuiscono a strutturare la sinistra dell’UGTT. L’UGTT ha antichi rapporti con le confederazioni internazionali tradizionali (CGT, FO,CGIL, Comisiones Obreras, ecc.). Uno degli attuali segretari generali aggiunti dell’UGTT ci ha dichiarato che la centrale voleva stringere rapporti anche con Solidaires. Invieremo una lettera ufficiale all’UGTT, chiedendo in particolare di essere invitati al loro prossimo congresso. La discussione con il segretario generale della CGTT conferma gli orientamenti molto vaghi di questa organizzazione, il cui asse principale sembra essere di offrire un’alternativa all’ UGTT. La CGTT prevede di tenere un congresso nel dicembre 2011. Può essere l’occasione di vederci più chiaro… Da notare che la stragrande maggioranza de* militanti della sinistra UGTT che abbiamo incontrato si oppone ferocemente alla costituzione di una nuova centrale. Vi oppongono la necessità di portare la rivoluzione fino al vertice dell’ UGTT per cambiarla dall’interno. Quest* militanti temono, se emergono altre organizzazioni, che la frantumazione sindacale indebolisca ancor più il movimento sociale e contribuisca alla sconfitta della rivoluzione. Per ess*: «non è il momento di dividersi, basta già la moltiplicazione delle organizzazioni politiche, il sindacalismo deve restare unito…». Questa situazione è comunque superata nei fatti poiché, oltre alla CGT, si sta creando una terza organizzazione sindacale, l’UTT, su impulso di un ex segretario generale dell’ UGTT totalmente corrotto…
Il rafforzamento dei nostri legami sindacali
In cantiere da due anni, il lavoro sui call center ha fatto un passo avanti decisivo: la riunione organizzata da SUD-PTT e il sindacato interessato dell’UGTT permetterà il consolidamento di rapporti duraturi. Una rete internazionale dei call center è in corso di costituzione in collegamento con il lavoro iniziato in Marocco e nel FSM. Si sviluppano i contatti tra SUD-Rail e la federazione dei ferrovieri dell’UGTT. L’incontro con uno dei responsabili nazionali, le visite in varie posti con militanti locali (stazione, depositi, officina) hanno permesso di stringere rapporti. Ci sono due obiettivi a breve termine: integrare quest* compagn* nella rete Rail Sans Frontières [Ferrovie Senza Frontiere], organizzare il lavoro comune con le/ i ferrovier* del Marocco e quell* dell’Algeria che dovrebbero tra poco creare un sindacato autonomo. Quando gli abbiamo chiesto quale tipo di sostegno potremmo dare, le/i nostr* interlocut/rici/ori ci hanno chiesto di promuovere la campagna per la cancellazione del debito estero della Tunisia. Proporremo ai partecipanti della rete che quello sia uno degli assi della rete sindacale euromediterranea. Un’altra proposta è quella del gemellaggio tra i sindacati o federazioni delle nostre organizzazioni con Comitati per la salvaguardia della rivoluzione in località precise della Tunisia. È da esaminare nella nostra Unione sindacale Solidaires e nel quadro della rete sindacale euromediterranea. Sviluppare i rapporti con le altre componenti del movimento sociale In un incontro con uno dei rappresentanti dell’Association Nationale Des Chômeurs Diplômés [Associazione Nazionale Dei Disoccupati Laureati] (ANDCM) abbiamo parlato della possibilità di organizzare un incontro tra i disoccupati laureati del Marocco, della Tunisia e dell’Algeria nel quadro della rete euromediterranea. Al di fuori delle strutture organizzate, sarà anche importante mantenere il contatto con quell* incontrat* «non inquadrat*», ad esempio le/ i giovani che si organizzano su Facebook, con le/i quali abbiamo avuto uno scambio e che hanno un discorso veramente politico.
Quest* chiedono molto scambi di informazioni e sostegno dall’estero.

Solidaires et internationalistes!, bollettino della commissione internazionale della Union syndicale Solidaires, Numero 35 ter – aprile 2011.
Si possono trovare materiali sull’attualità internazionale e il materiale della commissione internazionale di Solidaires, sul sito: http://www.solidaires.org/article 12...

Vendola l’avvocato azzeccagarbugli dell’ideologia sionista

Il fatto che il signor Vendola incontri l'Ambasciatore di Israele Meir e rilasci dichiarazioni vergognose e mistificatorie non ci stupisce. E’ nelle corde del personaggio Vendola, un azzeccagarbugli in completa sintonia con il centro sinistra italiano, perfettamente compatibile con la politica estera del paese più amico di Israele, l’ultimo bastione coloniale europeo, l’occupazione militare più lunga dell’ultimi cento anni, lo stato dell’apartheid per i palestinesi che però il signor Governatore al pari del Presidente del Consiglio Berlusconi vede come un esempio di sviluppo e democrazia.

Quanto dichiarato dal Mister Vendola conferma la giustezza della strada sin qui percorsa dal Forum Palestina e cioè che anche i movimenti di solidarietà internazionalista e della pace, per essere realmente tali, sono obbligati a lavorare in autonomia ed in contrasto alla politica della sinistra di palazzo e del PD.

E’ bene ricordare le sue dichiarazioni di sostegno alla risoluzione ONU sulla Libia, risoluzione che ha costituito la premessa all’aggressione militare Europea e Statunitense, ed il pallido contrasto alla guerra di questi giorni da parte della SEL. Epifenomeni del disfacimento del movimento pacifista per altro sin troppo sensibile alla politica e alla macchina organizzativa del PD.

Nella dichiarazione rilasciata, il signor Vendola si è reso protagonista della più grave e classica delle mistificazioni, e cioè di confondere ebraismo e Israele, ebraismo e sionismo, e così nelle sue parole il Festival della cultura ebraica diviene il Festival di Israele : “ Con il Festival della Cultura ebraica – ha spiegato Vendola – abbiamo prodotto una semina, perché quell’evento conteneva in sé l’idea che i rapporti economici, commerciali, istituzionali devono essere inseriti in un contesto di conoscenza delle culture, dei costumi e di amicizia tra i popoli”.

Rispondiamo che ebraismo e Israele non necessariamente coincidono, strumentalmente i governanti sionisti fanno di tutto per far coincidere le due cose, in modo da poter levare lo scudo dell’accusa di antisemitismo contro chiunque li condanni per i crimini che essi commettono nei confronti dei palestinesi.

A quanto riporta l’agenzia di stampa, il Presidente della Regione Puglia ha dichiarato:

”(Israele è ) un Paese che ha trasformato aree desertiche in luoghi produttivi e in giardini, un Paese che si confronta col tema mondiale del governo del ciclo dell’acqua, dell’energia, dei rifiuti con pratiche di avanguardia.”

Di nuovo una colossale mistificazione e menzogna, il mito di Israele di "aver fatto fiorire il deserto". Dal primo giorno dell'occupazione le truppe sioniste hanno confiscato oltre un milione e mezzo di dunum di terra palestinese, comprese fonti e acque, dopo la guerra del 1967, Israele poi ha illegalmente sfruttato la Montagna acquifera ed il bacino del fiume Giordano . Da allora, ai palestinesi non è consentito cercare acqua nella loro terra. E non dimentichiamo lo sfruttamento illegale da parte di Israele – che non ha mai voluto sottoscrivere i trattati internazionali sull’acqua – delle fonti in Libano e nel Golan siriano occupato.


I movimenti per il Bene Comune sanno che l’acqua è diventata un mezzo strategico per indebolire il proprio avversario e sostengono le ragioni dei palestinesi in difesa della loro terra e acqua . Diversamente, il governatore della Puglia mistifica il furto dell’acqua perseguito da Israele, che per il suo progetto suprematista sionista confisca terra e acqua e mettendo in pratica la pulizia etnica della Palestina, giacché senza acqua semplicemente non si può vivere.

Per questo ad ogni israeliano sono garantiti 350 litri d'acqua al giorno, mentre ad un palestinese solo 70, mentre per l'Organizzazione Mondiale della Sanita' la quantita' minima d'acqua e' di 100 .

Mister Vendola ha deciso di andare ad incontrare Netanyau , Lieberman e Livni, per “ sviluppare reciprocamente le attività turistiche e la tutela e valorizzazione del patrimonio culturale siano altri elementi importanti di una relazione che con la mia visita in Israele” Una scelta in netto contrasto con la campagna internazionale di Boicottaggio Sanzioni e Disinvestimento con l’economia dell’apartheid israeliana, anzi, così facendo, raccoglie l’invito di Tel Aviv a contrastare questa importante iniziativa internazionale di solidarietà con il popolo palestinese.

Le sue dichiarazioni sono ancora più dure e danno un pericoloso supporto ad Israele che oggi si trova a fare i conti con un accerchiamento diplomatico e con l’imminenza della partenza della Flottilla, partenza che Tel Aviv sta cercando di impedire con ogni mezzo, e che il 14 maggio vedrà a Roma una grande manifestazione nazionale di sostegno. Le organizzazioni pugliesi di solidarietà con la Palestina da tempo conoscono le simpatie israeliane del governatore Vendola, con queste dichiarazioni oggi il caso Vendola è pubblico e non solo all’interno del movimento pugliese ma nell’intero movimento ed il suo partito SEL deve fare i conti con le pericolose simpatie sioniste del suo leader.


Il Forum Palestina