29 luglio 2010

Riapre l'ospedale di Emergency a Lashcargah

di Angelo Miotto
A Lashkargah Gino Strada sta aspettando di incontrarsi con il Consiglio degli anziani. Perché loro sono fra quelli che hanno esercitato le maggiori pressioni per arrivare alla riapertura dell'ospedale di Emergency. Settanta posti letto che, per più di cento giorni, sono rimasti vuoti in una zona in cui la chirurgia di guerra è necessaria, fondamentale. Gino Strada racconta così le tappe che hanno portato alla riapertura della struttura, dopo una lunga trattativa che ha visto come protagonista la politica afgana, le pressioni militari, la caparbietà di Emergency.
Partiamo dalla notizia.
La novità è che oggi, giovedì, riapre l'ospedale di Lashkargah.
Abbiamo avuto un incontro con il governatore della provincia e credo che tutti abbiano ormai compreso la montatura che ha portato alla chiusura dell'ospedale. Così si può chiudere un libro e aprirne uno diverso. Noi abbiamo fatto presente quali sono le nostre condizioni: il libero accesso per tutti i feriti alla struttura e che l'ospedale deve essere rispettato da tutti. Così come deve essere per sua natura: un luogo neutrale dove non si esercita violenza. Abbiamo ribadito che non esiste l'idea che il nostro ospedale sia sotto il controllo di forze militari e che l'ingresso non debba essere filtrato da nessuno. Su queste cose il governatore ha detto che si trova d'accordo. Quindi possiamo ricominciare.

Quali sono le tappe che sono seguite fra Emergency e le autorità dalla liberazione dei tre operatori sequestrati e poi rilasciati?
La trattativa è andata avanti nel senso che il governatore aveva posto una serie di condizioni, per noi inaccettabili: che la sicurezza fosse garantita da militari afgani, e avere l'ospedale circondato sarebbe stato non solo un filtro, ma ci avrebbe trasformati in un bersaglio perché le persone armate è normale che pensino di avere dei nemici ed è normale che rappresentino esse stesse un bersaglio. Queste condizioni le ha ritirate: quando ha parlato con i nostri rappresentanti dicendo che non metteva condizioni abbiamo detto: va bene allora possiamo riprendere a lavorare.

Ma cosa è accaduto negli ultimi giorni? Eravamo rimasti al comunicato di Emergency in cui si parlava di una contrapposizione netta fra il potere centrale, favorevole alla riapertura, e quello locale che poneva, appunto, degli ostacoli, delle condizioni.
C'era conflittualità. D'altra parte la cosa non deve sorprendere. Quando un Paese è sotto occupazione militare ci sono gli occupanti e gli occupati. Gli afgani sono gli occupati. Quindi non sorprende che nemmeno il presidente dell'Afghanistan abbia il potere di controllare il governatore di questa provincia. In un colloquio che abbiamo avuto nelle scorse ore con il consigliere della Sicurezza nazionale a Kabul ci è stato detto molto chiaramente: il governo afgano non ha potere e non controlla molte regioni del Paese, dove non conta e non decide niente. Lì decidono i militari della Coalizione.

Cosa è successo, allora, perché cambiasse idea e togliesse le condizioni che aveva posto nei giorni scorsi?
Sono aumentate molto le pressioni da molte parti. La gente si ritrova senza un ospedale chirurgico in una regione dell'Afghanistan in cui c'è molto bisogno di chirurgia di guerra. Quindi la società afgana, il Consiglio degli anziani, i loro rappresentanti di villaggio, hanno iniziato a premere per creare le occasioni perché l'ospedale potesse riaprire. Domani abbiamo una riunione proprio con il Consiglio degli anziani e avremo una riconferma di ciò.

Ricordiamo un intervento a Bruxelles, in cui veniva menzionata l'Onu e anche la disponibilità di alcuni europarlamentari. Quando parli di pressioni ti riferisci a questi soggetti?
La forza determinante è stata la società civile afgana, con la sua struttura, le sue rappresentanze, il Consiglio degli anziani, il rappresentante del villaggio. Come è successo nel 2007, insomma. Con delegazioni e delegazioni che venivano, allora, a Kabul dall'Helmand a chiedere e far pressione. La stessa cosa è successa qui. In queste settimane abbiamo continuato a ricevere lettere e petizioni firmate dai leader di questa zona, molto belle, con la firma che era l'impronta digitale del pollice o dell'indice e con una foto appiccicata, perché chi firmava fosse riconoscibile. Abbiamo ricevuto molti messaggi che andavano in questa direzione e io credo che questa sia stata la cosa determinante. Poi sono convinto che anche l'Onu abbia fatto i propri passi, per esempio con gli inglesi. Ieri abbiamo incontrato l'ambasciatore di Londra che ci diceva che non avevano nulla in contrario alla riapertura. Di tutte le cose dette, poi, bisognerà tenere conto fino a un certo punto; quello che conta è la quotidianità dei rapporti.

Ricordiamo tutti come fu ordita la trappola contro Emergency. Come vi state attrezzando perché non possa più accadere la stessa dinamica?
Ci stiamo ragionando, non abbiamo la bacchetta magica, ci sono piccole cose da aggiustare: un ospedale, qui come in Italia, è uno dei luoghi più vulnerabili, perché si dà per scontato che venga rispettato. Quindi in genere i controlli sono modesti, se pensiamo ai controlli sulla sicurezza per esempio che si fanno in aeroporto. Non vogliamo trasformare un ospedale in una fortezza. Si tratta di avere un po' più di accortezza e controllare meglio alcune questioni, per esempio l'accesso.

Una riapertura dell'ospedale in perfetto stile Emergency. Possiamo dire che avete vinto?
Mah.. vinto... non la prendo come una battaglia di Emergency contro chicchessia. Siamo contenti perché la gente di qua entro la fine della settimana riuscirà ad avere l'unico ospedale degno di avere questo nome. Ci saranno meno morti e meno feriti abbandonati. Questa è la vittoria vera.

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26 luglio 2010

Dieci domande a Nichi Vendola

Il presidente della Regione Puglia si candida alle primarie del centrosinistra. Lo aveva già fatto, prima di lui, Fausto Bertinotti, per lanciare l'Unione nel 2006. Cosa è cambiato da allora?

ilmegafonoquotidiano.it

1) Ti sei candidato alle primarie del centrosinistra. Lo aveva già fatto prima di te Fausto Bertinotti, con risultati non proprio incoraggianti. Certamente, le primarie in Puglia e la tua rielezione a Presidente offre diverse chance a questa iniziativa. In questo caso contribuiresti a ricreare uno schieramento di centrosinistra che va dalle ali più moderate del Partito democratico fino alla cosiddetta sinistra radicale (ammesso che l'Udc di Casini rimanga fuori). In termini non propriamente diversi dal 2006. Cosa è cambiato nel Pd, nell'Idv di Di Pietro, nel centrosinistra italiano da indurti a ripercorrere una strada che non ha prodotto grandi risultati e che, anzi, ha favorito il ritorno al governo di Berlusconi? Quali sono le novità che scorgi? Quale radicalità ha il Pd di Bersani che i Ds e la Margherita di Fassino e Rutelli non avevano?

2) Quella maggioranza di governo non ha certo brillato per un programma particolarmente innovativo e radicale. Ha varato una finanziaria “monstre” regalando miliardi su miliardi alle imprese; ha rispettato tutti i vincoli europei; ha aumentato le truppe italiane all'estero, ritirandole dall'Iraq ma inviandone di nuove in Libano e aumentando il contingente in Afghanistan. Qual è il tuo giudizio su quell'esperienza che, pure lontano dal Parlamento e dal governo, ti ha visto comunque protagonista di uno dei partiti cardine di quell'alleanza?

3) Il centrosinistra ha ormai sposato la linea militarista di invio delle truppe all'estero e di aumento delle spese militari. Addirittura, ci siamo trovati di fronte al paradosso di una sinistra più leale agli Usa e ai militari di quanto lo sia stato il centrodestra e Berlusconi. Quale sarebbe la tua posizione in materia? Ritireresti immediatamente le truppe dall'Afghanistan e dal Libano? Ridurresti significativamente le spese militari? Avvieresti un programma di riconversione dell'industria bellica?

4) Non hai mai nascosto la tua soggettività omosessuale e questo ha fatto di te un personaggio ammirato oltre che contrastato. Ma come pensi di varare in Italia, alleandoti con il Pd, con Di Pietro, con Castagnetti e Rosi Bindi, una legge sulle unioni civili almeno analoga a quella realizzata da Zapatero in Spagna?

5) L'Italia è immersa in una crisi economica al pari dell'Europa e di gran parte del mondo. Le responsabilità della crisi sono evidenti: la finanza, le banche, i loro legami inestricabili con il sistema delle imprese e delle multinazionali, prelevano risorse sempre più ingenti dalla spesa pubblica scaricando i costi su chi lavora. A Pomigliano si è vista all'opera questa visione della politica e della società con uno stile arrogante e padronale messo in atto da uno, Marchionne, che Fausto Bertinotti era riuscito a definire “esponente di spicco della borghesia buona con cui si può realizzare un compromesso sociale”. Anche tu pensi che occorra realizzare un compromesso sociale con la “borghesia” italiana? Credi sia possibile governare componendo gli interessi degli operai di Pomigliano con quelli di Marchionne, Marcegaglia, delle grandi banche e della finanza italiana preoccupata della concorrenza internazionale?

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Tutti i segreti del traforo di Tosi

di Gianni Belloni
Non è propriamente un'opera faraonica, se rapportata a quelle che fanno discutere tutta la penisola - 390 milioni di euro, 7 chilometri di strade di cui 2 in galleria a doppia canna sotto le colline veronesi -, anche se è stata inserita nell'accordo quadro delle grandi opere, la nuova autostrada che attraverserà alcuni quartieri cittadini fungendo da tangenziale a nord della città di Verona.
Parliamo di un'autostrada in project financing per cui una cordata di aziende veronesi, capeggiata dalla Techinital è stata scelta, nel 2009, come soggetto promotore e vedrà riconosciuti 5,06 milioni di euro per la progettazione [ne avevano inizialmente richiesti 4,3] mentre la giunta preme per arrivare in questi giorni all'approvazione della necessaria variante urbanistica e del progetto preliminare. Un'opera da 382 milioni di euro investiti in parte dai privati che si rifaranno con l'incasso dei pedaggi – inizialmente esclusi nelle dichiarazioni del sindaco Flavio Tosi – e nella concessione di opere compensative – alberghi, aree di servizio e parcheggi – che andranno a corredare il tracciato.

Un'opera molto «politica» per cui la Lega ha investito pesantemente la credibilità del suo sindaco sceriffo e che muove diversi interessi. Il sindaco Tosi è arrivato a dichiarare «o Techinital o tutti casa», mentre le contestazioni degli alleati di giunta, il Pdl, venivano ripetutamente ricomposte dall'ormai famoso Aldo Brancher attraverso opportuni distribuzioni di incarichi. L'allora assessore regionale Valdegamberi, nel giugno 2009, dichiarava al quotidiano veronese L’Arena: «Nel campo delle opere c´è una lobby imprenditoriale e finanziaria che realizza operazioni nel settore pubblico. E’composta sempre dalle stesse persone. Parlo di opere pubbliche importantissime che, alla fine, vengono realizzate sempre dai soliti noti: sempre gli stessi imprenditori, che magari sono anche i finanziatori del Sindaco (in maniera assolutamente regolare e legittima, naturalmente: non è questo che è in discussione). E’ ora che i veronesi aprano gli occhi. C´è tutto un backstage che si dovrebbe conoscere e che invece è a conoscenza solo di pochi addetti ai lavori. Ci sono strane coincidenze».
Interessante da questo punto di vista il ruolo della Mazzi Impresa Generale Costruzioni s.p.a - coinvolta nella cordata Technital e collegata con la società Serenissima - uno dei tre soggetti della cordata di imprese il cui progetto è stato dichiarato di «pubblico interesse» dall'amministrazione scaligera nel 2009. L'impresa Mazzi non solo ha finanziato, legalmente, la campagna elettorale di Flavio Tosi con 10mila euro regolarmente comunicati, ma ha avuto affidati senza gara i lavori della Valdastico sud [costo 800 milioni] perché parte, con il 30 per cento, della Serenissima costruzioni, società controllata dall'Autostrada Serenissima. Procedura che ha provocato un ricorso, bocciato dal Tar, dell'associazione nazionale costruttori [Ance]. I lavori della Valdastico sud sono stati funestati dal sequestro da parte dei magistrati antimafia di Caltanissetta, di due lotti dell'autostrada nell'ambito dell'inchiesta sul cemento depotenziato utilizzato dalla Calcestruzzi Spa.
La Mazzi la ritroviamo nell'affare del Ponte sullo Stretto insieme alla Technital la quale è presente nei più contestati lavori pubblici: dal ponte sullo stretto di Messina allo scavo del tunnel per la Tav Milano - Bologna, dal Mose all'autostrada Palermo – Messina. Quest'ultima nasce nel 1967 e si rivelerà «l’opera con l’esecuzione più lenta della storia d’Italia, quaranta anni di lavori a singhiozzi - come denuncia il giornalista Antonio Mazzeo nella sua inchiesta pubblicata su www.terrelibere.it -, sprechi di risorse finanziarie, decine d’inaugurazioni e fittizi tagli di nastri, infiltrazioni mafiose e mazzette multimilionarie per politici e amministratori, indicibili disagi e mortali incidenti per utenti e abitanti».
A guidare il consorzio di imprese, denominato Verona Infrastrutture, impegnato a progettare il traforo delle colline veronesi, Aleardo Merlin, ex presidente della provincia di Verona e, soprattutto, dell'Autostrada Serenissima. Società che si rivela, anche in questo caso, il punto d'incontro di quell'oligarchia predatoria nordestina di cui la Lega è parte integrante. Un collezionista di incarichi Merlin che ritroviamo come socio di maggioranza della finanziaria lussemburghese Serenissima Investements S.A. insieme alla Abm Merchant di Alberto Rigotti, filosofo e finanziere vicino al Pdl, entrato in possesso nel 2007 della catena di giornali free press Epolis insieme a Marcello Dell'Utri [che nel frattempo uscì dall'affare] e presidente della Finanziaria Infrastrutture SPA, società con sede a San Marino, che vanta come amministratore delegato, Claudia Minutillo, ex segretaria del presidente Giancarlo Galan e ora al centro, attraverso Adria Infrastrutture e il gruppo Mantovani, di tutte le grandi opere in Veneto. Rigotti ha appoggiato, nel 2006, l'acquisizione da parte dell'industriale bresciano Rino Gambari di quote della società Serenissima per 200 milioni di euro. Oggi la società Serenissima vanta un pesante indebitamento e banca Intesa, decisa ad entrare alla grande nel gioco delle grandi opere nordestine, ha promesso di fare la sua parte. Dimenticavamo di dirvi: finanziamenti decisivi per l'operazione traforo delle Toricelle sono in arrivo dalla società autostradale Serenissima [54 milioni] nel cui consiglio d'amministrazione, rinnovato il mese scorso, hanno trovato posto i presidenti della provincia scaligera Giovanni Miozzi e della provincia patavina Barbara Degani, entrambi del Pdl e il sindaco veronese Flavio Tosi.
http://www.estnord.it/content/view/941/9/

Afghangate. Le verità nascoste


Uccisione deliberata di civili innocenti, aumento massiccio dei droni radiocomandati e pericolosi voltafaccia da parte degli alleati di sempre. Il rapporto pubblicato dal sito specializzato nella divulgazione di notizie riservate Wikileaks.org rischia di far scoppiare il caso Afghangate. Novantaduemila fascicoli segreti protocollati Pentagono e già ripresi, fra gli altri, dal New York Times rivelano le barbarie e i costi dei conflitti e fanno capire, ove ce ne fosse bisogno, che negli Stati Uniti il rapporto guerra crisi economica è fondamentalmente unilaterale: le guerre provocano le crisi ma dalle crisi non sono inficiate. Perché se c'è una voce del bilancio pubblico di Washington che non può subire variazioni è proprio quella del rifinanziamento delle missioni militari. Le ultime due, Iraq e Afghanistan, sono costate ai contribuenti statunitensi ben 1.021 miliardi di dollari dal 2004. Prima del loro costo c'è solo quello della Seconda Guerra mondiale costata, con valuta odierna, 4.100 miliardi di dollari.

Non solo denaro. Oltre l'impressionante quantità di denaro che le operazioni "Iraqi Freedom" e "Enduring Freedom" hanno richiesto dal gennaio 2004 al dicembre 2009, il dato più allarmante del protocollo "top secret" è quello sulla violazione sistematica dei diritti, umani e di guerra, da parte delle truppe a stelle e strisce. La Task Force 373, per esempio, è un gruppo speciale di uomini dell'Esercito e della Marina scelto per la cattura di settanta alti comandanti ribelli. Dagli incartamenti si è appreso che le missioni loro riservate si sono intensificate durante il mandato presidenziale di Barack Obama e che la loro imprecisione nel lavoro di "cattura ed elimina" ha portato all'uccisione di diversi civili e all'aumento della tensione col governo di Kabul. E ancora l'aumento dell'utilizzo di droni radiocomandati da parte degli alleati e dei missili a ricerca di calore, gli Stinger, da parte talebana che gli alti comandi militari USA non hanno mai rivelato. A questi ultimi, e soprattutto alla Central Intelligence Agency (CIA) sarebbe inoltre sfuggito il doppio gioco del Pakistan, ufficialmente Paese amico, che da quanto si apprende dal dossier, avrebbe sempre tramato complotti ai danni del potente alleato. In particolare il ruolo del Directorate for Inter-Services-Intelligence (gli 007 al servizio del governo di Islamabad) avrebbero incontrato più di una volta i leader taleban per organizzare attentati contro marines e politici afgani.

Da Washington. Già accerchiato e indebolito da grane di politica interna, vedi caso BP e legge sull'immigrazione in Arizona, il presidente Obama non ha mascherato la propria ira nei confronti di chi ha pubblicato il dossier che, oltre il sito di Julian Assange, è comparso sui portali del New York Times, del Guardian e del tedesco Der Spiegel. "Possono mettere a rischio la vita degli americani e dei nostri alleati e minacciare la nostra sicurezza nazionale" ha tuonato James Jones, il consigliere per la sicurezza nazionale. Quello che ora preoccupa di più l'establishment obamiano sarebbe proprio il rapporto con il governo guidato da Yousaf Raza Gillani. In attesa di un colloquio con Husain Haqqani, ambasciatore di Islamabad negli USA, che ha definito "irresponsabile" la fuga di notizie riservate, Obama cercherà di non farsi schiacciare dalla pressione diplomatica e continuare i rapporti con l'alleato asiatico come se nulla fosse accaduto. Proprio come riportato nell'incartamento riservato per il quale nonostante ripetuti avvisi di un intervento diretto nell'area l'amministrazione democratica non ha mai ceduto alla tentazione di inimicarsi uno dei principali alleati in Asia. A testimonianza di ciò c'è stato l'annuncio del Segretario di Stato Hillary Clinton la quale, dopo aver sostenuto che i due paesi sono "partner uniti da una causa comune", ha annunciato lo stanziamento di 500 milioni di dollari in aiuti a Islamabad.

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18 luglio 2010

Matrimoni e divorzi tra marxismo e femminismo

di Cinzia Arruzza
La storia dei rapporti tra movimento delle donne e movimento operaio è stata costellata da alleanze, incontri mancati, aperte ostilità, innamoramenti e disinnamoramenti. Nato nel crogiuolo delle rivoluzioni borghesi, il femminismo si è incontrato ben presto con le mobilitazioni e le rivoluzioni sociali. Queste hanno di volta in volta creato un nuovo spazio di apertura democratica che ha permesso alle donne di conquistare diritti sino ad allora sconosciuti, di prendere la parola e di partecipare attivamente alla vita politica e allo spazio pubblico. All’interno di questi squarci aperti nella cappa asfissiante della loro oppressione millenaria, le donne hanno imparato a organizzarsi in quanto donne e a lottare autonomamente per la loro emancipazione. Questo processo, tuttavia, non è stato esente da contraddizioni, al contrario si è a volte scontrato con la sottovalutazione e la diffidenza delle organizzazioni del movimento operaio tradizionale e della nuova sinistra. Gli esiti sono stati controversi, dal tentativo faticoso di mantenere aperto un difficile rapporto a veri e propri divorzi.
Questa complessa dinamica si è riflessa anche nel campo della teoria. Cercando di volta in volta di offrire delle risposte ai problemi che venivano sollevati dalle lotte e dai processi di soggettivazione delle donne, le pensatrici femministe hanno offerto risposte molto divergenti alla questione del rapporto tra genere e classe e tra patriarcato e capitalismo. Si è tentato quindi di interpretare il genere usando gli strumenti della critica dell’economia politica, di fare dell’oppressione di genere un’estensione del rapporto di sfruttamento tra Capitale e forza lavoro, oppure di leggere i rapporti tra uomini e donne in termini di antagonismo di classe, o ancora di affermare la priorità dell’oppressione patriarcale rispetto allo sfruttamento capitalista. Si è provato a interpretare il rapporto tra capitalismo e patriarcato in termini di intreccio tra due sistemi autonomi o invece di leggere il modo in cui il capitalismo ha sussunto e profondamente modificato l’oppressione patriarcale.
Questo piccolo libro vuole essere una breve e accessibile introduzione alla questione delle relazioni tra movimenti delle donne e movimenti sociali e del rapporto tra genere e classe. Nei primi due capitoli vengono brevemente ricostruite alcune delle esperienze storiche che hanno segnato un momento importante sia nel processo di organizzazione e di emancipazione delle donne, sia nell’incontro e nello scontro di questo processo con il movimento operaio. Gli ultimi due capitoli, invece, forniscono una breve panoramica del dibattito teorico attorno al nodo del rapporto tra oppressione sessuale e di genere e sfruttamento, provando a mettere in luce i problemi che emergono dalle diverse concezioni proposte e che rimangono ancora oggi insoluti. Né la parte storica né quella teorica di questo volume vogliono offrire una ricostruzione esaustiva degli eventi storici e dei momenti teorici, ma solo alcuni esempi e alcune chiavi di accesso a una questione estremamente complessa e tuttora aperta. Non si tratta di una ricostruzione imparziale. Chi scrive parte, infatti, da alcune convinzioni e da alcune esigenze.
La prima è che sia oggi più che mai urgente pensare teoricamente il rapporto tra oppressione di genere e sfruttamento e, soprattutto, il modo in cui il capitalismo ha integrato e profondamente modificato le strutture patriarcali. Da un lato, infatti, l’oppressione delle donne è un elemento strutturante della divisione del lavoro e rientra quindi direttamente tra i fattori attraverso cui il capitalismo non solo rafforza il suo dominio in termini ideologici, ma organizza continuamente lo sfruttamento del lavoro vivo e la sua riproduzione. Dall’altro, la sussunzione delle logiche patriarcali sotto il capitalismo, ha portato a una loro profonda trasformazione, dalla famiglia, alla posizione della donna rispetto alla produzione, le relazioni tra i sessi, le identità sessuali...
Leggere questo complesso intreccio è assolutamente necessario per un marxismo che voglia essere all’altezza delle trasformazioni e delle crisi in atto, in un contesto, peraltro, in cui la globalizzazione sta portando a una femminilizzazione crescente della forza lavoro e a un’ulteriore trasformazione delle relazioni tra i sessi. Anziché schiacciare il genere sulla classe, fiduciosi che la liberazione dallo sfruttamento porterà automaticamente anche alla liberazione delle donne e alla decostruzione dei ruoli sessuali, oppure obliterare la classe facendo dei discorsi ideologici di costruzione del genere il nemico principale, sarebbe necessario provare a pensare la complessità della società capitalista e dei suoi intrecci di rapporti di sfruttamento, dominio e oppressione, evitando semplificazioni poco utili, per quanto rassicuranti.
La seconda convinzione (ed esigenza) è strettamente legata alla prima: a uno sforzo di comprensione teorica deve seguire un tentativo di organizzazione e azione politica che provi a superare la distanza creatasi tra movimento femminista e lotta di classe. A partire dal superamento della vecchia dialettica delle “priorità”, in base alla quale il dialogo o lo scontro tra i due doveva necessariamente risolversi nell’asserzione della priorità della classe sul genere o del genere sulla classe.
Non si tratta solo di una questione teorica, ma anche organizzativa e di agenda politica. Il modo in cui la comprensione dello stretto intreccio tra capitalismo e oppressione delle donne si possa tradurre in processi di soggettivazione e in capacità di costruire organizzazioni e spazi politici in cui le donne possano sentirsi a casa loro rimane un problema sempre aperto, la cui soluzione avrà bisogno di sperimentazioni “sul campo”. Ciò che sarebbe necessario acquisire sin da subito, tuttavia, è la disponibilità a ritornare sui fondamenti, non solo teorici, ma anche politici e organizzativi, del nostro agire politico e del nostro impegno nella lotta per l’emancipazione universale, per aprire un laboratorio permanente di interrogazione e sperimentazione.

Ennesimo atto intimidatorio contro le persone omosessuali di Verona.


Circolo Pink di Verona - Comunicato stampa
E' successo venerdi notte 16 luglio 2010, in uno dei luoghi di incontro gay di Verona. Una serata tranquilla come tante altre fino a che è arrivata un'automobile con 4/5 ragazzi a bordo, che una volta scesi hanno iniziato ad a intimidire le persone presenti. Uno dei ragazzi con una cinghia intimava ai presenti di andarsene, sostenendo che quel posto è proprietà privata, cosa non vera. L'intimidazione è proseguita per una mezz’ora, fino a che un ragazzo del Pink che era presente e che era stato anch’esso aggredito verbalmente e minacciato, ha chiamato i carabinieri che giunti sul posto, hanno fermato e identificato gli aggressori.
Pateticamente, il ragazzo con la cinghia, il più spavaldo del gruppo, voleva poi scusarsi. Scuse rimandate al mittente, naturalmente.
Tutto si è risolto poi “bene”, solo con un grande spavento. Ma poteva finire peggio, dato che spesso questi branchi si muovono in modo indisturbato senza porsi il problema di farsi vedere in faccia o mostrare la targa dell’auto.
Non è la prima volta, non sarà l’ultima, che succedono fatti del genere, ne son successi di più gravi, fino a che ci sarà gente che si sente in diritto di usare la violenza contro le persone omosessuali, solo perchè sono dei "diversi" o si incontrano nel "loro" quartiere. Chi va in questi posti a intimidire, o peggio ad aggredire fisicamente, sa benissimo che spesso queste cose non vengono denunciate, rimangono nel silenzio e per questo si muovono liberi e ad una certa ora della notte vanno a “divertirsi” dai froci.
Ricordiamo che il tutto succede anche perchè lo storico posto di incontro in Basso Acquar è stato chiuso da una ordinanza di Falvio Tosi, ora questo nuovo luogo di incontro, è più attaccabile perchè più isolato, mentre Basso Acquar era a pochi minuti dal centro città, ben illuminato, ma naturalmente nella logica della politica xenofoba di Tosi, le persone omosessuali dovevano essere allontanate.
Possiamo solo sperare che fatti del genere succedano sempre meno, che le persone omosessuali reagiscano e non si lascino intimidire da fatti violenti e intimidatori, che si abituino a segnalare quello che succede, che non abbiano paura a farlo perchè fino a che tutto rimarrà nel silenzio queste persone si sentiranno nel diritto di usare la violenza contro di noi.
Ci sono dei numeri di telefono del pink dove eventualmente segnalare questi fatti 045 8012845 - 346 6902144, usateli.
Il circolo pink

Fascismo Fiat

di Giorgio Cremaschi
Le rappresaglie antisindacali che la Fiat sta pianificando in questi giorni a Melfi come a Mirafiori, sono atti di autentico fascismo aziendale. Si perseguitano i delegati che organizzano gli scioperi contro i carichi di lavoro eccessivi e gli impiegati che informano i colleghi della solidarietà degli operai polacchi con quelli di Pomigliano. La libertà di sciopero, la libertà di informazione, la libertà di pensiero, le libertà in quanto tali sono oggi in discussione alla Fiat. All'origine di tutto questo c'è la strategia industrialmente debole, ma furba e arrogante di Sergio Marchionne. L'amministratore delegato della Fiat non è mai stato un industriale. E'un banchiere svizzero chiamato a salvare la Fiat dal fallimento. (...)
Questa operazione è riuscita al prezzo di durissimi sacrifici dei lavoratori e, come sempre avviene nell'economia finanziaria, ha portato ingenti guadagni a Marchionne. L'amministratore delegato della Fiat è stato poi così chiamato a salvare la Chrysler, che la Mercedes aveva abbandonato. Lì, con l'aiuto di ingenti finanziamenti pubblici, è riuscito a piegare i sindacati. Che prima accusava di miopia e intransigenza e che invece oggi elogia con gli stessi toni con cui il generale Custer parlava degli indiani chiusi nelle riserve. Marchionne ha poi riportato in Italia quel successo e, usando una carta che da noi funziona sempre, si è presentato come il libero americano che mette a posto i fannulloni assistiti. Ha così ottenuto un consenso pressoché unanime nel Palazzo. Che non si è certo chiesto perché importanti dirigenti abbiano abbandonato la Fiat per dirigere altre aziende delle auto in Europa. Che non si è certo interrogato sulla credibilità di un piano industriale che si fonda su numeri presi dal libro dei sogni della vecchia Fiat, 6milioni di auto prodotte assieme alla Chrysler. Nessun spirito critico in Italia verso le strategie della Fiat.
Di questo Marchionne ha approfittato coprendo così debolezze e contraddizioni. La ripresa di Pomigliano, promessa tra 2 anni, serve a coprire la chiusura - oggi - di Termini Imerese. L'accordo separato, con Cisl e Uil e altri amici, serve a coprire il flop del plebiscito richiesto ai lavoratori. I licenziamenti di delegati e militanti sindacali servono a coprire i fallimenti di un'organizzazione del lavoro che vuole imporre ritmi e condizioni che consumano le persone e possono funzionare solo con la soppressione dei più elementari diritti. Infine l'autoritarismo e l'intimidazione servono solo a coprire il clima di ottuso ossequio con cui si distrugge ogni forma di partecipazione e creatività dei lavoratori. Sì alla Fiat c'è il fascismo, non solo perché si colpiscono le libertà e i diritti dei lavoratori. Ma perché così si coprono mancati investimenti, burocratismi, servilismi e clientele che prosperano e rendono inefficiente l'azienda più di prima. Marchionne è tanto piaciuto a Scalfari perché ha dichiarato di porsi dopo la nascita di Cristo. Sicuramente la sua cultura e la sua pratica sono però antecedenti alla costituzione repubblicana ed eredi di quella pessima tradizione delle classi dirigenti italiane che coniugava inefficienza e propaganda, privilegio e autoritarismo. Lo svizzero americano Marchionne è un padrone italiano collocato tra gli anni 30 e gli anni 50.

12 luglio 2010

VERONA ::: 14 luglio IL FUNERALE DEI DIRITTI

Mercoledi 14 luglio 2010 alle ore 19.00 siete tristemente invitate/i/* al "Funerale dei diritti" in Via Degli Alpini (dietro il municipio di Verona - edicola) dove verrà deposta una corona di fiori per ricordare il voto che portò fuori il Consiglio Comunale di Verona dall'Europa con l' approvazione delle mozioni razziste del 1995.
Abbiamo impiegato quindici anni per renderci conto che la democrazia è morta ; la nostra voglia di lottare, di cambiare, di stare in piazza, di viverci fino in fondo libere e liberi , senza maschere, a testaalta, ha tenuto lontano in questi anni , la puzza di stantio, di putrido, di cadavere.
Ci siamo fermati un attimo , il tempo di prendere fiato, di contarci e l'odore acre ha preso il sopravvento. Dopo quindici anni ci siamo resi conto di aver vegliato una morta :la Democrazia.
Quello che successe a Verona il 14 luglio 1995 non fu solo l'approvazione da parte dell'allora consiglio comunale veronese, di tre mozioni contro i diritti di gay, lesbiche e transessuali , episodio unico inEuropa, ma segnò la legittimazione di un vergognoso dibattito dai toni pesantissimi, che per oltre un anno occupò i media locali e nazionali, che divenne il substrato della nuova cultura politica rampante e la fine di ogni possibile azione positiva che andasse nella direzione del riconoscimento dei diritti di cittadinanza. Fu il ritorno ufficiale della cultura razzista e fascista al governo della città e poi del Paese.
Dai banchi dell'allora Consiglio comunale si levarono affermazioni che parevano troppo esagerate per essere vere, troppo pesanti per essere considerate serie....eppure nella loro apparente esagerazione quelle frasi cambiarono definitivamente gli equilibri politici di questa città e la nostra libertà di movimento. Se la sinistra, salvo rarissime eccezioni, avesse fatto muro, da subito, contro quelle frasi che sottendevano una proposta precisa, evitando di 'etichettarle come semplici espressioni da bar' benchè pronunciate in un consiglio; se la sinistra di allora e le varie forze 'democratiche' non avessero scelto la linea dello sberleffo, della banalizzazione di quanto si andava delineando, se non addirittura , in alcuni casi , optando per l'alleanza 'eterosessuale' e l'omertoso patto tra maschi, oggi Verona sarebbe sicuramente una città aperta, più libera. più attraversata da mille diversità, senza il rischio di essere discriminate, inseguite, perseguite, ammazzate in nome di una cultura razzista.
Eppure quelle frasi dopo quindici anni sono state riprese in chiave teatrale, da quel teatro di strada che diventa un pugno diritto allo stomaco del potere e dei ben pensanti, ritornandole più vive e vere , più forti e preoccupanti , in tutto il loro significato ai giovani e alle giovani da Elena Vanni ed Elio Germano in uno spettacolo che sta girando l'Italia.
Un omaggio alla verità, una denuncia precisa, ma anche un ritorno e un riconoscimento importanti alle nostre lotte che per quindici anni hanno mobilitato migliaia di persone in Italia , con importanti manifestazioni e tracciato un percorso sulla cittadinanza, sull'antifascismo, sull'antirazzimo, sull'anticlericalismo di attraversamento e contaminazione delle differenti istanze , pratica nuova per il movimento glbt.
Oggi, da ' ultraminoritari' come ci disse al momento della votazione di quelle indegne mozioni un consigliere di sinistra e consapevoli che i 'nostri diritti non hanno diritto di cittadinanza in una società civile 'come affermò un consigliere di destra , deponiamo i nostri fiori alla defunta Democrazia istituzionale e da persone libere e liberate qual siamo, torniamo alla vita, al grido di "Froce sempre, fasciste e leghiste mai!"
Circolo PinkVerona / Comitato Alziamo la Testa
www.circolopink.it

10 luglio 2010

Meloni, gioventù da ventennio

Il deputato dell'Italia dei Lavori Barbato si è preso un pugno in un occhio per aver attaccato la ministra Meloni e il suo progetto di legge sulle "comunità giovanili". Come mai tanta furia e tanta veemenza in un'aula parlamentare che di solito è vuota e dimessa? Il ddl ricorda il ventennio e, in più, distribuisce 18 milioni. Quanto basta per un pugno nell'occhio

Il deputato dell'Italia dei Lavori Barbato si è preso un pugno in un occhio per aver attaccato la ministra Meloni e il suo progetto di legge sulle "comunità giovanili". Come mai tanta furia e tanta veemenza in un'aula parlamentare che di solito è vuota e dimessa?
Se si guarda il provvedimento forse lo si capisce meglio. Perché quello che la ministra ex Fronte della Gioventù, ex finiana e ora semplicemente berlusconiana sta cercando di ottenere è il via libera a una bella sfornata di finanziamenti a associazioni giovanili che poi non sono altro che i vari gruppi di destra e estrema destra che spesso si distinguono per pestaggi, slogan razzisti e altre amenità del genere. Insomma, una bella notizia per organismi come Casapound, Giovane Italia e similari che costituiscono la base di appoggio non solo di Meloni ma anche di altri pezzi di An oggi accasati nel Pdl.
Il provvedimento, infatti, "è finalizzato a promuovere e incentivare, su tutto il territorio nazionale, la nascita di nuove comunità giovanili e a consolidare e rafforzare quelle già esistenti”. A tal fine verrebbero stanziati 18 milioni di euro e previsti un registro e un osservatorio ad hoc

Per “comunità giovanili” si intendono “associazioni di persone non superiori a 35 anni… avente ad oggetto, per statuto, il perseguimento di alcune finalità”, tra cui la promozione di attività sociali e culturali, l’educazione alla legaslità, attività sportive, ricreative, formative ecc ecc.”.

Per promuovere le Comunità, vengono finanziati “recupero, riadattamento, sistemazione di edifici e di strutture pubbliche e private con vincolo di destinazione d’uso a sede di comunità giovanili”. Chi deciderà quali associazioni sono meritevoli di essere finanziate? Il Ministero. Su quali criteri? Il testo dice che rientreranno nell’elenco le comunità che prevedono l’impegno a contrastare “promozione o esercizio di attività illegali”, nonché “l’uso di sostanze stupefacenti o l’abuso di alcol”. Se qualche centro sociale volesse essere della partita, insomma, se lo può scordare. Il provvedimento ha rigidi paletti ideologici, in perfetto stile "fascista". E' la stessa Meloni a spiegarlo: "L’obiettivo della legge, è quello di indicare i corretti stili di vita, quelli che attengono a una società sana”. E, come nel ventennio, come si fa una società sana lo stabilisce direttamente un regolamento ministeriale e un decreto del governo (oggi fatto passare per legge parlamentare).

www.ilmegafonoquotidiano.it

08 luglio 2010

Strage di Ustica: 30 anni senza sapere cosa è successo

Scheda a cura di Francesco "baro" Barilli
Sono le 21,00 circa del 27 giugno 1980 quando un DC9 della società Itavia, decollato da Bologna in direzione Palermo, scompare dalle rilevazioni radar, inabissandosi fra le isole di Ponza e Ustica. La tragedia, nella quale trovano la morte 81 persone fra passeggeri ed equipaggio, viene inizialmente spiegata con un cedimento strutturale del velivolo; una tesi che verrà sostenuta ufficialmente per molto tempo, anche di fronte a fatti e testimonianze che col tempo andranno a disegnare uno scenario molto più inquietante.
Uno scenario che verrà compiutamente descritto solo nel 1999 dal Giudice Rosario Priore, che scriverà: "l'incidente al DC9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento. Il DC9 è stato abbattuto, è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un'azione, che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti. Nessuno ha dato la minima spiegazione di quanto è avvenuto". Una descrizione semplice ed esaustiva del quadro generale, ma che purtroppo non chiarisce i dettagli su "chi" provocò l'abbattimento dell'aereo, né sul "perché" dell'abbattimento. E di questa mancata chiarezza sono stati accusati diversi esponenti dell'Aeronautica Militare Italiana, che avrebbero taciuto informazioni in loro possesso o ne avrebbero fornite altre - errate - alle autorità. Ed è proprio questa mancanza di informazioni ad aver impedito al Paese di conoscere la verità sulla strage di Ustica: chi abbattè un nostro aereo civile, nel corso di una battaglia aerea svoltasi nei nostri cieli senza che nessuno abbia mai dato una spiegazione? A causa di questi depistaggi ed insabbiamenti non si è mai arrivati ad un processo a carico dei responsabili della strage. Si è però arrivati ad un processo a carico di 4 generali dell'Aeronautica Militare proprio per quelle azioni di depistaggio. Un processo che si è concluso nell'aprile 2004 con una sentenza che può sembrare deludente, a 24 anni dalla tragedia di Ustica, una sentenza in buona parte frutto dell'impossibilità di racchiudere in un dibattimento processuale, passato tanto tempo, una vicenda tanto complessa; una sentenza invece che conferma le accuse e lo scenario di guerra che aveva tracciato il giudice Priore nella sua ordinanza. Infatti a Lamberto Bartolucci, Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica del tempo, viene riconosciuto di aver omesso di riferire alle autorita' politiche i risultati dell'analisi dei tracciati radar di Fiumicino/Ciampino - conosciuti nell'immediatezza della tragedia - e ancora a Lamberto Bartolucci e Franco Ferri di aver fornito informazioni errate alle autorita' politiche escludendo il possibile coinvolgimento di altri aerei militari nella caduta dell'aereo civile nell'informativa scritta del 20 dicembre 1980. Questo è il chiaro riconoscimento sia dello scenario complessivo sia del fatto che le autorità militari hanno ostacolato la ricerca della verità, qualunque essa fosse. È una sentenza importante che va attentamente considerata e che non giustifica assolutamente i canti di gioia che qualcuno, soprattutto in ambiente militare, ha voluto intonare. In altre parole questa sentenza ci dice che i vertici militari hanno potuto esaminare immediatamente i dati radaristici e venire a conoscenza in tempo reale di tutte quelle tracce di presenze aeree, evidenze che non manifestavano certo un cielo sgombro intorno al volo del DC9, nè assenza totale di traffici militari prima e dopo l'incidente. Poi, dopo sei mesi dalla notte della tragedia, in una comunicazione ufficiale al Governo, lo Stato Maggiore dell'Aeronautica (che ha avuto nel frattempo ampie possibilità di operare indagini e controlli approfonditi) persiste nel comunicare notizie non corrispondenti al vero e in grado di deviare il corso delle indagini, perché escludendo ogni altra possibilità fa apparire il cedimento strutturale l'unica causa possibile della tragedia. Dunque i vertici dell'Aeronautica Militare hanno operato per nascondere la verità sulla vicenda di Ustica. Questo è il senso profondo della recente sentenza della corte d'Assise di Roma che riconosce i gen. Bartolucci e Ferri, al vertice dell'Arma al momento della tragedia, responsabili di alto tradimento con atti diretti a turbare le attribuzioni del Governo, pur mandandoli assolti perché nel frattempo (sono passati da allora 24 anni) il reato è andato prescritto. Quanto stabilito dalla corte d'Assise di Roma torna a dare a tutti nuove responsabilità e rende evidente che la Magistratrura non può da sola rispondere alla esigenza di verità che questa vicenda ancora impone. La vicenda di Ustica deve dunque rimanere, alla luce anche di questa sentenza, una grande questione di dignità nazionale, perché un aereo civile è stato abbattuto, 81 cittadini innocenti hanno perso la vita, la nostra sovranità è stata sfregiata e nessuno ci ha dato spiegazioni.
www.reti-invisibili.net

07 luglio 2010

Londra, 7 luglio 2005: meglio dimenticare

di Enrico Piovesana
E' passato inosservato il quinto anniversario degli attentati che seminarono morte e terrore nella capitale britannica. Forse per non riaccendere i riflettori su un evento pieno di ombre
Il 7 luglio di cinque anni fa Londra veniva colpita da quattro attentati in pieno centro: tre bombe esplose simultaneamente nella metropolitana (ad Aldgate, Edgware Road e King's Cross) e un'altra, poco dopo, su un autobus (a Tavistock Square). Morirono 52 persone.
L'attacco venne subito attribuito a una cellula di terroristi islamici. Due mesi dopo fu rivendicato in un videomessaggio preregistrato da Mohammad Sidique Khan, presunto capo e membro del commando suicida, che disse di voler punire il governo Blair per la sua partecipazione alla guerra in Iraq (all'epoca molto impopolare tra gli inglesi).

La stampa britannica e mondiale sembra essersi dimenticata degli attentati di Londra. Nessun articolo in occasione del quinto anniversario, niente servizi commemorativi ai telegiornali. Anche il mondo politico sembra aver rimosso, al punto che la regina Elisabetta oggi era a New York a commemorare le vittime dell'11 Settembre, non quelle del 7 luglio.
Perché questo assordante silenzio? Ha forse a che fare con il nuovo corso politico britannico? O più in generale con la volontà di non riaccendere i riflettori su un evento pieno di ombre?

Il 16 maggio 2004 un programma della Bbc One ('Panorama') trasmette lo sceneggiato di un'esercitazione antiterrorismo teorica basata sull'ipotesi di un attacco a Londra condotto con tre bombe nella metropolitana e una quarta bomba in superficie. Tra gli otto membri del 'Consiglio di Guerra' che, davanti alle telecamere, discuteva lo scenario terroristico c'era anche Peter Power, ex agente di Scotland Yard, direttore della compagnia privata di sicurezza Visor Consultant.

Il 7 luglio 2005, poche ore dopo gli attentati, lo stesso Power dichiara prima a Bbc Radio e poi Itv News di essere scosso e di avere ancora ''i capelli dritti'' perché quella mattina, esattamente all'ora in cui erano esplose le bombe, la sua ditta era impegnata, per conto di un'altra azienda ''di cui non si può rivelare il nome'', in una grande esercitazione antiterrorismo basata su uno scenario di simulazione ''con bombe sincronizzate che esplodevano proprio nelle stazioni del metrò dove si è prodotto il fatto stamattina''.

Il 10 luglio, il quotidiano britannico Observer rivela che in primavera a Londra si era svolta un'analoga simulazione antiterrorismo ''che prevedeva attentati nelle metropolitane e su autobus''. L'esercitazione, nome in codice 'Atlantic Blue', era parte di una più vasta operazione, 'TopOff 3', condotta anche negli Stati Uniti e in Canada: a coordinarla era Michael Chertoff: direttore del dipartimento Usa per la Homeland Security.

Le indagini governative sugli attentati di Londra hanno sempre ignorato i dubbi sull'autenticità delle immagini a circuito chiuso che ritraevano i terroristi (la compagnia privata israeliana, la Verint Systems, diffuse solo un frame), le incongruenze emerse sulla versione ufficiale dei fatti (i quattro sarebbero arrivati a Londra da Luton, in treno, troppo tardi per poter prendere le corse di metrò poi esplose), le testimonianze dei sopravvissuti che dicono di non aver visto gente con lo zaino sul loro vagone, le notizie iniziali (qui e qui) secondo cui tre dei terroristi erano stati individuati e uccisi dalle forze speciali della polizia a Canary Wharf, nella zona est di Londra poco dopo gli attentati.

Per non parlare delle notizie apparse sulla stampa internazionale riguardo all'avvertimento che la sede di Londra del Mossad, il servizio segreto israeliano, aveva ricevuto immediatamente prima degli attentati e che aveva subito girato a Benjamin Netanyahu, che quel giorno era in visita a Londra.

Troppe domande che richiedono risposte. Meglio dimenticare e stendere un velo pietoso su quei 52 (o forse 56) morti innocenti.

www.peacereporter.net

Vergogna PD!


Il Partito Democratico delle Marche fa concorrenza a PdL e Lega e nel manifesto razzista che pubblichiamo a lato, inquadra gli "immigrati" come qualcosa di negativo mettendoli in relazione esplicita con la "sicurezza ai cittadini".
Questo fa il paio con le dichiarazioni del PD Veronese che circa il progetto di costruzione del C.I.E. fa appello al disagio che il CIE arrecherebbe ai cittadini, ai problemi di sicurezza che esso creerebbe e alla svalutazione immobiliare che si registrerebbe nelle zone adiacenti, senza dimenticare il fatto che “tra gli ospiti dei Cie, solo un terzo viene espulso. Gli altri, dopo 6 mesi escono e la gran parte si stabilisce in zona”. Mentre sembra dimenticare la lesione gravissima della dignità e dei diritti dei migranti.
Per quanto siamo certi che, se interrogati, i veritci del PD proverrebbero a risolvere la questione dichiarando che loro "sono per i diritti degli immigrati, ma anche contro gli immigrati clandestini", noi semplicemente contro i rigurgiti razzisti del PD diciamo: VERGOGNA!!!

06 luglio 2010

L'Aquila, cronaca di una morte annunciata


Sinistra Critica sostiene la manifestazione delle/dei cittadine/i aquilane/i di mercoledì 7 luglio a Roma

L'Aquila e il suo comprensorio vivono una situazione drammatica a quindici mesi dal terremoto. Decine di migliaia di persone vivono ancora negli alberghi, in autonoma sistemazione o nelle nuove abitazioni ma veramente troppo poco è stato fatto per la ristrutturazione delle abitazioni danneggiate, mentre un'assurda burocrazia impedisce a migliaia di famiglie di iniziare i lavori di ristrutturazione.
Tanti esercizi commerciali non hanno avuto la possibilità di riaprire e troppi posti di lavoro sono andati persi in tutti i settori; disoccupazione, cassaintegrazione e precarietà, presenti già prima del terremoto, sono drammaticamente aumentate in tutto il comprensorio aquilano.
In questo contesto il governo italiano pretende che i cittadini tornino a pagare tutte quelle tasse sospese nell'immediato post-terremoto - né servirà a qualcosa il posticipo di pochi mesi: quello che chiediamo è un trattamento analogo a coloro che hanno subito in passato la nostra stessa tragedia. In assenza di ciò ai danni provocati dal sisma si aggiungerebbero quelli derivanti dalla decisione iniqua e discriminatoria di un governo troppo intento a salvaguardare i propri interessi per poter comprendere i reali bisogni di tutti coloro che risiedono nel cratere.
Tutte le "passerelle" fatte da Berlusconi a L'Aquila dimostrano finalmente il vuoto che quelle farse nascondevano e che quasi tutti i media hanno colpevolmente coperto troppo a lungo - come pure il G8 organizzato a L'Aquila e presentato come autentico mezzo salvifico, sperperando invece milioni di euro che potevano essere destinati alla ricostruzione e alla rinascita economica del nostro territorio.
Molti cittadini hanno lottato caparbiamente in questi quindici mesi chiedendo partecipazione, trasparenza e ricostruzione. Un autentico muro di gomma è stato invece eretto dal governo, dalla protezione civile e anche dalle istituzioni locali impedendo ai cittadini di poter dare un contributo di idee per la rinascita della nostra città.
Uscire da una situazione così tragica non è facile e nessuno sembra possedere gli strumenti necessari e sufficienti per affrontarla; tuttavia la decisione del governo Berlusconi di voler re-introdurre il pagamento delle tasse appare come un autentico omicidio premeditato.
Dopo il tentativo di "ingabbiare" l'informazione e riformare la giustizia per sua esclusiva convenienza - dopo aver adottato misure di stampo fascista e razzista - oggi questo governo intende infierire anche sulla nostra città.
L'adesione e la partecipazione di cittadini e cittadine alle mobilitazioni contro queste scelte saranno l'unico mezzo possibile per contrastarle e sconfiggerle.

Sinistra Critica L'Aquila

Esecutivo nazionale Sinistra Critica

04 luglio 2010

Padova 1 luglio: azione di boicottaggio contro H&H


Padova. Nella mattinata del 1° luglio, quindici attivisti del movimento di solidarietà con la Palestina, hanno svolto un'azione di informazione e contestazione simbolica davanti alla nuova sede di H&M, multinazionale d'abbigliamento la cui recente politica economica ha portato a massivi investimenti economici in Israele. Oltre alla filiale già presente a Tel Aviv, subito dopo l'operazione piombo fuso (dicembre 2008-gennaio 2009) che ha postato a 1500 morti, è stata pianificata l'apertura di 4 nuove filiali. Una di queste, in particolare, è stata aperta a Malha, un ex villaggio palestinese da cui sono stati cacciati gli abitanti durante la nakba del 1948. Il tempismo ed il luogo in cui vengono aperte queste filiali suonano come un esplicito appoggio alle politiche sioniste.
Quest'iniziativa si inserisce all'interno della ormai diffusissima campagna BDS (Boicottaggio-Disinvestimenti-Sanzioni verso Israele) lanciata nel 2005 da circa 170 diverse organizzazioni palestinesi, con l'obiettivo di dare un grande segnale politico di resistenza alla politica genocida e di apartheid di Israele nei confronti della popolazione indigena palestinese, fino a che non sarà garantito il diritto al ritorno di coloro che sono stati cacciati dalle proprie terre e dalle proprie case, la fine dell'occupazione militare e l'uguaglianza tra palestinesi ed israeliani. Durante l'iniziativa sono stati distribuiti circa 700 volantini, e vi è stata una inaspettata risposta da parte di passanti e avventori e avventrici del negozio: quasi tutti accettavano e leggevano il volantino, in molti si fermavano a parlare, e spesso sembravano sorpresi dalle informazioni di cui non erano a conoscenza. E' stato appeso uno striscione "BOICOTTA H&M = BOICOTTA ISRAELE" e poco dopo è giunta una volante della polizia intimandoci di interrompere l'azione sulla base di una non più precisa mancanza di autorizzazione. Questo intervento è inaccettabile, in quanto, nella stessa città di Padova, la polizia addirittura scorta i volantinaggi delle organizzazioni Forza Nuova e Casa Pound, fortemente razziste e antisemite.
Noi continueremo ad appoggiare con azioni la campagna BDS contro l'apartheid, contro l'embargo a Gaza.
PALESTINA LIBERA! BOICOTTA ISRAELE!
bsdpadova@inventati.org

01 luglio 2010

Il grande occhio di Marchionne

di Loris Campetti
SCHEDATURE FIAT Come ai tempi di Valletta si spiano gli operai «pericolosi». Quelli della Fiom. Licenziato un lavoratore in congedo parentale: «Non si occupa del figlio»
Il reparto confino c'è già, è a Nola. Lo spionaggio anche. Sarà però dura per Sergio Marchionne raggiungere i record prestigiosi del Ragionier Valletta che era riuscito a far compilare ai suoi spioni 354.077 schede su altrettanti lavoratori della Fiat. L'importante è cominciare: dalla Fiom di Pomigliano è arrivata ieri la storia di un licenziamento costruito grazie a un sistema di spionaggio interno che ha scoperto un operaio, naturalmente della Fiom, nell'atto di alzare la serranda del negozietto della moglie mentre era in congedo parientale per accudire il figlio. Come poteva accudirlo, mentre alzava la serranda del negozio?
Sembra proprio di essere ripiombati ai tempi delle schedature Fiat. In quei compitini si potevano leggere abitudini sessuali, fedeltà coniugali, frequentazioni inopportune, letture scabrose, tessere della Fiom e del Pci, drappi rossi negli armadi. Fu il giudice Raffaele Guariniello, il 24 settembre del 1970, a scoprire a due passi dalla direzione della multinazionale torinese in corso Marconi, gli armadi della vergogna Fiat pieni di vent'anni di schedature. Era il sistema Valletta, arma di supporto per sbattere fuori da Mirafiori migliaia di militanti della Fiom e del Pci. Quarant'anni dopo è il sistema Marchionne: non siamo più a Mirafiori ma a Pomigliano, ma ecco ricomparire la polizia privata che su ordine dei dirigenti apre indagini sui dipendenti «pericolosi» e una volta individuate le colpe le denuncia ai superiori, i quali procedono al licenziamento, senza neanche passare attraverso la polizia ordinaria dello stato a cui competerebbe indagare in caso di ipotesi di reato.
La colpa di «Gennaro», chiamiamolo così, è grave: ha in tasca la tessera della Fiom. Dunque va tenuto d'occhio. Un bel giorno usufruisce di un congedo parentale previsto da una legge dello stato per accudire un figlio con problemi di salute. I solerti spioni della «feroce» - così veniva chiamata la Fiat dagli operai negli anni duri raccontati da Emilio Pugno e Sergio Garavini in un libro Einaudi che fece epoca - si mettono all'opera, controllano il sospetto non solo in fabbrica, dove pure ci sarebbero vincoli legistativi a tutela della privacy, ma addirittura fuori dal luogo di lavoro. Cosa scoprono? Che il furbastro durante il congedo «ha svolto attività lavorativa», in particolare aprendo e chiudendo il negozietto della moglie. «Pertanto ella» non è mai stato a disposizione del figlio «né ha messo in essere azioni finalizzate al soddisfacimento dei bisogni affettivi del bambino». Fantastici questi spioni, capaci di individuare tanto i bisogni affettivi di un bambino quanto la loro mancata soddisfazione da parte del reprobo papà operaio, che siccome alzava la serranda del negozio al mattino e la riabbassava la sera, non era in grado di dedicare tempo e affetto al figliolo.
Ieri è stata consegnata a «Gennaro» la lettera di licenziamento che racconta tutti questi particolari e si conclude con la formula classica, ripetuta negli anni migliaia di volte dalla «feroce»: «è venuto meno il vincolo di fiducia» tra il dipendente e l'azienda. Prima «Gennaro» era stato convocato dall'azienda - la Sirio, di proprietà Fiat - che aveva letto al malcapitato il «rapporto di investigatori privati». Alla Fiom di Pomigliano confermano tutto, e in particolare che né i Carabinieri né la procura hanno ricevuto segnalazioni dalla Fiat e dunque non hanno effettuato alcuna indagine.
In questo caso, l'uso dei sistemi spionistici è persino più grave del licenziamento stesso. Infatti il lavoratore sostiene di poter dimostrare che alzare e abbassare le serrande di un negozio non cancella né attenzioni affettive né prestazioni di servizi essenziali per il figlio, come portarlo e andarlo a riprendere a scuola, solo per fare un esempio. Per la Fiom di Pomigliano, che sta consultandosi con gli avvocati prima di rivolgersi alla Procura della Repubblica, questo caso sta nella storia e nella cultura Fiat: «Colpirne uno per educarne cento», e quell'uno non a caso è un militante della Fiom, l'organizzazione che ha infranto il sogno plebiscitario di Sergio Marchionne.
È da tempo che a Pomigliano si ha la sensazione di una ripresa massiccia dei controlli sul lavoro e sulla vita dei dipendenti. Per esempio, un capo Fiat si è lasciato scappare un avvertimento, piuttosto inquietante: «Guardate che quel tipo ha una relazione affettiva con una dipendente dell'azienda, ne abbiamo le prove. O questa storia finisce oppure c'è sempre la possibilità di un trasferimento a Nola», il reparto confino. «Quel tipo», neanche a dirlo, è un delegato della Fiom. Non siamo tra la fine degli anni Settanta e l'80, quando la Fiat accusava gli operai di fare sesso in linea di montaggio: adesso anche i sentimenti e le relazioni fuori dai cancelli sono punibili. Proprio come capitava negli anni Cinquanta. Leggiamo da una delle 354.077 schede trovate dal dottor Guariniello nel '70 (riportata nel libro dell'avvocato Bianca Guidetti Serra «Le schedature Fiat», prefatto da Stefano Rodotà, Rosenberg & Sellier editore): l'operaia C.C. è «Comunista moderata. Detiene (sic) la bandiera del Pci in casa e in tutte le cerimonie, manifestazioni sia di partito che per il lutto di qualche compagno essa ha l'incarico di portarla. Pare che l'amante della C. stessa attualmente si trovi in carcere. Nella casa non di raro era notato e per di più di sera».
Ma tutto questo avveniva in anni lontani. Non può essere vero quel che oggi raccontano di Marchionne e dei suoi dirigenti i fiommini di Pomigliano: siamo convinti che l'a.d. del Lingotto potrà smentire tutto, con le prove. Magari quelle raccolte dagli spioni.

il manifesto 30/06/2010

Mafioso senza appello

di Giuseppe Di Lello
Il senatore Marcello Dell'Utri, cofondatore con Berlusconi di Forza Italia, è stato condannato anche in appello per concorso esterno in associazione mafiosa: nudo e crudo, politico più che giudiziario, il fatto è questo e su questo bisogna ragionare in attesa di leggere le motivazioni della sentenza e, ovviamente, ricordando che bisognerà aspettare anche la pronuncia finale della Cassazione.
Ha retto l'impianto accusatorio delineato dalla sentenza di primo gado, mentre sembra non aver avuto alcuna influenza l'apporto fornito da Spatuzza per i fatti dopo il 1992 (le stragi) per i quali è stata dichiarata la insussistenza. In realtà sembra di capire che si sarebbe potuto andare a sentenza già prima della presentazione in dibattimento del pentito eccellente e che la sua deposizione abbia un po' complicato le indagini in corso su quei fatti, ma non più di tanto, dato che certo questa sentenza non può cancellarli se le stesse dovessero approdare a risultati penalmente rilevanti: lasciamo a futuri giudici l'ardua sentenza.
In questo contesto anche la mannaia della prescrizione - vista la riduzione della pena a sette anni - diventa un problema secondario, perché il punto non è tanto vedere Dell'Utri in carcere quanto ribadirne il ruolo di cerniera tra la mafia e la politica andata al potere, con Forza Italia poi Pdl: questione politica, più che giudiziaria, appunto.
Per Berlusconi i fatti privati - aziende, finanza, conflitti d'interesse - sono inestricabilmente legati alla gestione di un potere affaristico e palesemente corrotto, inclusi i rapporti intercorsi con personaggi come Dell'Utri, e non a caso sta cercando di risolverli complessivamente con il lungo rosario delle leggi sia a sua protezione che a protezione degli interessi generali di un sistema che ha negli affari, nell'illecito e nelle mafie il suo punto di forza. Gli scudi, i legittimi impedimenti, la vanificazione delle intercettazioni e delle indagini, lo svuotamento del processo penale, l'indebolimento dell'indipendenza dei pm e della magistratura, l'azione penale rimessa interamente nelle mani della polizia giudiziaria e, cioè, dell'esecutivo, il bavaglio alla libera stampa, la soppressione dei già affievoliti poteri di contrattazione sindacale, sono tutti funzionali a quel disegno che andrebbe contrastato nella sua interezza se si vuol difendere quel residuo di democrazia che ci è rimasto.
Cosa pensi questa maggioranza di destra sui legami tra mafia e politica lo si è già visto con la strenua difesa di Cuffaro fino alle sue dimissioni imposte dalla condanna, con la unanime e decennale solidarietà a Dell'Utri, con la conferma di Cosentino a sottosegretario, per citare solo gli episodi più eclatanti. Né valgono gli annunci trionfalistici dei vari Maroni sugli arresti di latitanti o sui sequestri di patrimoni: se nel nostro Paese la forza della mafia fa perno principalmente sui rapporti con la politica, sappiamo da che parte stanno le forze della destra e come con queste al governo sarà impossibile sradicare una tale organizzazione criminale.
È a questo intreccio tra poteri criminali e poteri politici che un'ennesima sentenza, quella di ieri, rinvia con forza ed è su questo intreccio che l'opposizione parlamentare dovrebbe riflettere più attentamente, senza accantonarlo come un fatto accidentale, ma riconoscendo che è un punto di forza del potere della destra, specie nelle regioni meridionali: quindi trarne le conseguenze, ad ogni livello, nazionale e locale.
Il Pd non può pensare di dialogare in Parlamento sulle riforme all'ombra di questa santa alleanza, quando è chiaro che la destra non è affatto propensa a rinunciare agli «strumenti» dell'illecito ma anzi li vuole rafforzare (vedi Brancher) perché consustanziali al suo potere, né può pensare di governare in Sicilia alleandosi con pezzi di classe politica che fanno riferimento addirittura a Dell'Utri.
I giudici hanno il compito di tirare le somme attenendosi a quanto la legge prescrive, ciò che la Corte d'appello di Palermo sembra aver fatto, né più, né meno. L'opposizione politica ha il compito tautologico di fare opposizione, tenendo ben presenti tutti i fatti della tragica realtà del momento, sentenza Dell'Utri compresa.

il manifesto 30/06/2010