30 luglio 2013

NUOVI INIZI

Nell’ultima conferenza nazionale di Sinistra Critica si sono confrontate, e alla fine sostanzialmente eguagliate, due posizioni politiche e strategiche tra loro alternative. Il lavoro degli ultimi sei mesi non ha prodotto significativi passi avanti nella convergenza tra quelle impostazioni che affrontano diversamente nodi analitici e teorici rilevanti e soprattutto si danno progetti di lavoro politico e strumenti di intervento differenti.

Questa difficoltà la viviamo come una nostra debolezza inserita però nella più ampia crisi sociale e politica italiana ed europea. Le forze della sinistra anticapitalista conoscono quasi ovunque una difficoltà materiale e di strategia politica.

Le condizioni obiettive dettate dalla crisi e da quella “lotta di classe” al contrario che i poteri dominanti stanno conducendo da diversi decenni, dovrebbero offrire un terreno privilegiato a forze orientate verso la trasformazione sociale. Ma la realtà materiale indica che non è così: in Francia, in Germania, in Gran Bretagna e in Italia, ad affermarsi è la difficoltà, la scomposizione delle forze ed anche la crisi

Sinistra Critica ha rappresentato un progetto politico che, nel quadro dell’esperienza di Rifondazione comunista, ha puntato ad amalgamare la necessaria rifondazione del pensiero e della pratica marxiste con le energie rese disponibili dai nuovi movimenti sociali e politici. In questo senso ha trovato ispirazione e progetto politico nelle vertenze sociali, nella vita e nelle vicende del movimento operaio, nei movimenti anti-globalizzazione e per la pace, nel nuovo femminismo e nelle lotte dei movimenti lgbt.

Sempre tenendo fermo un orientamento finalizzato alla ricostruzione di una soggettività e di una organizzazione politica anticapitalista, internazionalista, femminista, ecologista.

Questo progetto si è dipanato nel corso degli anni 90 e 2000, nella battaglia politica interna al Prc contro le derive governiste di quel partito, rese evidenti, in particolar modo, con il secondo governo Prodi. Abbiamo cercato di indicare una via d’uscita all’impasse della sinistra, alternativa a quella proposta da Fausto Bertinotti e dal gruppo dirigente di Rifondazione. Quella battaglia, in termini di consenso, non ha avuto l’esito sperato.

Ma i vincitori di quella contesa hanno ottenuto una vittoria di Pirro che presto si è trasformata nella disfatta del partito e risultano tra i principali responsabili della scomparsa della sinistra politica dal panorama italiano.

Restiamo convinti che l’esperienza condotta negli anni, o decenni, trascorsi alle nostre spalle, sia stata giusta. E’ stato giusto contestare in radice la cultura politica dominante della sinistra italiana, derivante dal riformismo togliattiano e dalla vocazione al compromesso sociale. E’ stato giusto denunciare il ruolo nefasto che lo stalinismo ha avuto nella storia del movimento operaio internazionale, battendosi per recuperare “la memoria dei vinti”, le giuste battaglie storiche degli oppositori alla Terza Internazionale. E’ stato giusto lavorare per il rinnovamento culturale del marxismo, recuperando le teorie migliori e la freschezza dell’apparato critico dello stesso Marx contro ogni tentazione di ossificazione. E’ stato giusto battersi contro gli apparati burocratici del movimento operaio, in campo politico e sindacale, rivendicando l’autorganizzazione e il protagonismo operaio come unico viatico per una effettiva emancipazione. E’ stato giusto recuperare il pensiero ecologista come punto nevralgico di un’identità per la nuova sinistra.

Rivendichiamo, in particolare, lo sforzo costante di coniugare, nella nostra concezione della sinistra anticapitalista, il femminismo con il marxismo critico e di fare del protagonismo delle donne un passaggio ineludibile per qualsiasi progetto di trasformazione. E’ stato giusto mantenere la rotta su un progetto di trasformazione rivoluzionaria e socialista della realtà esistente.

Tutto questo non ha impedito anche al nostro progetto di segnare il passo. Non siamo riusciti a costruire una alternativa forte e credibile alla deriva della sinistra italiana e, nel momento in cui si sono verificati grandi sommovimenti internazionali (la crisi) e modificazioni profonde nel corpo vivo della sinistra politica – si pensi alla crisi del Pd, dopo quella di Rifondazione – abbiamo iniziato a maturare, al nostro interno, analisi e progetti diversi per rispondere alla crisi.

La nostra ultima conferenza ci ha consegnato un’organizzazione sostanzialmente divisa a metà su due progetti la cui alternatività si è mostrata evidente con il passare del tempo. La politica, del resto, non può essere confinata alla sola analisi e alla condivisione degli orizzonti di fondo.

Se fosse così non esisterebbero, e non sarebbero esistite, scissioni, divisioni, divaricazioni inconciliabili.

A questo punto avremmo potuto dare vita a una classica contesa, strappandoci reciprocamente consensi, in un faticoso lavoro di interdizione simultanea. Avremmo potuto anche nascondere le nostre divergenze e “fare finta” che non fosse successo nulla dando vita, di fatto, a due correnti separate.

Abbiamo preferito spiegare la nostra situazione, renderla esplicita e trasparente con la presunzione di offrire un altro modo di affrontare la crisi della sinistra.

Con questa lettera noi dichiariamo chiusa l’esperienza politica di Sinistra Critica che quindi da oggi non esisterà più nel nome e nella simbologia. Ma il collettivo militante che questa organizzazione ha rappresentato non si ritira dalle battaglie politiche e sociali: dalle sue “ceneri” nascono altre storie, anzi già operano iniziative e attività articolate e complesse. I suoi e le sue militanti daranno vita, infatti, a progetti diversi, uno che propone una organizzazione politica più che mai orientata a un forte radicamento di classe, l’altro intenzionato a intraprendere, in un’ottica di classe, la strada della promiscuità tra “politico” e “sociale” che cominceranno a vivere pubblicamente nelle prossime settimane e nel mese di settembre.

Abbiamo pensato che invece di dare vita a scontri e recriminazioni fosse più giusto e utile, anche per rispetto alla nostra storia comune, condividere il momento della separazione, rispettando l’impegno di tanti e tante militanti. Speriamo che i due progetti politici che scaturiranno dalla nostra esperienza restino complementari tra loro anche se distinti. Non sappiamo se ci riusciremo ma questa è la nostra intenzione.

Anche per questo abbiamo deciso di garantirci per il futuro uno spirito fraterno dividendo con un accordo comune espresso in uno specifico testo scritto le poche risorse esistenti e garantendo a ciascuno l’operatività politica organizzativa.

In questo nuovo quadro politico organizzativo, insieme ribadiamo, la comune adesione al dibattito, al patrimonio e al progetto politico della corrente Quarta internazionale così come si è andata evolvendo nel tempo e come oggi si presenta nelle sue articolazioni internazionali: dal progetto del Nuovo partito anticapitalista francese, al dibattito latinoamericano fino alle nuove esperienze asiatiche. Un riferimento non dogmatico ma politico, culturale e “in progress”.

Il coordinamento nazionale

18 luglio 2013

PROLOGO



Dalla sconfitta si esce ricominciando da capo. Costruendo conflitto e movimenti, aggiornando l'identità, inventando, sperimentando. L'appello per una rete politica e sociale e un appuntamento per settembre a Communia

L’elenco è lungo ma necessario. DallaGrecia alle primavere arabe, all’indignazione spagnola, al movimento Occupy negli Usa passando per le lotte giovanili in Cile, in Canada, in Inghilterra, contro le politiche di austerità in Portogallo e in Israele, contro il regime di Putin in Russia fino alle iniziative di sciopero nelle fabbriche cinesi e indiane, e ancora le rivolte inTurchia e in Brasile: qualcosa sta succedendo. Una domanda di trasformazione continua a salire dal basso dei movimenti, da settori sociali diversi e da nuove generazioni.
I movimenti sono arrivati inattesi. Hanno chiesto e imposto democrazia e trasparenza. Hanno sostenuto l’auto-rappresentanza. Hanno creato nuovi linguaggi e nuovi immaginari. Hanno riscoperto riferimenti storici dimenticati, come la Comune di Parigi e la sperimentazione della democrazia radicale. Hanno privilegiato l’occupazione delle piazze per riappropriarsi di spazi comuni da trasformare, finalmente, in spazi pubblici. Hanno parlato al mondo, anche quando erano esigui, trasformando i social networks in strumenti di comunicazione orizzontale, bypassando le mediazioni organizzative tradizionali. Hanno creato cultura. Rinfocolato la speranza.
Certo, nessuno ha messo in crisi la crisi, nessuno ha fermato le politiche di austerità. Il problema dell’incontro tra il tempo lento dell’organizzazione e quello accelerato dell’evento resta irrisolto. La combinazione tra dimensione politica e sociale rimane incompiuta. Dentro questa ricerca vogliamo muovere i nostri passi trovando la risultante di una difficile equazione.
Le organizzazioni della sinistra radicale italiana sono al loro finale di partita. ParafrasandoBeckett "Finita, è finita, sta per finire, sta forse per finire”. I fatti sono noti. La sinistra è al minimo storico e si dibatte in una crisi senza idee. In Europa la crisi riguarda non solo le forze più riformiste, che sembrano risorgere alleandosi al social-liberismo, ma anche quelle più radicali e anticapitaliste. Lo “tsunami” recessivo sembra aver fatto tabula rasa di ipotesi politiche in parte vecchie e stantie, in parte inadeguate. I nuovi movimenti hanno mostrato le prime tracce di un percorso in fondo al quale disegnare una nuova sinistra a venire, in cui autorganizzazione e democrazia non siano negoziabili o sacrificabili sull’altare di un presunto realismo.
L’autorganizzazione ha un senso se si connette agli attuali percorsi di soggettivazione politica. Con tempi e forme dettati da una specifica composizione sociale e di classe, da indagare meglio, senza il rischio di ridursi a una palestra di democrazia diretta. Due sono le concezioni dell’autorganizzazione che mimano un’astrattezza paralizzante. La prima la colloca solo nei momenti alti della lotta di classe, quando si mette in gioco la legittimità del potere; l’altra, invece, la banalizza in una qualsiasi forma di aggregazione separata da partiti, sindacati, associazioni. Favorire la nascita e l’affermazione di strumenti per l’autorganizzazione richiede, invece, la capacità di leggere le situazioni di conflitto sotto la luce della soggettivazione di classe. Bisogna modificare i giochi di ruolo nelle strutture sindacali più o meno di base; vedere i movimenti dei settori di classe attiva oltre le storie e le tradizioni; cogliere i momenti di politicizzazione delle lotte studentesche; sperimentare forme di contropotere e socializzazione non dominata dalle merci. Favorire i salti improvvisi nell’accumulo di coscienza, sapendo viaggiare con bagagli leggeri ma essenziali.
Non esistono modelli né strumenti per tutte le stagioni. E’ su questo che si gioca il futuro: se la mancanza di modelli apre la strada a una serie di opportunità da sperimentare, non si deve sottovalutare la necessità di dare un’identità politica a tali sperimentazioni. Tuttavia l’identità non è data una volta per tutte, è un processo aperto che richiede posizionamenti, analisi e attivazione di conflitti.
Il capitalismo è un sistema in perenne trasformazione, che impone altrettanta capacità di cambiamento nelle forme di organizzazione, di socializzazione, di riappropriazione da parte di coloro che lo contestano e lo combattono. L’anticapitalismo non è un’astrazione ideologica ma una pratica che si nutre di idee e di uno sguardo sul mondo. Uno sguardo, una visione, delle idee da cui ripartire. Non rinunciamo a produrne e a scambiarle con altri e altre: per questo vogliamo dotarci di un sito e di una rivista.
Abbiamo una direzione di marcia: la costruzione di una rete, che si batta per un sistema e un potere alternativo. Una rete politico-sociale che produca conflitto e funzioni in modo radicalmente democratico, che sia aperta e propulsiva di sperimentazioni nel senso dell’autorganizzazione e dell’autogestione. L’autogestione conflittuale è un terreno da riempire di significati nuovi, cogliendone la storia, le potenzialità, i limiti e le illusioni, soprattutto dal versante del rapporto con il potere, con sperimentazioni “fuori mercato“. Un percorso che vive e muove dal conflitto di classe sui luoghi di lavoro, dalla socializzazione degli spazi, dal protagonismo dei migranti, dalla lotta contro l’austerità e il debito, dalle forme di comunicazione e delle “nuove” culture, dalla lotta contro le relazioni patriarcali ed eteronormative, dalla difesa dei beni comuni. E’ un movimento permanente, una rivolta in itinere che non si ritiene orfana ma si emancipa dal peso di un’eredità.
In questa chiave puntiamo a costruire, di nuovo, senza nostalgie e pentimenti. Puntando su una visione della democrazia diretta e radicale come valore fondante l’emancipazione; sull’autorganizzazione, sull’alternatività al capitalismo e la rottura con le sue regole e leggi come consapevolezza necessaria; sulla dimensione internazionale dei movimenti come spazio indispensabile alla loro efficacia.
Questo è il nostro intento, senza alcun diritto di primogenitura. Ed è per questo che invitiamo dal 20 al 22 settembre al confronto e alla partecipazione a Communia a Roma.
20-21-22 settembre Meeting nazionale a Communia. Idee e pratiche fuori mercato

14 marzo 2013


Per un nuovo progetto politico, anticapitalista

Le elezioni sono state solo l'epifenomeno di un cambiamento in atto da tempo. Ora non serve ricostruire i vecchi strumenti politici ormai in macerie nè fare astratti "fronti di opposizione". Serve un processo che parli alle nuove forme di politicizzazione, superando le organizzazioni esistenti.

Il terremoto politico creato dalle elezioni dello scorso 24 febbraio ci conferma la giustezza di un'analisi che abbiamo avviato da circa due anni. Una riflessione che muoveva dalla consapevolezza della fine del movimento operaio come lo abbiamo conosciuto nel Novecento e dalla fine dei riti e degli strumenti politici che quella storia ci consegna (partiti e, in gran parte, organizzazioni sindacali burocratiche). Non saranno più quei simboli e quelle tradizioni a parlare e a ricomporre socialmente e politicamente una classe frammentata ma non per questo meno colpita dallo sfruttamento e dall'alienazione; non basta una generica «unità delle opposizioni» per risalire la china.
"Quando affermiamo che il movimento operaio del Novecento non c'è più, naturalmente non intendiamo dire che la classe operaia si è dissolta o che non esistono più un movimento sindacale e l'esigenza di continuare a lavorare in quell'ambito", scrivevano alla scorsa Conferenza nazionale di Sinistra Critica. "Prendiamo solo atto dell'ovvietà che non esiste più l'insieme sinergico che in Europa e nel mondo aveva costretto il capitalismo a cambiare per non morire (…) La fine di quel movimento operaio necessariamente comporta un mutamento di ottica e di pratiche anche di chi ha vissuto all'opposizione al suo interno perché non c'è più la possibilità di investire nella speranza che un soggetto socio-politico forte sia portato dalle proprie lotte oltre l'orizzonte riformista. La ricostruzione ci riguarda direttamente nonostante le forze a disposizione siano esigue e quindi si può solo scegliere una parte del lavoro, una frazione del movimento nel suo insieme".
Il quadro è cambiato, e da tempo. Le elezioni politiche di febbraio rappresentano solo l'epifenomeno, così come accade sempre con i risultati elettorali. Uno smottamento profondo si è verificato nel tempo sia nella natura dei soggetti sociali che nella loro relazione con la politica. Il detonatore di questo smottamento sono state la crisi economica e allo stesso tempo la crisi delle politiche liberiste che ormai viene percepita in modo sempre più crescente. Le elezioni hanno espresso un rifiuto di massa delle politiche degli ultimi vent'anni e il dissenso nei confronti del sistema è stato di una portata senza precedenti (oltre la metà dell'elettorato non ha votato oppure ha votato per il M5S percepito come esterno al «sistema»).

Questo dato potrebbe aprire spazi enormi per i movimenti, che dovrebbero cercare di utilizzare a fondo questa rottura provando a trasferirla sul terreno sociale, giocando sull'instabilità del sistema politico e delle forze politiche che lo hanno sostenuto, e sfidando il Movimento 5 stelle, le sue proposte e le/i attiviste/i e le/i nuove/i parlamentari sul terreno dell'autorganizzazione. Ridefinendo per questa via le "giuste fratture" a cominciare da quella di classe. Il problema principale però non sarà tanto l'interlocuzione con il M5S e le sue espressioni istituzionali, che pure, nella prossima fase, in funzione delle vicende di movimento offrirà una relazione obbligata e in alcuni casi anche utile alle istanze dei movimenti sociali (come annuncia la partecipazione dei deputati M5S alla manifestazione No Tav, partecipazione che potrebbe “oscurare” la manifestazione stessa oppure darle maggiore impatto). La vera sfida sarà invece quella di utilizzare la "breccia" che quel voto e quella spinta hanno aperto in un sistema politico e istituzionale paralizzato, per guadagnare spazi di agibilità, di efficacia e di consolidamento dei movimenti di massa. Quelli che ci interessano e sui quali scommettiamo a fondo per costruire soggettività alternative.
Da questo punto di vista ci interessa poco lavorare sulle contraddizioni delle soggettività politiche della sinistra già «radicale». Quello che ci interessa è invece incontrare, fomentare, sviluppare, dare spazio alle forme di politicizzazione che sviluppino conflitto in questa fase di ingovernabilità istituzionale e politica.
Per questo abbiamo scelto un’altra strada rispetto all’ipotesi di una “ri-costruzione” degli strumenti ormai in macerie: la costruzione di un’area anticapitalista “dal basso”, un processo nel quale pensiamo di superare anche la nostra stessa organizzazione; un’area sociale e politica della quale non pretendiamo di essere perno ne tantomeno proprietari – ma semplicemente autori di una proposta, di un progetto aperto, partecipato, in continua sperimentazione. "Il problema è che occorre pensare alla ricostruzione di un soggetto alternativo, anticapitalista - citiamo ancora quel nostro documento - facendo i conti più direttamente e seriamente con le relazioni politiche e sociali tra i soggetti e con l'intreccio tra la pratica sociale e quella di un nuovo pensiero critico. Per non rimanere effimeri i momenti di unità sociale e politica, le coalizioni, sociali o anche elettorali, hanno bisogno di ricreare un retroterra che manca da decenni. E che non si ricostruirà con qualche colpo a effetto o una mossa tattica congiunturale. Serve un impegno di medio periodo".

Un nuovo inizio
"Un nuovo inizio è quello che dissoda il terreno della lotta di classe, eliminando scorie e tare del passato, ristabilisce coordinate basilari: l'indipendenza dal liberismo anche nella forma "social-liberale", l'individuazione di un campo di classe il più ampio possibile, la ricostruzione di meccanismi favorevoli all'autorganizzazione diretta dei soggetti sociali, la formazione di processi unitari genuini in cui le varie aree e componenti possano esplicitare i propri orientamenti ma senza mettere in pericolo il processo stesso, la democrazia reale, una visione e dei collegamenti internazionali, la possibilità di avere luoghi attraversabili dal 99 per cento che comprende, innanzitutto, i generi, le generazioni oltre che la sociologia dei soggetti sociali". Abbiamo citato ancora quanto avevamo scritto per ribadire che l'orientamento che vogliamo darci non è frutto di improvvisazione, impressionismo o, peggio, opportunismo post-elettorale ma discende da un'analisi approfondita. Nelle mobilitazioni di Occupy, degli Indignados o nelle rivoluzioni arabe avevamo intravisto gli elementi di una "radicalizzazione anomala" che abbiamo definito "liquida" e rappresentativa di una fase di transizione incerta tra il vecchio e il nuovo ma soprattutto in grado di provocare il "corto circuito tra le dinamiche di classe e quelle che dovrebbero esserne le organizzazioni sociali e politiche". La crisi del 25 febbraio non è solo del Pd, o della sinistra radicale, ma anche del sindacato, vecchio e nuovo. E’ dunque necessario "ripensare alla costruzione di un nuovo soggetto anticapitalista a partire dal sociale, assumendo a pieno la consapevolezza che i movimenti sociali degli ultimi anni si connotano sempre più come fabbriche della politica e sempre meno come teatri della rappresentazione".

Lo slogan di Occupy Wall Street, che contrappone il 99 all'1 per cento della popolazione, si conferma, quindi, profetico. Indica una linea divisoria oggi attuale tra il “noi” e il “loro” nel possesso di ricchezze, riproponendo in modo nuovo la griglia di lettura della classe. Aiuta anche a porre in termini nuovi l'altra questione decisiva in tempi di crisi e di frattura degli attuali assetti di potere: quella democratica. La breccia che il Movimento Cinque Stelle apre ha anche un connotato politico e istituzionale, nel senso di istituzioni altre e più rispondenti alla logica del 99%. Quando si dice che "la democrazia dei partiti" è finita ci si può limitare a un'operazione "anti-casta" o finalizzata ad aumentare i consensi elettorali. Ma dal nostro punto di vista può anche significare che occorre aprire una riflessione di massa su un'altra qualità della democrazia in cui l'espressione diretta e di base acquista nuova credibilità. La contestazione dell'articolo 67 e quindi del "mandato" parlamentare richiama il "mandato imperativo" della Comune che, però, era associato alla revocabilità. Ma tutto questo ha poco senso e risulta avere un impatto limitato se non viene posta la questione degli assetti sociali e di proprietà e quindi un altro livello di cultura e di orientamento politico. E' questo il nostro livello.
C'è dunque molto da costruire e molto da fare. Ci sono riferimenti del passato che possono essere utilmente conservati ma solo nella loro messa a disposizione di un progetto nuovo. Occorre, infatti, aggiungere nuove pagine al libro della rivoluzione, in parte già ampiamente logorato. Sapendo che, per i giovani quelle pagine saranno le prime.
Un nuovo progetto politico oggi deve parlare il linguaggio della rivolta e del rivolgimento sociale, della trasformazione radicale, della speranza e della costruzione di un orizzonte migliore. I suoi protagonisti dovranno essere coloro che vogliono cambiare questo sistema: studenti medi e universitari ai quali viene sottratto il diritto e la qualità dello studio; lavoratrici e lavoratori che resistono allo sfruttamento e a quelle/i che sperimentano vie nuove di costruzione di reddito attraverso l’autogestione (come Ri-Maflow); a precari/e sempre più al centro dei processi di valorizzazione del capitale e sempre più sfruttate/i ed espropriati del loro lavoro e del loro sapere; alle donne che combattono un patriarcato mai scomparso; ai soggetti lgbt che rivendicano diritti; alle/agli attiviste/i ambientaliste/i e per la difesa del territorio e dei beni comuni. Esiste una pluralità di soggetti che soggiacciono alla logica perversa di un capitalismo in crisi e che sono uniti, sia pure inconsapevolmente, da comuni condizioni di sfruttamento ed espropriazione del proprio futuro. Questi soggetti possono essere collegati da progetti unitari, da “idee forti” vincenti, da ipotesi credibili di società alternative a partire dai modelli e dai modi di produzione, dagli ambiti di proprietà pubblica, dalla democrazia di base. I nostri interlocutori non saranno, quindi, i ceti politici dispersi o le aree disgregate di quella che è stata la sinistra radicale, ma le nuove forme di politicizzazione e partecipazione con cui discuteremo alla pari. Con un obiettivo per noi esplicito: costruire uno spazio di iniziativa sociale e politica, un’area anticapitalista capace di porre nuovamente il tema della trasformazione sociale radicale, della rivoluzione.

Abbiamo già approntato strumenti aperti e inclusivi di lavoro politico che vanno in questa direzione, a cominciare da rivoltaildebito.org, che partendo dalla contestazione della necessità del pagamento del debito pone la questione di una nuova finanza pubblica, di una riappropriazione degli strumenti della politica economica e della politica tout court.
Vogliamo proseguire, sperimentare, in forma aperta, orizzontale, senza primati "politici" e senza complessi. In questo senso proporremo un sito-rivista aperto a tutti e tutte coloro vogliano cimentarsi con i temi qui sommariamente accennati: la qualità della crisi, la forma attuale dei soggetti che vi si oppongono, la natura dell'alternativa, i modi per arrivarci, le intersezioni culturali, l'immaginario. Vogliamo produrre inchiesta sovrapponendola al lavoro politico, sperimentare per imparare e poi sperimentare meglio. Vogliamo dare, forse per la prima volta nella storia sociale e politica di questo paese, la giusta centralità all'autorganizzazione e autodeterminazione dei soggetti in lotta, storicamente espropriati da burocrazie politiche, sindacali e/o istituzionali oppure da avanguardismi autistici. L'anticapitalismo è oggi soprattutto un metodo e una pratica di lotta, prima ancora che un'identità politica precostituita. Vorremmo costruire, poi, un appuntamento nazionale, un"Festival" anticapitalista" per provare a ragionare insieme e a mettere in rete tutto quello che vuole sintonizzarsi con questa riflessione.

Nell'immediato, poi, guardando la fase politica, in Italia e in Europa, non sfugge a nessuno la necessità di forti movimenti sociali. Non basta la rappresentanza parlamentare, per quanto quello che è accaduto in Italia possa prefigurare ipotesi o speranze di cambiamento. Occorre costruire movimenti dal basso, come quello che si è imposto in Val di Susa, come quello degli studenti degli ultimi anni, come le rivolte ambientaliste che costellano gran parte del Paese (e che, ad esempio, spiegano i picchi del voto al M5S), come le resistenze operaie che ancora esistono: non è infatti vero, come qualcuno sostiene, che non esista conflitto sociale in Italia, che si esprime anche se in forme frammentate e disperse. In questa direzione non serve un astratto "fronte" dei soggetti di opposizione, troppo spesso limitati ai ceti dirigenti di quei soggetti, ma operazioni mirate, coalizioni multiple, "forum" tematici, esperienze esemplari, sapendo che il collegamento, la "rete" e l'unità d'azione rimangono comunque beni preziosi. Puntiamo a “forum”, come quello per una Nuova finanza pubblica, che impropriamente sono definiti “tematici” e che invece permettono di costruire "coalizioni" multiple lavorando su contenuti e programmi condivisi, campagne, conflitto, vertenze.
Già nelle prossime settimane saremo in campo con le nostre proposte insieme ad altre/i: il 16 marzo a Milano (c/o Occupy Maflow) per un seminario nazionale del comitato “per una nuova finanza pubblica e sociale” sugli audit e le esperienze di autogestione di lavoratrici e lavoratori; il 23 marzo in Val di Susa contro il TAV; il 13 aprile a Firenze per la seconda assemblea nazionale “per una nuova finanza pubblica e sociale”.
E naturalmente nelle tante iniziative locali che cominciano a sperimentare questo progetto.

Serve anche pensare a una dimensione sovranazionale, per lo meno europea. Non ci convince l'ipotesi dell'uscita dall'euro ma cogliamo con nettezza la pericolosità delle politiche decise dalla Bce, dalla Commissione europea o da Fmi, la "troika". Il tema del debito e del suo annullamento, resta centrale (e per questo partecipiamo alla rete ICAN), così come il contrasto, deciso, all'austerità imposta dall'Europa. Per questo, però, non bastano i proclami ma progetti più concreti come quelli avviati a Francoforte o a Madrid e di cui avvertiamo tutta l'urgenza. Lo stesso vale per l'area mediterranea dove il tempo delle rivoluzioni arabe non è finito e dove la solidarietà effettiva tra movimenti di trasformazione è essa stessa un processo in corso. Ci sembra in questo senso molto importante l’invito del Fronte popolare tunisino alle sinistre anticapitaliste del Mediterraneo a Tunisi il 23/24 marzo per un meeting contro il debito e le politiche capitaliste nell’area – meeting a cui parteciperemo per discutere con queste sinistre anticapitaliste una possibile campagna comune contro il debito, a nord e a sud del mediterraneo.
Puntiamo, dunque, a un nuovo progetto politico e ad una nuova soggettività politica che si nutrirà dei percorsi necessari e che di volta in volta si renderanno utili. Non ci serve, e non serve a questa nuova soggettività, la proclamazione di nuove organizzazioni o la ri-proposizione di vecchi e nuovi “partitini”: Questo non significa “scioglierci nel movimento”, quanto usare il nostro collettivo politico per un progetto aperto e per trovare nuove strade di costruzione della soggettività anticapitalista.
Non abbiamo fretta anche se non abbiamo molto tempo. Ma è il tempo della lenta impazienza, che non significa rinuncia alla trasformazione sociale, alla rivoluzione, ma esattamente l’opposto.

Su questo progetto, su questa proposta, avvieremo nelle prossime settimane incontri, riunioni, assemblee sui territori; incontri aperti a chiunque voglia discutere con noi, non rivolti solamente a chi già condivide ed è coinvolto nel progetto.
*Piero Maestri, Tatiana Montella, Dario Di Nepi, Daniele D'Ambra, Giulio Calella, Salvatore Cannavò, Lidia Cirillo, Danilo Corradi, Flavia D'Angeli, Roberto Firenze, Luciano Governali, Gianni De Giglio, Gigi Malabarba, Felice Mometti, Michela Puritani, Giorgio Sestili, Emiliano Viti.

05 marzo 2013

Nota dell'esecutivo di Sinistra Critica

Il Coordinamento si è soffermato, in particolare, sulla situazione interna a Sinistra Critica così come scaturita dall’ultima Conferenza nazionale dove, due diverse posizioni si sono fronteggiate e alla fine sostanzialmente eguagliate. Il lavoro degli ultimi sei mesi non ha prodotto significativi passi avanti nella convergenza tra quelle impostazioni che affrontano diversamente nodi analitici e teorici rilevanti e soprattutto si danno progetti di lavoro politico e strumenti di intervento differenti.
Il coordinamento ha deciso di affrontare con chiarezza questa situazione puntando a costruire una situazione nuova di Sinistra Critica in cui evitare di ripercorrere vecchi vizi e divisioni della sinistra di classe ma, allo stesso tempo, rispettando l’impegno di tanti e tante militanti che merita uno sforzo di trasparenza. In questo senso il coordinamento è giunto a una decisione unanime (con un astenuto) sulla necessità, opportunità e, si spera, utilità, di uno schema organizzativo nuovo. I-le militanti di Sc, infatti, decidono di dotarsi di in un quadro unitario fondato, sostanzialmente, sulla comune adesione al dibattito, al patrimonio e al progetto politico della corrente Quarta internazionale così come si è andata evolvendo nel tempo e come oggi si presenta nelle sue articolazioni internazionali: dal progetto del Nuovo partito anticapitalista francese, al dibattito latinoamericano fino alle nuove esperienze asiatiche. Un riferimento non dogmatico ma politico, culturale e “in progress”.
Da questa comune appartenenza discenderanno, nella prossima fase, due progetti politici in solidarietà tra loro ma distinti. Le forme e la natura dei progetti andranno meglio precisati ma, in larga parte, saranno il frutto degli orientamenti proposti all’ultima conferenza nazionale dai due documenti allora presentati (il documento nazionale e gli ampi emendamenti presentati). A livello locale, Sinistra Critica continuerà, in questa fase, a operare sulla base dei deliberati dei circoli. Il coordinamento si impegna, in uno spirito fraterno e di solidarietà, a gestire in comune le (poche) risorse finanziarie esistenti e il patrimonio di sedi, e a programmare appuntamenti di dibattito comune tra i due progetti. Il sito nazionale pubblicherà come posizione comune di Sinistra Critica i testi e le posizioni condivise e pubblicherà tutti gli altri interventi di analisi e di proposte con la firma della/e autrici o degli autori. Nel prossimo periodo dovremo meglio definire quale sia la nostra “casa comune” che mantiene questi rapporti solidali e allo stesso tempo il libero dispiegamento dei progetti.
Quello che avviamo è un percorso difficile, in parte obbligato e certamente inedito. Ci muove la volontà di non acuire, in maniera irreversibile, le divergenze che nel tempo abbiamo accumulato ma anche di non nasconderle, né a noi né ai nostri interlocutori. Le vicende della lotta di classe in Italia sono oggi particolarmente complesse e articolate e diversi i modi di affrontarle. Anche dotarsi di una modalità innovativa rappresenta un contributo al processo, complesso ma necessario, di una forte e nuova sinistra anticapitalista nel nostro Paese.

L’Esecutivo nazionale di Sinistra Critica

Verona, contro tutti i fascismi: per dire no alle aggressioni nere all’università

di Paola Bonatelli
ilmanifesto
E'stata una manifestazione pacifica e colorata, ma molto determinata quella che ha percorso sabato pomeriggio, a Verona, le strade di Veronetta, il quartiere universitario e multietnico, per dire basta alla violenza squadrista e alle sue, qui fortissime, collusioni politiche e istituzionali, il tutto culminato con l’aggressione squadrista all’università, avvenuta lo scorso 12 febbraio.
Il corteo, organizzato dall’assemblea antifascista cui partecipano sia gli studenti universitari e delle superiori che i collettivi e i gruppi antifascisti cittadini, non ha avuto vita facile sin da subito. Il percorso autorizzato dalla questura prevedeva infatti una serie di limitazioni pesanti come il divieto di transitare per via XX settembre, la strada più popolata del quartiere, con motivazioni che andavano dai problemi di ordine pubblico – la presunta, potenziale rivolta degli esercenti di via XX settembre, per il 90 per cento migranti – ai ritardi degli autobus – notare che è molto recente la proposta di chiudere le scuole il sabato mattina perché l’Azienda municipalizzata non riesce a garantire i bus per gli studenti.
Quindi la manifestazione è iniziata proprio con una lunga fermata all’imbocco della suddetta via, durante la quale si sono susseguiti numerosi interventi che spiegavano la situazione, come cioè queste limitazioni fossero una scelta politica (qualcuno ha detto ispirata dal sindaco) per togliere agibilità a Veronetta, un quartiere che i leghisti locali considerano una casbah, dove si trovano tra l’altro anche i locali “alternativi” e molte sedi di circoli e associazioni in odor di eresia.
Dopo questo stop prolungato il corteo, quattro-cinquecento persone in gran parte giovani e giovanissimi, ha imboccato il percorso autorizzato, fermandosi di nuovo di fronte all’università, dove, ad interventi degli studenti contro le azioni repressive del rettore e soci, si sono alternate le testimonianze di solidarietà, tra cui quella del coordinatore regionale dell’Anpi Maurizio Angelini, il quale si è detto molto preoccupato non solo per la recrudescenza della violenza neofascista e per le posizioni espresse sulle foibe, che manipolano la storia, ma soprattutto per la grave responsabilità delle autorità accademiche, che, invece di stimolare la ricerca e il confronto, si piegano alla prepotenza dei fascisti e della destra locale. La manifestazione si è conclusa nella centralissima piazza dei Signori, dove si sono ricordati i compagni caduti per mano fascista, Dax a Milano, Valerio Verbano e Renato Biagetti a Roma, Nicola Tommasoli, di cui tra poco ricorre il 5° anniversario, a Verona.