30 gennaio 2011

La TAV a Quarto d'Altino (VE)

Riassunto dell’intervento di Marco Simionato* al convegno tenutosi a Quarto d’Altino il 24 gennaio 2010
“LA TAV A QUARTO D’ALTINO : IL TRACCIATO E LE PROBLEMATICHE”

*consigliere comunale "Unione altinate - più svilupo sociale, basta cemento" Comune di Quarto d'Altino
Premessa: il Sindaco Loredano Marcassa, alla fine dell’esposizione da parte dei relatori, ha chiesto ai presenti, consiglieri e pubblico, di fare loro delle domande. Ho precisato che il mio intervento poteva essere considerato anche come una serie di domande ai relatori intervenuti ai quali ho chiesto di ribattere alle mie tesi, dove avessero ravvisato imprecisioni o informazioni sbagliate in quanto stavo per dire. Nessuno dei relatori, alla fine del mio intervento, ha ritenuto di correggere o precisare alcunché.
CONTENUTI DELL’INTERVENTO E’ mia abitudine dare una valutazione di un fatto o, come in questo caso, di un progetto dopo aver preso visione di tutta la documentazione disponibile. Nel caso specifico del progetto della linea AV/AC Venezia –Trieste parliamo di una documentazione che consiste di due DVD, contenenti oltre 700 file, che ci è stata consegnata fra il 14 e il 17 gennaio 2011, ovvero circa una settimana fa. Oltre ad una copiosa cartografia vi sono contenute una serie di relazioni, squisitamente tecniche che vanno da un minimo di 50 pagine ad un massimo di 300 pagine. Probabilmente un pool di una decina di tecnici altamente specializzati impiegherebbe un mese per analizzare il progetto in tutti i dettagli e nelle loro implicazioni per il nostro territorio. Tuttavia, avendo comunque letto tutto il possibile nel tempo a disposizione, ed esistendo comunque una vasta bibliografia sull’argomento, grazie soprattutto alla generosa lotta dei cittadini della Val di Susa, vi sono molti elementi che emergono a conferma della mostruosità del progetto per il nostro territorio. Ma soprattutto, ciò che mi preme di più sottolineare, vi sono delle vere e proprie bufale, circolate nei quotidiani locali ed in alcuni incontri tenutosi nei vari comuni interessati, approfittando della complessità dell’argomento e della sua non conoscenza da parte della maggioranza dei cittadini. La prima: è un opera che ci viene imposta dall’Unione Europea. Falso. La decisione europea N. 1692/96/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio (23 luglio 1996) sugli orientamenti comunitari per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti, all’art. 10 comma 2 comprende, nella definizione di rete ferroviaria ad alta velocità comprende, oltre alle “linee specialmente ristrutturate per l’alta velocità, attrezzata per velocità pari a 200Km/h”, “LINEE SPECIALMENTE RISTRUTTURATE PER L’ALTA VELOCITA’ A CARATTERE SPECIFICO A CAUSA DI VINCOLI LEGATI ALLA TOPOGRAFIA, AL RILIEVO O AI NUCLEI URBANI, LA CUI VELOCITA’ DEVE ESSERE ADEGUATA CASO PER CASO”. Questo significa che rientrano nella definizione europea di alta velocità anche linee specialmente RISTRUTTURATE con velocità inferiori ai 200Km/h, “posto che vincoli legati alla topografia, al rilievo o ai nuclei urbani ne giustifichino gli specifici parametri progettuali”1. Questa definizione permetterebbe di far ricadere pienamente un eventuale potenziamento e ristrutturazione della linea storica Venezia – Trieste nella definizione che da l’UE di rete ad alta velocità.
E’ vero invece che l’Unione Europea imporrebbe ben altre cose. “L’ elaborazione della rete europea ad AV deve rispettare le seguenti priorità:
  • Garantire che la sua realizzazione non pregiudichi la necessaria qualità del servizio pubblico in particolare facendo in modo che non vada a scapito delle linee secondarie che devono continuare a consentire un buon servizio del territorio;
  • Rispettare scrupolosamente le zone naturali o sensibili e di siti in cui si trovino monumenti storici, artistici o culturali, scegliendo di percorrere di preferenza i corridoi in cui già si registrino notevoli flussi di trasporti;
  • Sollecitare il riassetto delle vie ferroviarie esistenti evitando di creare nuovi corridoi di disturbo in siti intatti” 2

A fronte di tali indicazioni, il progetto della linea AV/AC presenta queste caratteristiche: 73.000 metri quadri di cantieri a Quarto d’Altino (e moltissimi altri in tutti i comuni interessati) per 7 anni; 10 viadotti, fra cui uno che passa sopra Zero e Sile (in pieno Parco Naturale, dove gli abitanti che confinano con il parco stesso non possono spostare nemmeno una tegola del tetto a causa dei vincoli imposti dall’istituzione del Parco); almeno 12 “interferenze idrauliche” (sembra quasi che sia la natura ad interferire con la TAV e non il contrario !!!) con la conseguente “deviazione”, “spostamento”, “spostamento provvisorio”, “leggero spostamento”, “rettifica del percorso attuale” di 12 fra collettori, fossi, canali, scoli e fiumi (la terminologia fra virgolette in questo periodo rappresenta citazioni testuali riprese dalla relazione generale al progetto preliminare della nuova linea AV/AC VE-TS). Il tracciato lambisce o attraversa 7 zone archeologiche (fra cui quella di altissimo pregio della nostra Altino), il 37,70% del tracciato passa su aree vincolate (di cui il 66,12% sono aree vincolate perché a rischio idraulico e idrogeologico); il 19% del tracciato “interferisce” con parchi, riserve o zone di tutela ambientale. Già dal punto di vista dello scempio ambientale ci sarebbero tutti i presupposti per la bocciatura in toto del progetto. D’altronde non sono solo io a dirlo, rappresentante della “sinistra estrema” come sono stato definito da “La Nuova Venezia”, ma è la stessa Presidente della Provincia Francesca Zaccariotto, leghista, a dichiarare, ancora su “La Nuova Venezia” del 19/1/2011, che “il progetto evidenzia in modo chiaro che territori come quello di Quarto d’Altino San Donà e Musile, vengono assolutamente devastati da quest’opera” . E per che cosa? A fronte dei 300 Km/h di velocità massima di progetto sbandierati dai media locali, nero su bianco, il progetto preliminare prevede una velocità massima di 250 Km/H e addirittura 200Km/H nella tratta Mestre – Aeroporto. Le merci, la più grande bufala presente sul progetto e più volte ripresa dai media locali, non viaggeranno mai su quella linea. A parte il problema dell’esatta determinazione della domanda, sconosciuta anche ai tecnici e di cui i relatori hanno accennato questa sera, è consolidata una precisa politica di RFI, per la quale non un solo treno merci ha mai viaggiato su una linea AV, per motivi tecnici, fra cui la maggiore manutenzione necessaria per ll’usura della linea causata dal peso dei “merci” e per una serie di altre problematiche. Dico solo che in alcuni casi come nella Torino – Lione 3 è emerso che le merci devono viaggiare su carri speciali muniti di carrelli che Fs non ha e che , per esplicita ammissione di FS stessa, non ha nessuna intenzione di comprare. Quindi i potenziali utenti del servizio dovrebbero comprare questi carri accollandosi l’onere dell’investimento, oltre alle tariffe maggiorate per il trasporto merci sulla linea AV rispetto alla linea normale. Non ci è dato sapere se questo succederebbe anche per la Venezia Trieste; ma, se dovesse essere così, perché mai un privato dovrebbe scegliere per far viaggiare le proprie merci la linea AV anziché la gomma o la ferrovia normale?.Ma se non bastasse tutto questo, c’è una cosa di cui nessuno parla ed è l’aspetto puramente economico della questione, in cui l’analisi costi/benefici non regge. L’architettura finanziaria finora utilizzata, o meglio, i meccanismi contenuti nella legge obiettivo che consentono l’utilizzo dei tale architettura sono totalmente assurdi. Paroloni come “Project Financing” nascondono un finanziamento pubblico “travestito” da finanziamento privato. E qua si, è vero che l’Unione Europea ci ha imposto, nell’ambito della procedura di infrazione per deficit eccessivo avviata nel 2005, di inserire il presunto “finanziamento privato” per l’AV nel conteggio del debito pubblico. Con questo “scherzetto” con la finanziaria 2007 l’Italia ha inserito nel conteggio del debito pubblico 12.950 milioni di euro accumulati da TAV spa, mentre i nostri figli fanno lezione in 40 in un aula perché non ci sono fondi per l’istruzione. E’ per tutti questi motivi che sono totalmente contrario a questo progetto, alla TAV, sia essa “bassa” o “alta”, e favorevole al perseguimento di ogni soluzione alternativa possibile, che peraltro è stata anche valutata questa sera dai relatori che si sono succeduti. E, sinceramente, appare insostenibile anche la posizione di chi la vuole, ma in un tunnel che sbuchi fuori oltre Quarto d’Altino. Cosa facciamo, mettiamo la TAV sottoterra, un po’ come chi spazza la polvere mettendola sotto il tappeto? E’ evidente che i problemi rimangono. E che questo progetto non è utile per la società civile; siamo un paese di pendolari e tutti conosciamo la situazione dei treni in cui viaggiamo e quanto sia prioritario un intervento pesante sulla linea normale. E non capisco l’appiattimento del dibattito fra le maggiori forze politiche che si limita all’alternativa fra TAV alta o TAV bassa, tenendo fuori dalla discussione queste e mille altre problematiche. O meglio lo capisco benissimo. Ce lo fa capire la lettera spedita da Confindustria Venezia il 27 ottobre 2010 (prot del Comune di Quarto d’Altino 016113 del 2.11.2010) presumibilmente a tutti i sindaci dei comuni interessati in cui si dice che “ …siamo impegnati perché la dotazione infrastrutturale del nostro territorio sia adeguata per un processo di sviluppo che tutti riteniamo indispensabile…In particolare siamo attenti alla realizzazione della T.A.V. all’interno del corridoio 5. il nostro impegno è volto alla definizione di questa importante infrastruttura in tempi certi e rapidi e siamo preoccupati del fatto che, veti incrociati, incomprensioni o insoddisfazioni possano ritardarne la realizzazione o addirittura non renderla possibile…” . E nel prosieguo della lettera si propone un incontro in tempi rapidi. Non ci è dato sapere se questo incontro si sia svolto e quali ne siano stati gli esiti. Sappiamo però che questi sono i “bocconcini” che piacciono alla nostra “coraggiosa” classe imprenditoriale: 6.129 milioni di Euro (stima ufficiale, ma le stime del 2009 presentate dall’Ing. Ivan Cicconi nell’ambito del convegno di San Donà del 12 dicembre 2010 parla di 11.800 milioni di euro) di fondi prevalentemente pubblici, nessun rischio (in caso di fallimento interviene lo stato, visto che non si possono metter all’asta binari e traversine). Ecco a chi è utile la TAV; a chi, come sempre, vuole privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite, a rischio zero, come nel caso degli inceneritori, in cui gli incentivi che li rendono convenienti in Italia vengono pagati da tutti noi direttamente nella bolletta della fornitura di corrente elettrica. Mi dispiace che l’Assessore Chisso, che il sindaco Marcassa ha riferito di aver invitato, non sia qui presente stasera, perché avrei avuto piacere di dirgli questo; il Presidente della Regione Zaia, in una recente dichiarazione alla stampa, si è augurato di non vedere i NO TAV. nel Veneto. Beh, devo dargli una brutta notizia: per tutti i motivi che ho elencato i NO TAV ci sono, in tutti i comuni del Veneto interessati e si stanno organizzando per opporsi a questo progetto, fare informazione e richiedere il perseguimento di ogni alternativa che preveda il potenziamento della linea astorica e che escluda la realizzazione di una nuova linea AV, sia essa bassa, alta o in tunnel.

1 Alta velocità. Valutazione economica, tecnologica e ambientale del progetto di Virgilio Bettini e Claudio Cancelli, Edizioni CUEN – Ecologia 1997
2 Relazione della Commissione per i Trasporti ed il Turismo sulla proposta al Consiglio relativa ad una decisione concernente lo sviluppo di una rete europea di treni ad AV, depositata il 15 aprile 1992, art. 1 bis in “Parlamento Europeo, Documenti di Seduta” , (SEC (90) 2402 def. – C3-0088/91)
3 Alta velocità. Valutazione economica, tecnologica e ambientale del progetto di Virgilio Bettini e Claudio Cancelli, Edizioni CUEN – Ecologia 1997, pagg 19-20


Marco Simionato alla Nuova Venezia: diffida per lo scorretto utilizzo dell'immagine

Egr. Direttore,
mi chiamo Marco Simionato e sono consigliere comunale del gruppo UNIONE ALTINATE - PIU SVILUPPO SOCIALE, BASTA CEMENTO nel Comune di Quarto d'Altino. Le scrivo per metterla al corrente dei contenuti del coloquio telefonico fra il sottoscritto e il Sig. Lazzarini. In data odierna è stato pubblicato, a firma Marta Artico, l'articolo (http://nuovavenezia.gelocal.it/cronaca/2011/01/27/news/quarto-a-marce-forzate-contro-la-tav-3290822 ) QUARTO A MARCE FORZATE CONTRO LA TAV - Giorni cruciali per mettere insieme una proposta alternativa. Sotto alla mia foto veniva riportato il seguente, testo :" Tra le fila dei contrari, c'è anche il consigliere di Unione Altinate Marco Simionato, che durante l'assemblea di qualche giorno fa è intervenuto per manifestare la propria contrarietà all'opera. Ma tra i comuni coinvolti, c'è anche Marcon. La linea, infatti, una volta uscita in superficie all'altezza di Tessera, piega a Nord attraversando per un tratto il territorio tra Zuccarello e San Liberale. «La nostra richiesta sarà quella di spostare il tracciato - spiega - il progetto attuale non ha senso, è inspiegabile il fatto che una volta emersa in superficie la linea curvi a Nord all'interno del nostro comune proseguendo per la zona archeologica e bypassando due fiumi, quando potrebbe andare via diritta parallelamente alla Triestina e raggiungere Portegrandi più velocemente. Ha più senso dal punto di vista trasportistico che non la soluzione soluzionescelta, di cui vorremmo anche capire le motivazioni che finora non abbiamo compreso».
Ritengo questa un' operazione di mistificazione a dir poco vergogonosa, in quanto dall'articolo si evince che io starei lavorando per uno spostamento del tracciato, affermazione assolutamente falsa. Infatti dopo aver nominato il sottoscritto, del quale è stata pubblicata anche una foto, si parte con un virgolettato e con uno "-spiega-" per inciso dove appare inequivocabilmente che sia il sottoscritto a spiegare una soluzione cui sono, ugualmente e con forza, contrario, alla pari della soluzione evidenziata nel progetto preliminare. Ho espresso chiaramente questa mia posizione contraria alla realizzazione della nuova linea AV/AC sia essa "bassa", "alta" o in tunnel, nell'ambito del convegno organizzato dal Comune di Quarto d'Altino in data 24 gennaio 2011, convegno a cui era presente la stessa Sig.ra Marta Artico, oltre a numerosi altri testimoni del contenuto del mio intervento che è stato addirittura filmato. Non ho avuto, inoltre, nessun'altra occasione di parlare con la Sig.ra Marta Artico nella quale io potrei essermi spiegato male o la giornalista stessa potrebbe aver travisato il significato di una mia dichiarazione. Le dirò di più; avendone saggiato la "professionalita" fin dal 2006, prima ancora della mia elezione come consigliere comunale, non parlo con la Sig.ra Marta Artico da quella data, nè mai la cercherò per affidarle un comunicato, una dichiarazione, nè una richiesta, viste le numerose dimostrazioni di quanto sia capace di rappresentare in modo parziale, incompleto e a volte assolutamente distorto, come in questo caso, la realtà dei fatti.
La mia attività politica è stata, peraltro con mia estrema soddisfazione, ignorata dalla Sig.ra Marta Artico, nè è mai stata pubblicata prima d'ora una mia foto, se non nel 2006 quando, in campagna elettorale, ero uno dei cinque candidati a sindaco nel Comune di Quarto d'Altino. Si sceglie invece, in modo improvviso, oggi e su un argomento come la TAV, intorno al quale gravitano pesanti interessi economici e pressioni, di farmi salire agli onori della cronaca, pubblicando una mia foto e attribuendomi affermazioni non mie, che gettano discredito sulla mia figura sia nell'ambito della cittadinanza altinate, sia nel movimento NO TAV, sia nell'ambito della forza politica di cui faccio parte, SINISTRA CRITICA. Un discredito e un danno alla mia figura che deriva dal fatto che mi si fa ricadere nel caldierone di quei politici timorosi, incoerenti e opportunisti che in questi giorni stanno prendendo posizioni poco chiare e altalenanti nell'improbabile impresa di non dare troppo fastido a chi esercita pressioni perchè l'opera venga realizzata, ma allo stesso tempo di apparire nei confronti della cittadinanza come un difensore della collettività. Perchè, se proprio fosse stata presa la decisione di pubblicare la posizione sulla TAV del sottoscritto, non è stata riportata l'informazione nell'ambito dell'articolo apparso il 26 gennaio 2011 ( http://nuovavenezia.gelocal.it/cronaca/2011/01/26/news/quarto-si-ribella-no-alla-tav-3281348 ) circa il mio intervento al convegno del 24 GENNAIO 2011? In tale articolo invece si è scelto di riportare esclusivamente le posizioni dI componenti della Giunta Comunale di Quarto d'Altino, NESSUNO DEI QUALI E' INTERVENUTO ESPONENDOSI APERTAMENTE DAVANTI ALLA CITTADINANZA. Capirà che non lo escludo, ma appare un po' difficile per me credere che si tratti di un refuso o di un mero errore di impaginazione. A questo punto però chiedo che, immediatamente, nell'edizione di domenica 30 gennaio 2011 vengano esplicitamente pubblicate delle scuse al sottoscritto e che si precisi che le posizioni riportate nell'articolo in oggetto, accanto alla mia foto, non sono le mie e venga citato invece , con foto, il vero estensore delle dichiarazioni nel virgolettato. Chiedo inoltre che venga ripubblicata la mia foto accanto alla VERSIONE INTEGRALE del riassunto dell'intervento da me effettuato nel convegno del 24 gennaio 2011, che trovate nel file allegato e che esprime la mia reale posizione. In caso contrario valuterò se vi siano gli estremi per querelare il vostro giornale e l'autrice dell'articolo.

Distinti Saluti
Marco Simionato


29 gennaio 2011

TUNISIA: Il fronte del 14 gennaio

Il 20 gennaio 2011 diverse organizzazioni della sinistra radicale in Tunisia, tra cui il Partito Comunista dei Lavoratori della Tunisia e Partito laburista patriottico democratico, hanno costituito il "Fronte del 14 gennaio" in riferimento alla data della fuga di Ben Ali, il presidente deposto.

Fronte del 14 gennaio

Ci siamo dati lo scopo di organizzare la resistenza al governo di transizione, che ha ancora coinvolto i capi del partito di Ben Ali e di costruire un’alternativa popolare fatta di comitati di vigilanza istituiti in diversi distretti della Tunisia per difenderci dall'apparato di terrore e dalla polizia presidenziali. L'invito è aperto a tutte le forze politiche di progresso, sindacati e associazioni per raggiungere gli obiettivi previsti dalla rivoluzione popolare tunisina.
Affermiamo il nostro impegno per la rivoluzione del nostro popolo, che ha combattuto per il diritto alla libertà e alla dignità nazionale e ha fatto grandi sacrifici con decine di migliaia di martiri e prigionieri. Per completare la vittoria contro i nemici interni ed esterni e di opporci ai tentativi di schiacciarci, è stato costituito il "Fronte del 14 gennaio", un’alleanza politica che si adopererà per far avanzare la rivoluzione del nostro popolo verso la realizzazione dei suoi obiettivi e per opporsi alle forze contrarie alla rivoluzione. Tale alleanza comprende i partiti, le forze e le organizzazioni progressiste, nazionali e democratiche.
I compiti urgenti del Fronte sono:
1 - Abbattere l'attuale governo Ghannouchi e tutti i governi che ricordino i simboli del vecchio regime, che ha perseguito una politica anti-nazionale e anti-popolare facendo gli interessi del presidente deposto.
2 - Scioglimento del RCD, il partito di Ben Ali, e confisca delle sue sedi, proprietà, fondi finanziari in quanto appartengono al popolo.
3 - La formazione di un governo ad interim che goda della fiducia del popolo, delle forze progressiste, degli attivisti politici, delle associazioni, sindacati e dei giovani.
4 - Lo scioglimento della Camera dei Rappresentanti e del Senato, di tutti gli organismi fittizi esistenti, del Consiglio della magistratura e lo smantellamento della struttura politica del vecchio regime, la preparazione delle elezioni per un'assemblea costituente entro al massimo un anno per varare una nuova costituzione democratica e stabilire un nuovo regime giuridico, per regolamentare la vita pubblica in modo da garantire i diritti politici, economici e culturali del popolo.
5 - Scioglimento della polizia politica e l'adozione di una nuova politica della sicurezza basata sul rispetto dei diritti umani e il rispetto della legge.
6 - Il processo a tutti coloro che sono colpevoli di furto del denaro del popolo, coloro che hanno commesso crimini contro il popolo come l'imprigionamento, la tortura e l'umiliazione e infine a coloro che sono colpevoli di corruzione e appropriazione indebita di beni pubblici.
7 - L'espropriazione della ex famiglia regnante, dei loro parenti e collaboratori e tutti i funzionari che hanno utilizzato la loro posizione per arricchirsi a spese del popolo.
8 – Creazione posti di lavoro per i disoccupati e misure urgenti per concedere l'indennità di disoccupazione, una maggiore copertura e maggiore potere d'acquisto ai lavoratori.
9 - La costruzione di un'economia nazionale per il popolo, dove i settori strategici siano sotto il controllo dello stato, rinazionalizzazione delle istituzioni che sono state privatizzate, la formulazione di una politica economica e sociale che rompa con l'approccio liberale capitalista.
10 - La sicurezza delle libertà pubbliche e individuali, in particolare la libertà di protestare e di organizzarsi, la libertà di parola, di stampa, informazione e pensiero, il rilascio dei prigionieri, e la promulgazione di una legge per l’amnistia.
11 - Il Fronte si compiace del sostegno delle masse e delle forze progressiste nel mondo arabo e nel mondo per la rivoluzione in Tunisia, e li invita a continuare a sostenerla con ogni mezzo possibile.
12 - La resistenza alla normalizzazione dei rapporti con l'entità sionista, la sua penalizzazione e il sostegno ai movimenti di liberazione nazionale nel mondo arabo e nel mondo intero.
13 - Il Fronte invita le masse e le forze progressiste e nazionaliste a continuare la mobilitazione e la lotta con tutte le forme legittime della protesta, soprattutto nelle strade, fino al raggiungimento gli obiettivi proposti.
14 - Il Fronte accoglie tutti, associazioni, comitati, le forme di autorganizzazione popolare e li invita ad allargare la loro azione a tutto ciò che riguarda gli affari pubblici e vari aspetti della vita quotidiana.

Gloria ai martiri dell'Intifada e vittoria alle masse rivoluzionarie del nostro popolo.


Tunisia, 20 gennaio 2011.


Lega del Lavoro di sinistra

Movimento degli unionisti nasseriani

Movimento dei Nazionalisti Democratici (Al-Watada)

Corrente Baatista

Sinistra Indipendente

Partito Comunista dei Lavoratori della Tunisia

Partito laburista patriottico democratico

26 gennaio 2011

Egitto blindato, il pugno di ferro del regime

Schierati migliaia di agenti antisommossa, centinaia di arresti, cariche della polizia al Cairo e in altre citta'. Ma la rivolta non si ferma. Intanto la Casa Bianca e l'Italia si schierano con il dittatore Mubarak

Roma, 26 gennaio 2011, Nena News – L’Egitto è blindato. Gli arresti preventivi eseguiti la scorsa notte e gli oltre 500 compiuti oggi al Cairo e in altre città, hanno consentito alle forze di sicurezza di contenere la rivolta del Pane della Libertà che ieri, per la prima volta in 30 anni, ha fatto vacillare il regime del presidente-faraone Hosni Mubarak. Al Cairo migliaia di uomini dei reparti antisommossa schierati in Piazza Tahrir e lungo il Nilo, hanno caricato gruppi di manifestanti che in vari quartieri della capitale per tutto il giorno hanno tentato di forzare il blocco e di raggiungere i palazzi delle istituzioni. Scontri sono avvenuti anche nei pressi del Consolato italiano. Bloccata e dispersa nel centro del Cairo una manifestazione congiunta di giornalisti e avvocati. I servizi segreti da parte loro isolato Twitter e, per diverse ore, anche Facebook privando gli organizzatori delle proteste di strumenti vitali di comunicazione. Gli hacker egiziani hanno risposto bloccando i siti web del governo. Poco fa è apparso il primo ministro Ahmed Nazif che prima ha rimarcato il diritto dei giovani a manifestare il loro malessere e poi ha lanciato pesanti avvertimenti nei confronti di coloro che violeranno la legge.

La Casa Bianca intanto fa sapere di seguire «da vicino» gli eventi in Egitto ma Washington ha già affermato il suo pieno sostegno a Mubarak, suo storico alleato in Medio Oriente.

Barack Obama sostiene il diritto dei tunisini alla democrazia, alla libertà e a migliori condizioni di vita ma lo nega agli egiziani. Il governo guidato dal presidente egiziano Hosni Mubarak «è stabile e sta cercando soluzioni per rispondere alle legittime necessità della popolazione». Così si è espressa ieri il Segretario di stato americano, Hillary Clinton, commentando le imponenti manifestazioni antigovernative che si sono tenute in tutte le principali città egiziane e in cui sono rimasti uccisi quattro dimostranti (a Suez) e un poliziotto (al Cairo). Una posizione che spiega bene l’idea che l’Amministrazione Usa ha della democrazia in Medio Oriente e in Nordafrica: i popoli arabi devono rimanere sotto il tallone di regimi brutali se questi svolgono una politica favorevole agli interessi americani nella regione e compiacente nei confronti di Israele. E’ questo il caso dell’Egitto, paese molto diverso dalla Tunisia nelle strategie americane per il ruolo «moderato» che svolge da decenni nel conflitto israelo-palestinese e per la repressione sistematica dei Fratelli Musulmani, ritenuta la più consistente delle forze di opposizione in Egitto. Non solo Washignton ma tutti i governi occidentali rimangono in silenzio di fronte alle farse elettorali organizzate dal regime egiziano – che si concludono immancabilmente con la vittoria schiacciante del partito di Mubarak – perchè elezioni libere e trasparenti potrebbe portare al potere gli islamisti e forze progressiste che, tra le altre cose, si oppongono alla politica compiacente verso gli Usa e Israele che svolge il presidente egiziano, al potere da ben 30 anni.

L’Egitto è blindato. Gli arresti preventivi eseguiti la scorsa notte e gli oltre 500 compiuti oggi al Cairo e in altre città, hanno consentito alle forze di sicurezza di contenere la rivolta del Pane della Libertà che ieri, per la prima volta in 30 anni, ha fatto vacillare il regime del presidente Mubarak. Al Cairo migliaia di uomini dei reparti antisommossa schierati in Piazza Tahrir e lungo il Nilo, hanno caricato gruppi di manifestanti che in vari quartieri della capitale per tutto il giorno hanno tentato di forzare il blocco e di raggiungere i palazzi delle istituzioni. Scontri sono avvenuti anche nei pressi del Consolato italiano. Bloccata e dispersa nel centro del Cairo una manifestazione congiunta di giornalisti e avvocati. I servizi segreti da parte loro isolato Twitter e, per diverse ore, anche Facebook privando gli organizzatori delle proteste di strumenti vitali di comunicazione. Gli hacker egiziani hanno risposto bloccando i siti web del governo. Poco fa è apparso il primo ministro Ahmed Nazif che prima ha rimarcato il diritto dei giovani a manifestare il loro malessere e poi ha lanciato pesanti avvertimenti nei confronti di coloro che violeranno la legge.

La Casa Bianca intanto fa sapere di seguire «da vicino» gli eventi in Egitto ma Washington ha già affermato il suo pieno sostegno a Mubarak, suo storico alleato in Medio Oriente.

Barack Obama sostiene il diritto dei tunisini alla democrazia, alla libertà e a migliori condizioni di vita ma lo nega agli egiziani. Il governo guidato dal presidente egiziano Hosni Mubarak «è stabile e sta cercando soluzioni per rispondere alle legittime necessità della popolazione». Così si è espressa ieri il Segretario di stato americano, Hillary Clinton, commentando le imponenti manifestazioni antigovernative che si sono tenute in tutte le principali città egiziane e in cui sono rimasti uccisi tre dimostranti (a Suez) e un poliziotto (al Cairo). Una posizione che spiega bene l’idea che l’Amministrazione Usa ha della democrazia in Medio Oriente e in Nordafrica: i popoli arabi devono rimanere sotto il tallone di regimi brutali se questi svolgono una politica favorevole agli interessi americani nella regione e compiacente nei confronti di Israele. E’ questo il caso dell’Egitto, paese molto diverso dalla Tunisia nelle strategie americane per il ruolo «moderato» che svolge da decenni nel conflitto israelo-palestinese e per la repressione sistematica dei Fratelli Musulmani, ritenuta la più consistente delle forze di opposizione in Egitto. Non solo Washignton ma tutti i governi occidentali rimangono in silenzio di fronte alle farse elettorali organizzate dal regime egiziano – che si concludono immancabilmente con la vittoria schiacciante del partito di Mubarak – perchè elezioni libere e trasparenti potrebbe portare al potere gli islamisti e forze progressiste che, tra le altre cose, si oppongono alla politica compiacente verso gli Usa e Israele che svolge il presidente egiziano, al potere da ben 30 anni

Sfiorano il ridicolo le dichiarazioni di Franco Frattini. «Speriamo che il presidente Hosni Mubarak continui, come ha sempre fatto, a governare il suo paese con saggezza e lungimiranza», ha commentato il ministro degli esteri italiano ai microfoni di «Radio Anch’Io», pur sapendo che il regime di Mubarak è accusato di crimini e abusi gravissimi. Dopo aver difeso il dittatore tunisino Ben Alì, poi fuggito in Arabia Saudita, ora Frattini si schiera a difesa anche di quello egiziano.

Giorno della Memoria 27 gennaio 2011

Vuoto di memoria

Oltre dieci anni orsono, nel luglio del 2000, l’Italia, aderendo ad una proposta internazionale, istituì la Giornata della Memoria, che si celebra anche in altre nazioni europee, tra cui la Germania e la Gran Bretagna. A Verona, dove il centrodestra ha governato per 10 anni con la sindaca Sironi e i suoi assessori fascisti e dal 2007 governa con il leghista Tosi, le celebrazioni ufficiali, con consegna di medaglie agli ex deportati e/o partigiani e relativo discorso, hanno presentato e presentano sovente un inquietante, doppio aspetto di “vuoto di memoria”.
Da una parte (il pubblico) ci si dimentica cosa hanno fatto e fanno le “autorità” nei restanti 364 giorni dell’anno, dall’altra si finge di esaltare il valore della memoria, salvo poi negarlo nelle pratiche della vita politica quotidiana. Quest’anno le celebrazioni ufficiali, stando al programma diffuso, saranno aperte dalla prefetta Stancari, rappresentante di un governo attualmente in sfacelo, e dal sindaco Flavio Tosi, già condannato in via definitiva per propaganda razzista contro gli zingari, una delle popolazioni vittima dello sterminio nazista. Di quella condanna all’epoca si disse fiero e i primi atti del suo mandato si concretizzarono nello sgombero del centro sociale “La Chimica” e nella chiusura del campo rom di Boscomantico, le famiglie rom disperse in provincia, a carico, si presume, di associazioni, gruppi, comunità di ispirazione cattolica.
Nel dicembre 2007 Tosi non mancò di portare i suoi saluti ai camerati del corteo organizzato dalla destra radicale locale, amichetti dei protagonisti di alcuni recenti fatti di violenza che hanno regalato a Verona l’onore dei titoli nazionali e di quelli che recentemente ci hanno minacciato via mail per l’iniziativa di pulizia dei muri da scritte e cartelli neofascisti. Nel 2008 fu eletto a rappresentare il Comune all’Istituto storico per la Resistenza Andrea Miglioranzi, capogruppo della lista del sindaco in consiglio comunale, di ex Fiamma tricolore, chitarrista del gruppo nazirock Gesta Bellica, già condannato per violenza su un antifascista, poi dimessosi in seguito al battage mediatico sulla sua scandalosa elezione.
Non abbastanza note le amicizie storiche di Tosi, seppur ultimamente rinnegate, con integralisti cattolici vari e preti negazionisti di dubbia fama (ma noi ce lo ricordiamo firmare la mozione contro i diritti degli omosessuali oppure durante la messa riparatrice organizzata dagli integralisti contro la manifestazione gay lesbica e trans del 26 febbraio 2005, con la maglietta che recitava "Noi Romeo e Giulietta voi Sodoma e Gomorra"). Infine le ordinanze e i divieti, da quelli folkloristici, non mangiare panini vicino ai monumenti, non girare a petto nudo o in bikini, a quelli meno folkloristici, il divieto per i senzatetto di stazionare in centro storico, il divieto di suonare per strada dopo le 22 (bar di Piazza Erbe esclusi ma lì il sindaco è di casa), fino agli ultimi recenti rifiuti di incontrare i cittadini che si oppongono alla realizzazione del traforo delle Torricelle e dell’inceneritore di rifiuti di Ca’ del Bue, con relative rumorose assenze in consiglio comunale durante la presentazione del progetto del traforo.
E che dire dell’insediamento di suoi fedelissimi non solo sulla poltrona di importanti assessorati – l’assessore Enrico Corsi è uno dei suoi compagni di merenda nella condanna per propaganda razzista, insieme a Barbara Tosi, attuale capogruppo della Lega in consiglio comunale - ma a capo di qualsivoglia società, istituzione, azienda, dalla Fondazione Arena alle partecipate Agsm, Amia eccetera? Fatti e comportamenti che nulla hanno a che vedere con i valori trasmessi dalla memoria che oggi si va a celebrare, né tantomeno con la democrazia e la costituzione della Repubblica nata dalla Resistenza.
Ci chiediamo e chiediamo ai cittadini di Verona con quale faccia oggi il sindaco Tosi si presenterà a fare il suo discorsetto e magari consegnare qualche medaglia agli ex deportati. Certo ormai, dopo le sue decine di apparizioni in tv, la lezione mediatica l’ha imparata per bene e del resto ha un buon maestro, il suo addetto stampa, peraltro profumatamente pagato, che gli avrà scritto anche il discorso per oggi. Il sindaco forse pensa che basti appendere il ritratto del presidente della Repubblica o dichiararsi a favore dell’Unità d’Italia per dimostrare di essere democratico, mentre offrire ai cittadini “panem et circenses”, pista del ghiaccio in Bra abbinata ai saldi in centro piuttosto che le frequenti fiere gastronomiche di dubbia utilità (e spesso qualità), dimostrerebbe la sua buona amministrazione. In realtà, per non rinnegare la Memoria e i valori condivisi che oggi si celebrano, Tosi dovrebbe rinnegare se stesso. Tutti gli uffici stampa del mondo e le testate giornalistiche compiacenti non basteranno a cancellare la memoria della storia cittadina che questa amministrazione sta scrivendo. Non è una bella pagina, nulla di eroico da trasmettere ai nipoti, nulla di umanamente grande da celebrare. Lo diciamo con amarezza perché anche noi viviamo in questa città e vorremmo vederla davvero, come diceva quella canzone partigiana scritta da Italo Calvino, più umana, più giusta, più libera e lieta. Per questo chiediamo alle autorità presenti e a tutte le persone che terranno dei discorsi di non dimenticare che la Giornata della Memoria è stata istituita per ricordare tutte le vittime dei campi di concentramento nazisti e che tutte queste soggettività vanno nominate.
Senza memoria non c’è futuro.
Antifascit* Verona

“La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati” (art. 1, legge 20 luglio 2000, n. 211).


Marghera, la parte o il tutto?

Si è svolto sabato e domenica il seminario di "Uniti contro la crisi" al centro sociale Rivolta. Protagonisti i centri sociali e il vertice della Fiom. Un'iniziativa utile se serve a rilanciare un movimento unitario e radicale

www.ilmegafonoquotidiano.it

Insieme a molte persone abbiamo seguito il convegno di "Uniti contro la crisi" a Marghera, sabato e domenica scorsi, grazie alla diretta tv di globalproject (leggi qui l'articolo conclusivo di Gianni Rinaldini e Luca Casarini). La nostra è stata una visione mediata anche se una parte delle nostre considerazioni sono ricavate anche da colloqui con chi sul posto c'è stato direttamente. E quindi proviamo a fare una valutazione.
Un po' meno di un migliaio di persone, con molti giovani e giovanissimi, che si riuniscono per due giorni provando a far convergere esperienze di lotta diverse tra loro costituiscono una notizia positiva. E, infatti, abbiamo guardato all'appuntamento veneto con grande attenzione. Perché pensiamo che quel tipo di iniziativa rappresenta la risposta giusta alla fase attuale. Del resto, il logo "Uniti contro la crisi" è stato lanciato per la prima volta due anni fa a Milano, come coordinamento delle fabbriche in lotta, poi è stato ripreso nel corso degi Stati generali contro la precarietà di Milano dello scorso anno. A settembre, poi, la denominazione è stata ripresa da un appello promosso da coloro che hanno dato vita al convegno di Marghera. L'unità dei soggetti colpiti dalla crisi per costruire una resistenza e immaginare un futuro diverso è dunque una prospettiva rilevante, possiamo dire che è centrale almeno dal 2001, da quando, cioè, si diede vita a quel processo di "forum sociali" che ha caratterizzato la stagione del movimento antiglobalizzazione.

A Marghera di questo si è parlato a lungo e si è discusso anche nei singoli workshops, vero cuore collettivo di quell'iniziativa, di come provare a costruire risposte sulle contraddizioni principali della fase: il nodo della conoscenza e dei saperi, i beni comuni, la democrazia e il welfare. Fin qui tutto bene.
I dubbi e gli interrogativi riguardano invece il rischio che l'iniziativa possa assumere quella forma particolare della sineddoche in cui si sostituisce la parte per il tutto. La parte, in questo caso, è l'iniziativa di "alcuni" soggetti sociali, e politici, con una storia ben definita, con collocazioni, identità, progetti, strategie ben chiari, anche se in evoluzione e in cambiamento; il tutto, invece, è un movimento ampio, di massa, formato da altri soggetti oltre a quelli che si sono riuniti a Marghera. Sicuramente non è nelle intenzioni dei promotori ma avendo già vissuto in passato equivoci, divergenze e avendo sperimentato errori e fallimenti, il problema sollevato non ci sembra secondario. Anche perché, non ci sembra di aver sentito ricordare, nelle parole del seminario veneto, l'esigenza di procedere a un allargamento del percorso e a una moltiplicazione degli appuntamenti in grado di costruire una dinamica evolutiva. Anzi, abbiamo percepito proprio il contrario.

A noi sembra invece che da questa necessità non si possa prescindere. Siamo i primi a riconoscere il ruolo "storico" che la Fiom sta svolgendo in questa fase eppure non pensiamo sia inutile costruire unità efficaci con il sindacalismo di base (nonostante i problemi e le contraddizioni che si vivono in questo campo); nemmeno pensiamo che la rivendicazione sacrosanta dello sciopero generale e generalizzato possa costituire la strada per ridare centralità a una Cgil legata mani e piedi alle dinamiche politiche del Partito democratico e del centrosinistra. Soprattutto, pensiamo che sia sempre in agguato il rischio - già corso nel 2003-2006, come ha ricordato Giorgio Cremaschi a Marghera - che l'attività generosa e preziosa dei movimenti sia poi utilizzata come massa di manovra per operazioni politiche: ieri l'Unione nell'alleanza tra Prodi e Bertinotti (apparso nella sessione serale di "Uniti contro la crisi" come "direttore di Alternative per il socialismo"), domani Nichi e le sue fabbriche.

A dissipare queste preoccupazioni, più che l'analisi scientifica di ogni parola detta o intenzione pronunciata, potrà essere il percorso futuro. A partire dalla fase successiva al 28 gennaio e dalla voglia o meno di allargare e spingere all'incontro tra soggetti sociali, di fare assemblee unitarie, comitati, oltre qualsiasi tentazione di una convergenza fatta solo di sigle politiche. Un ruolo importante, poi, lo può giocare il decennale di Genova. Se non si vuole utilizzare questa ricorrenza solo per dare fiato a una nostalgia più o meno dignitosa, l'alternativa resta quella di provare a recuperare lo spirito originario del Controvertice del luglio 2001, il rilancio del binomio "unità e radicalità" e la forza dell'unione tra forze sociali diverse. Pensare che Genova possa essere appannaggio solo di alcune forze costituirebbe la prova dell'errore e non impiegare i mesi che ci separano da luglio per provare a costruire quello che si costruisce in ogni appuntamento internazionale, una "Plenaria dei movimenti sociali", sarebbe un delitto. Uniti contro la crisi è una parola d'ordine giusta che non può prevedere recinti ma che deve sperimentare la più ampia convergenza. Certamente, non a ogni costo, senza accettare veti o pratiche dilatorie ma anche senza imporre simbologie e ritmi precostituiti che negli scorsi dieci anni sono stati solo una ma una delle cause del nostro arretramento complessivo.

25 gennaio 2011

La Camera proroga la guerra

di Enrico Piovesana
www.peacereporter.net


Oggi pomeriggio alla Camera dei Deputati è stato ritualmente approvato – con il solo voto contrario dell'Italia dei Valori – l'ennesimo rifinanziamento semestrale della missione italiana di guerra in Afghanistan, per una spesa di oltre 410 milioni di euro fino al 30 giugno (pari a 2,26 milioni al giorno).

Hanno votato a favore tutti i deputati presenti del Popolo delle Libertà, dell'Unione di Centro, di Futuro e Libertà, della Lega Nord e del Partito Democratico che, anche questa volta, si è limitato alle solite critiche formali sul ricorso del governo allo strumento del decreto-legge che, dice il Pd, impedisce un serio dibattito parlamentare sullo scopo e il senso della missione in Afghanistan. Non è chiaro su cosa vorrebbero dibattere gli esponenti dell'opposizione Pd, visto che, quando come in questo caso hanno la parola, ribadiscono regolarmente il loro sostegno alla missione militare afgana.

"Noi del Pd condividiamo le scelte di fondo, compiute non da oggi e non solo da questo governo, che stanno dietro a questa decreto'', ha detto l'onorevole Mario Barbi. ''Di fronte all'evidente intensificazione degli scontri armati, ritorna la domanda sul senso della nostra presenza in Afghanistan, ma a questa domanda non si può rispondere con leggerezza: noi continuiamo a pensare che l'Italia debba mantenere rigorosamente gli impegni assunti con gli alleati in sede Nato e che non si debbano compiere scelte unilaterali. Un'Afghanistan stabilizzato e non fondamentalista è nell'interesse dell'Italia. I nostri militari in Afghanistan rendono servizio alla pace e al buon nome e all'immagine del nostro paese: l'Italia ne ha bisogno!''.

La parola 'guerra' è stata citata in aula solo dall'Italia dei Valori, che - come aveva già fatto sei mesi fa - ha invece votato contro il rifinanziamento. ''E' stata completamente smarrita la 'mission' originaria della nostra presenza: quella in Afghanistan è diventata a tutti gli effetti una missione di guerra gestita fuori dalla regia del nostro paese'', ha detto l'onorevole Augusto Di Stanislao. ''Dopo dieci anni di intervento internazionale la situazione nel paese è peggiorata sotto ogni punto di vista, a partire dalle condizioni di vita della popolazione per finire con l'aumento delle vittime civili del conflitto. Il quadro è allarmante. Anche per quanto riguarda la transizione della gestione della sicurezza dalla Nato alle forze afgane, che continuano a essere male addestrate e dedite a abusi, corruzione e tossicodipendenza''.

Il decreto sul rifinanziamento della missione afgana passa ora all'esame del Senato per la scontata approvazione finale.

PRECEDENTI VOTAZIONI ALLA CAMERA SULLA MISSIONE AFGANA

21 LUGLIO 2010


Contrari:
21 deputati dell'Italia dei Valori (Francesco Barbato, Antonio Borghesi, Renato Cambursano, Gabriele Cimadoro, Antonio Di Pietro, Augusto Di Stanisalo, Massimo Donadi, Fabio Evangelisti, David Favia, Aniello Formisano, Ignazio Messina, Carlo Monai, Silvana Mura, Leoluca Orlando, Antonio Palagiano, Federico Palomba, Sergio Michele Piffari, Antonio Razzi, Ivan Rota, Domenico Scilipoti, Pierfelice Zazzera)
2 deputati del gruppo misto (Giuseppe Giulietti e Americo Porfidia)
1 deputato della Lega Nord (Matteo Brigandì)

Astenuti:
3 deputati del Partito Democratico (Luisa Bossa, Mario Cavallaro e Donatella Mattesini)
6 deputati radicali del gruppo Pd (Marco Beltrandi, Rita Bernardini, Maria Antonietta Farina Coscioni, Matteo Mecacci, Maurizio Turco, Elisabetta Zamparutti,)
2 deputati del gruppo misto (Maurizio Grassano e Roberto Rolando Nicco).


9 FEBBRAIO 2010

Contrari:
1 deputata del Partito Democratico (Luisa Bossa) ha detto che non è riuscita a esprimere voto contrario.

Astenuti:
8 deputati radicali del gruppo Pd (Maruizio Turco, Marco Beltrandi, Rita Bernardini, Maria Antonietta Farina Coscioni, Matteo Mecacci e Elisabetta Zamparutti, più due deputati del gruppo misto, Giuseppe Giulietti e Roberto Nicco)
3 deputati del Partito Democratico hanno dichiarato che avrebbero voluto astenersi (Enrico Gasbarra, Andrea Sarubbi e Alessandra Siragusa).

24 gennaio 2011

Ci sono alternative alla TAV? Un approfondimento

Mentre si discute in ogni ambito su quale sia il percorso migliore per far passare l'Alta Velocità nel Veneto Orientale (litoraneo o in affiancamento all'A4) sembra che pochi si pongano una domanda più a monte, la maggioranza dando per scontato che la TAV in sé sia utile e irrinunciabile. Per completezza d'informazione ci sembra corretto approfondire almeno una alternativa radicale alla costruzione di una nuova linea.

Fra le domande "scomode": questa è un'opera veramente essenziale per lo sviluppo del Paese? E soprattutto, una volta realizzata, potrà essere veramente sfruttata per migliorare il trasporto di passeggeri e merci attraverso il NordEst? Come abbiamo visto nei precedenti approfondimenti, la nuova linea al pari delle AV finora realizzate non è destinata a essere percorsa dai treni merci; non siamo in condizione di prevedere esattamente il traffico passeggeri del 2015, ma considerando lo stato attuale dei flussi Venezia-Trieste-Slovenia possiamo facilmente supporre che vi transiterebbero soltanto pochi treni ogni giorno (si è parlato di tre coppie, sei corse in tutto!).

1. La situazione al 2010
L'attuale situazione di traffico, sia passeggeri (a lunga percorrenza e a livello regionale) che merci, suddivide la linea Mestre - Trieste in due sub-tratte distinte aventi come punto d’incontro Portogruaro. Questo "punto di rottura" non è tanto frutto di convenzioni politiche (quale individuazione del confine ferroviario fra la Regione del Veneto e la Regione del Friuli Venezia Giulia) bensì presenta elementi oggettivi di diversità. Andando ad analizzare i flussi passeggeri (si veda lo studio del WWF segnalato a fondo pagina) si può notare che solo una minima percentuale di coloro che utilizzano il treno percorrono l'intera tratta, mentre la maggior parte dei viaggiatori si sposta da Portogruaro verso Venezia e da Latisana verso Trieste. In pratica la linea serve due bacini adiacenti e distinti, aventi come poli attrattori i rispettivi capoluoghi di regione; il traffico dominante è di tipo pendolare dalla periferia al centro, e non fra i grandi centri.
Altro elemento facilmente verificabile che porta a distinguere le due sub-tratte è la quantità di treni che quotidianamente percorre i binari, e che ovviamente riflette la domanda di cui sopra. Fra Mestre e Portogruaro il servizio è svolto da 77 treni (56 regionali, 14 a lunga percorrenza e 7 merci), mentre fra Portogruaro e Trieste vi sono 130 treni (46 regionali, 22 passeggeri e 62 merci). Come si vede, la differenza principale sta nel numero di treni merci, in particolare quelli che percorrono la tratta Treviso - Portogruaro e che proprio presso la città del Lemene confluiscono sulla Venezia - Trieste per dirigersi verso est (dati Regione Veneto 2010).

La prima conclusione è che piuttosto che servizi a lunga percorrenza senza fermate, la domanda sembra orientata decisamente sui servizi regionali.

Volendo comunque puntare all'incremento dei servizi a lunga percorrenza, il contesto è tale per cui la linea non si può assolutamente considerare come sovraccarica, anzi: la stessa Rete Ferroviaria Italiana nei propri documenti attesta una percentuale di saturazione della linea compresa fra il 50 e il 75% nelle ore di punta e al di sotto del 50% nelle rimanenti (dati ufficiali). Ci pare scontato ricordare che portare la linea a una saturazione del 100% è controproducente poiché un minimo ritardo o un inconveniente sulla tratta ingenererebbe un "effetto domino" con conseguenze disastrose sulla circolazione; d'altra parte i dati di sfruttamento attuali fanno intravedere margini a sufficienza per consentire un maggiore utilizzo, garantendo comunque ampie fasce per gli interventi manutentivi e per altre necessità correlate alla circolazione.

2. Opere infrastrutturali
I dati sopra esposti garantiscono la possibilità di aumentare il numero di treni che la percorrono, ma la linea Venezia - Trieste non sarebbe ancora competitiva dal punto di vista dei tempi di percorrenza. Attualmente per percorrere i circa 150 chilometri che separano i due capoluoghi i treni più veloci impiegano circa un’ora e mezza. Dunque la velocità media è di circa 100 km/h, a fronte di linee ad Alta Velocità dove questo dato si attesta almeno intorno ai 200 km/h.
Per questa ragione è auspicabile portare i tempi di percorrenza al di sotto della soglia di un'ora, cosa che allo stato attuale non è possibile. Infatti, la velocità massima ammessa sulla linea è di 150 km/h, ancora meno su alcune tratte, e questo limite può essere superato solo con dei miglioramenti infrastrutturali.

Il primo obiettivo sarebbe quello di portare la velocità massima della linea quantomeno a 180-190 km/h (dai 200 km/h in su per questioni normative diventerebbe necessario intervenire pesantemente su tutti i PL e le stazioni) e questo implica interventi su armamento (binari) e catenaria.
Inoltre è necessario potenziare di pari passo i sistemi di sicurezza attualmente in opera: il sistema di blocco in uso attualmente su gran parte della tratta (Blocco Conta Assi) ha esaurito le sue potenzialità ed inizia ad essere un limite anche per i normali convogli regionali. Insieme al blocco andrebbe rivista anche l'organizzazione del segnalamento: un tempo la posizione dei molti segnali ferroviari era determinata dalle stazioni e soprattutto dai passaggi a livello che i segnali proteggevano; ora che questi sono stati per la maggior parte eliminati, le sezioni di blocco, ovvero le tratte fra due segnali che possono essere occupate da un solo treno alla volta, si trovano ad avere una lunghezza irregolare che può arrivare anche alla decina di chilometri. Nell'ottica di ammodernamento della linea ferroviaria, invece, si può pensare di ridisegnare le sezioni di blocco secondo una maggiore uniformità così da permettere un più regolare transito dei treni e minimizzare le attese ai segnali.

Un punto nero della tratta Mestre - Trieste si trova nei pressi di Latisana: infatti, in corrispondenza del ponte sul fiume Tagliamento, persiste una forte limitazione alla velocità dei treni che non possono impegnare le due curve nell'abitato friulano a velocità superiori ai 90 km/h. Questo rappresenta un forte handicap per una tratta veloce ed è di conseguenza proponibile una rettifica del tracciato con un by-pass della lunghezza di circa 6-7 km a nord di Latisana. Poco ad est di Fossalta di Portogruaro e poco ad ovest di Palazzolo dello Stella vi sarebbero i punti di contatto con la linea storica che non verrebbe abbandonata, ma continuerebbe ad essere percorsa da tutti i treni Regionali che continuerebbero a transitare per la stazione di Latisana, mentre il by-pass sarebbe sfruttato solo dai treni veloci che già oggi non fermano. Certo, in questo caso si tratta di realizzare un nuovo ponte sul fiume Tagliamento, due interconnessioni fra la linea storica e la rettifica di tracciato, ma tali opere nel 2010 non ci sembrano di certo proibitive.

Con tutti questi interventi e con un orario studiato appositamente, un ipotetico treno veloce fra Trieste e Mestre, con al massimo una fermata a Portogruaro, può davvero ambire ad un tempo di percorrenza vicino all'ora con una velocità media di circa 150 km/h, competitiva con la velocità media un treno che corre su una linea ad Alta Velocità pura (come è quella di cui si sta discutendo la costruzione) e che impiegherebbe circa 40-45 minuti per collegare i due capoluoghi.

I costi di tutte questi lavori? Difficile stimarlo con precisione, ma prendendo come confronto opere analoghe effettuate su altre direttrici in Italia ed altri lavori realizzati nei dintorni è plausibile pensare debbano essere spese alcune centinaia di milioni di Euro, ma sicuramente si starebbe ben al di sotto del miliardo di Euro, fondi che potrebbero essere reperibili molto più facilmente negli esercizi finanziari dei prossimi anni.

3. Altri interventi
Questi interventi di natura infrastrutturale devono essere necessariamente affiancati da interventi di altra natura. Prima di tutto possiamo pensare che alcuni lavori in corso in questi mesi possano essere sfruttati anche per migliorare la circolazione: pensiamo alla separazione dei flussi nel nodo di Mestre, all'attivazione di impianti ACEI telecomandabili nelle stazioni di Quarto d’Altino (2009) e di Portogruaro (2010) e le eliminazioni dei passaggi a livello che sono intercorse un po' ovunque in questi ultimi anni.
In seguito sarebbe necessario progettare un orario in cui livelli differenziati di servizio ferroviario (Eurostar, Regionali Veloci, Regionali) possano coesistere sugli stessi binari senza che nessuno venga penalizzato dagli altri: per questo è necessario mantenere lungo tutta la linea ferroviaria stazioni che dispongano di binari di precedenza dove i treni più lenti possano lasciar strada ai treni più veloci e riprendere in tempo breve la corsa verso la destinazione.
Infine, poiché la linea che verrà realizzata non avrà tutti quei vincoli propri di una vera linea AV, potrà essere percorsa verosimilmente anche da numerosi treni merci, sia di giorno che di notte. Uno dei propositi potrebbe essere quello di trasferire su rotaia numerosi mezzi pesanti che quotidianamente percorrono la A4, un po’ sul modello delle RoLa, implementando un servizio già esistente e attualmente sottoutilizzato.

4. Conclusioni
Il dato più rilevante a conclusione di questa trattazione, che pure non ha la pretesa di essere esaustiva, è che con costi nettamente inferiori a quelli prospettati per la costruzione della linea ad Alta Velocità (meno di 1 miliardo, a confronto con 6,3 miliardi di Euro) si riuscirebbe ad ottenere una linea ferroviaria rinnovata e maggiormente sfruttabile senza consumo di altro territorio. Inoltre, tali interventi potrebbero essere progettati e realizzati nell’arco di pochi anni e indicativamente per il 2015-2016 tutto ciò che è stato precedentemente descritto potrebbe essere realizzato e usufruibile (contro stime per l'Alta Velocità che variano fra il 2020 e il 2025). Altra cosa da non sottovalutare, è che a beneficiarne non sarebbero solamente i treni a lunga percorrenza che collegheranno il NordEst in tempi più brevi, ma ciò assicurerà una maggiore regolarità del traffico sull’intera linea con minori ritardi anche per i treni dei pendolari. In conclusione, sarebbe più facile avviare in maniera efficace un servizio cadenzato e frequente almeno fra Mestre e Portogruaro in quello che è il progetto della seconda fase del Servizio Ferroviario Metropolitano Regionale.

D'altra parte, le potenzialità residue in termini di capacità e velocità rimarrebbero giocoforza inferiori a quelle di una linea nuova, ad Alta Velocità. Nel valutare alternative come quella che abbiamo provato a descrivere, bisogna chiedersi se le maggiori potenzialità di una TAV siano interessanti e utili; bisogna cioè pensare prima ai servizi che servono e che si vuole sviluppare, e poi alle opere necessarie ad ottenerli; pena il rischio di ritrovarsi fra 15 anni con una linea nuova ma vuota e l'autostrada ancora piena. Queste sono scelte che competono alla politica, insieme alle sovvenzioni per l'autotrasporto e alla progettazione di nuove superstrade.


(da www.ferrovieanordest.it)

20 gennaio 2011

28 gennaio: generalizziamo lo sciopero

"Senza diritti saremmo solo schiavi; senza cuore saremmo solo Marchionne"

La vecchia classe operaia della Fiat, vecchia perché da più di cento anni a Torino si producono autovetture, ma vecchia anche perché l’età media delle lavoratrici e dei lavoratori delle carrozzerie di Mirafiori è circa di 45 anni, ha dimostrato, pur tra le mille difficoltà delle sconfitte subite, di non essersi arresa. Ha dimostrato di saper riconoscere la protervia inaccettabile del vecchio nemico padrone di sempre, la famiglia Agnelli sotto il maglione nero dell’Amministratore delegato, di avere ancora consapevolezza di se stessa, dei suoi diritti e del suo ruolo nella produzione. E’ obbligata dalla condizione di classe a vendere la propria forza lavoro, ma non è disponibile a rinunciare al proprio ruolo antagonista, a diventare una classe marginale di servi.
Molti hanno sottolineato, per altro giustamente, la rivendicazione della dignità, preferisco però parlare di orgoglio operaio perché sono in troppi (tra cui non solo nemici, ma falsi amici) a volerlo interpretare solo come un gesto generoso di nobiltà che non ha però possibilità alcuna di cambiare le cose presenti. Di qui l’invito di alcuni personaggi alla Fiat di essere “magnanima” e di dare qualche spazio alla Fiom, nella speranza che si chiuda così definitivamente la partita per entrare nell’”era marchionne”, cioè del ritorno all’ottocento.
Il voto di Mirafiori deve essere invece interpretato come una proposta di riscossa, come l’allarme di coloro che sulla loro pelle si sono accorti che l’incendio capitalista brucia ogni diritto e sicurezza e che occorre quindi reagire. E’ un atto che sollecita tutte le lavoratrici e lavoratori a sollevarsi, a intervenire, a mobilitarsi unitariamente per ricostruire muovi rapporti di forza per reggere uno scontro inevitabile.
E se mai qualcuno avesse avuto dei dubbi, è lo stesso Marchionne a ricordarlo: i contenuti reazionari introdotti a Pomigliano e a Mirafiori devono diventare la regola per tutto il settore dell’auto. Cassino e Melfi sono già nel mirino. E dietro si affannano tanti altri capitalisti per dire: “voglio anch’io”.

Da Pomigliano a Mirafiori

Il voto di Pomigliano, giunto inaspettato, perché si temeva che il rullo compressore della Fiat e dei suoi complici e il ricatto occupazionale avrebbero fatto tabula rasa dei lavoratori, addomesticandoli alle scelte padronali, ha creato, a Torino, ma anche in tutto il paese. una maggiore consapevolezza tra i lavoratori di dover contrastare il nuovo assalto della Fiat. E’ stato così costruito un ampio e capillare lavoro che ha permesso di ottenere un risultato straordinario sfiorando quasi la vittoria piena.
In realtà se si tiene conto che una ventina di capi hanno votato nel seggio cosiddetto dei pipistrelli (cioè dei lavoratori della notte) il No ha prevalso chiaramente tra gli operai. Solo il voto, non di generici impiegati, ma della concreta gerarchia aziendale ha permesso la vittoria di misura dei si.
E, occorre ricordare, tanto più nel momento in cui Marchionne mastica amaro e parla di una vittoria mediatica della Fiom, che tutto questo è avvenuto in un drammatico isolamento dei lavoratori, con una campagna pro Fiat costruita da giornali e televisioni, dai peggiori sicofanti di ogni categoria, cioè da uno schieramento che attraversa indistintamente centro destra e centro sinistra e che si avvale del ruolo servile e vergognoso di una folta schiera di sindacati gialli. A questa offensiva a si sono opposti solo la Fiom e, nella misura delle loro forze, i sindacati di base. In panchina una CGIL che fino all’ultimo ha cercato di strattonare la Fiom per ricondurla nell’alveo della “moderazione” e dentro la logica del nuovo patto sociale che il gruppo dirigente della Confederazione ricerca da tempo, senza per altro trovare le condizioni e gli interlocutori per realizzarlo.

Classe contro classe
Lo schieramento di fuoco dell’avversario di classe era impressionante e le armi medianiche dei giornali e dei media ad ogni livello, capaci di sparare qualsiasi tipo di menzogna e di falsificazione. E continuano in questi giorni. Le istituzioni, non solo il governo schierato con la Fiat, rinunciatario di qualsiasi idea di politica industriale, che non sia di aiutare i padroni a far la pelle ai lavoratori, ma anche e soprattutto i governi locali, comune, provincia, regione, i dirigenti del centro sinistra di Torino e Piemonte hanno lavorato 24 ore al giorno per far accettare la violenza della Fiat, per convincere i lavoratori che dovevano abbassare il capo, che questo era necessario in nome della concorrenza, della globalizzazione del dio mercato e non sono mancate le preghiere del vescovo, così pietoso oggi da proporre una messa di riconciliazione per riconfermare il ruolo storico reazionario della chiesa.
Se Marchionne ha avuto un merito è quello di aver riprodotto nei suoi termini più puri e chiari lo scontro tra le classi; in questa vicenda tutte le posizioni intermedie sono state tagliate, alla fine c’era solo la barricata; ognuno doveva scegliere se stare coi lavoratori o con il padrone sovrano.
Non solo le varie opzioni politiche e sindacali sono state messe a confronto, ma anche le storie di ognuno dei protagonisti. Le predisposizioni, si sono manifestate a tutti i livelli; i vizi umani e le virtù, come sempre nei momenti cruciali, si sono disvelati fino in fondo, compresi i drammi, le angosce dei lavoratori e lavoratrici concreti posti di fronte ad un sempre più incerto futuro. Un lavoro paziente
Il voto è stato quindi il frutto di una grandissimo e paziente lavoro e di tantissime iniziative che i militanti della Fiom, hanno saputo svolgere, senza dimenticare quanto hanno fatto i sindacati di base e anche il sostegno che le forze di estrema sinistra, a partire da Sinistra critica, (che verso questa fabbrica lavora fin dalla sua nascita 3 anni fa) hanno dato.
I militanti sindacali hanno lavorato per spiegare fin da subito che la bufera di Pomigliano sarebbe arrivata rapidamente anche a Mirafiori. Per questo era stato organizzato uno sciopero con cortei abbastanza ben riusciti a ridosso della vicenda campana. Poi all’inizio di dicembre altri momenti di mobilitazione, con nuovi, se pur difficili cortei verso l’esterno, il successo di una raccolta di firme su un testo per dire no a una proposta che ricopiava quella di Pomigliano. Una gestione tattica del gruppo dirigente della Fiom assai attenta a conquistare gli incerti, mantenendo nello stesso tempo molto ferma la barra del timone, respingendo cioè tutte le pressioni della CGIL e dei vari esponenti del centro sinistra. La combinazione dell’iniziativa dei lavoratori e la presenza di una direzione sindacale che era decisa a difendere diritti fondamentali ha costituito un punto di riferimento, che si è rafforzato con le numerose iniziative intraprese in città per far comprendere a tutti i cittadini la posta in gioco, reso ancor più credibile dalla chiarezza con cui le posizioni sono state difese in televisione.
Torino, ma anche in tutto il paese si è ricominciato a discutere del lavoro, della condizione operaia. La vicenda è diventato fatto politico nazionale, elemento di discrimine sociale e politico. Dopo tanti anni, di fronte alla attività concreta della classe operaia di Mirafiori, anche un settore degli intellettuali è uscito dal suo letargo, dalla sua ignavia e si è schierata con i lavoratori. Si è usciti dal logoro schema dell’unità contro Berlusconi e si è imposta la necessità di combattere insieme Berlusconi e Marchionne come espressione di una unica realtà, quella capitalista.
Travolgenti, bellissime e decisive sono state le assemblee, per la partecipazione, per la determinazione e soprattutto perché hanno sollecitato una attivazione diretta di molti altri lavoratori, non attivisti sindacali. Il clima in fabbrica è diventato chiaramente positivo e favorevole al NO e anche la città si è trovata divisa, ma con una forte simpatia per i lavoratori contro il ricatto e la violenza della direzione aziendale.
Di qui alcune incertezze del fronte sindacale filopadronale negli ultimi giorni e l’intervento diretto dell’azienda nei reparti per sostenere la loro azione. E non può non essere segnalata la notte finale in cui metà del paese seguiva in diretta lo spoglio dei voti, quasi si trattasse di una elezione politica.
Voglio cogliere l’occasione anche di questo articolo di bilancio per esprimere il ringraziamento di Sinistra Critica per il lavoro generoso, infaticabile e bellissimo che i nostri militanti e simpatizzanti di Mirafiori hanno svolto in questa vicenda e che l’organizzazione torinese ha cercato di sostenere con le proprie forze dall’esterno.

Le difficoltà che stanno avanti
Tuttavia occorre cominciare a soffermarsi anche sui compiti che stanno avanti, sulle grandi difficoltà che si debbono affrontare e anche capire che, a questo scontro, non si è arrivati nel migliore dei modi.
E’ evidente che lo scontro è a livello di tutto il gruppo Fiat, come parte della guerra che in questa fase le classi dominanti stanno conducendo contro il movimento dei lavoratori.
La Fiom era partita dalla convinzione, per altro ribadita anche nelle prese di posizioni del suo comitato centrale, che la lo scontro era una vertenza che riguardava tutto il gruppo e che come tale andava affrontata. La realtà si è rivelata non solo difficile, ma anche profondamente diversa, perché la Fiat ha saputo imporre una gestione frammentata, la divisione dei vari stabilimenti; il sindacato è stato incapace di reggere lo scontro sul terreno generale e costretto a una difesa fabbrica per fabbrica: prima Termini Imerese, poi Pomigliano, poi Mirafiori. La grande manifestazione del 16 ottobre non è stato il trampolino per quello sciopero generale, anche solo dei meccanici, che sarebbe stato necessario. Certo ne conoscevamo le difficoltà a partire dal fatto che la categoria dei meccanici è indebolita da dosi massicci di cassa integrazione, cioè di non presenza all’interno delle fabbriche, di decine e decine di migliaia di lavoratori e che la Fiat e l’indotto ne sono stati particolarmente colpiti, rendendo ardue risposte efficaci. Resta il fatto che alla fine lo scontro è avvenuto nelle condizioni più difficili, compreso il fatto che neppure si è riusciti a tenere insieme tutto lo stabilimento di Mirafiori con la divisione della carrozzeria dal resto della fabbrica. Occorre ricordare che in questo sito produttivo non lavorano solo i 5.500 delle carrozzerie, ma circa 13.000 lavoratori, oggi ricomposti nella sola Fiat Auto, dopo la recente scissione della casa madre nelle due società.
Resta soprattutto il fatto che i contenuti dell’accordo, cioè le imposizioni di Marchionne sono oggi in campo e che la Fiat passa all’incasso. Naturalmente il piano aziendale è quanto mai fumoso e tutti gli analisi seri ne hanno messo in luce le ambiguità e, per altro l’A.D. continua a non scoprire realmente le sue carte. L’importante era affermare l’arbitrio padronale.

L’unità delle lotte
La strada per rimettere, come è necessario, in discussione l’accordo è tutta in salita ed è resa ancora più complicata dal fatto che i lavoratori interessati, nel prossimo anno, avranno poche possibilità e pochi giorni per ritrovarsi uniti in fabbrica, nella produzione, perché saranno in cassa integrazione ordinaria fino al 14 febbraio e poi in cassa integrazione straordinaria (per eventi imprevisti?!), a cui seguirà, forse, a metà del prossimo anno, la riassunzione a scaglioni nella nuova azienda.
Inoltre il piano Fiat oltre ad essere assai improbabile, è anche discutibile sul piano produttivo vero e proprio. Fare Suv non è la scelta più felice dal punto di vista sociale ed ambientale. Inoltre la realtà del gruppo Fiat per quella che l’abbiamo conosciuta è finita. Siamo davanti a uno scenario diverso.
E’ difficile pensare a uno sviluppo reale ed equilibrato lasciando le scelte nelle mani della proprietà, tanto più sapendo che l’obbiettivo della famiglia Agnelli è di liberarsi infine del fardello del settore auto.
La necessità dell’intervento pubblico, delle nazionalizzazioni, la necessità di altri piani di sviluppo che sappiano dare garanzie di lavoro vero, di occupazione e di rispetto dei vincoli ambientali si pone dunque e questo pone anche il problema di riconversioni possibili e necessarie.
I lavoratori, la Fiom e i sindacati di base sono dunque chiamati a nuovi difficili compiti per trasferire il successo e la credibilità conquistata col referendum su un nuovo terreno di azione e di intervento. Ma è proprio qui che si pone ancora con maggiore forza la questione della unità tra le varie aziende, dell’unità dei meccanici, ma anche l’unità con le altre categorie e con il mondo esterno, cioè con la dimensione spaventosa dei lavoratori precari e con gli altri movimenti sociali.
E’ difficile pensare di poter resistere all’offensiva determinata del padronato senza ricostruire una schieramento unitario di queste dimensioni.
E la forza sindacale, tante volte interpellata in questi mesi, per la sua storia e per la sua forza organizzativa, la CGIL, che dovrebbe essere deputata a essere il punto di riferimento per l’organizzazione dello sciopero generale e di una risposta unitaria su un programma che tenga insieme i diversi bisogni e obbiettivi, guarda altrove, insegue un nuovo compromesso con la Confindustria, lascia sola, come ha fatto in questi mesi, la Fiom, anzi lascia soli e divisi i lavoratori.
L’unità va quindi conquistata sul campo, con una azione di base, la più ampia possibile, con un impegno unitario e non conflittuale tra tutti i sindacati che vogliono difendere una posizione di classe e con una Fiom che deve saper non solo essere un punto di riferimento, ma anche di contribuire a trovare gli strumenti organizzativi e di obbiettivi per una movimento complessivo che si esprima già nella giornata del 28 gennaio, ma che possa poi radicarsi, svilupparsi nelle settimane e mesi successivi. Va da se che questa è la condizione per sconfiggere l’offensiva di Marchionne, della Confindustria, per cacciare il governo Berlusconi e di difendersi da quello che potrà succedergli.

Sinistra Critica - Organizzazione per la Sinistra Anticapitalista

Oltre 2 milioni al giorno per la guerra

di Enrico Piovesana
www.peacereporter.net

Lunedì
, 24 gennaio, la Camera dei Deputati vota il diciannovesimo rifinanziamento semestrale della missione italiana di guerra in Afghanistan.
Per i 181 giorni di campagna militare che vanno dal 1° gennaio al 30 giugno 2011, è prevista una spesa complessiva di oltre 410 milioni di euro, vale a dire più di 68 milioni al mese (2,26 milioni al giorno).

Un ulteriore incremento rispetto ai 393 milioni (65 al mese) del secondo semestre 2010, causato dall'invio al fronte di nuovi rinforzi che hanno portato il nostro contingente a 4.200 uomini, 883 mezzi terrestri (tra blindati leggeri e pesanti, carri armati, camion e ruspe) e 34 velivoli (tra caccia-bombardieri, elicotteri da combattimento e da trasporto e droni).

Vediamo i dettagli di spesa. 380,77 milioni di euro per il mantenimento del contingente militare schierato in Afghanistan, 12,17 milioni per il personale militare della missione (125 uomini e 6 mezzi) che opera nelle basi americane negli Emirati Arabi Uniti, in Bahrein e in Florida (Usa), 2,1 milioni per il personale della Guardia di Finanza (Isaf, Eupol e Jmous) e 5 milioni per le operazioni d'intelligence degli 007 dell'Aise (l'ex Sismi).

Ancora: 6,37 milioni per le operazioni militari 'Cimic' a favore della popolazione locale (aiuti in cambio di intelligence), 1,5 milioni per il sostegno e l'addestramento alle forze armate afgane tramite il fondo fiduciario Nato e 2,19 milioni per ''interventi operativi di emergenza e di sicurezza per la tutela dei cittadini e degli interessi italiani'' in Afghanistan motivati da ''l'ulteriore considerevole deterioramento della situazione di sicurezza nel Paese e dalla segnalazione di una specifica minaccia di sequestri di persona''.

Fuori dalle spese militari e 'paramilitari', troviamo il sempre più striminzito finanziamento alle iniziative di cooperazione allo sviluppo: 16,5 milioni di euro (contro i 18,7 del secondo semestre 2010) che serviranno a pagare progetti di ricostruzione e di assistenza umanitaria e anche a organizzare una conferenza regionale della società civile per l'Afghanistan, in collaborazione con la rete di organizzazioni non governative 'Afghana.org' (associazione promossa da Arci, Lunaria e Lettera22).

In nove anni e mezzo (compreso quindi il rifinanziamento attualmente in esame), questa inutile campagna militare ha risucchiato dalle esangui casse dello Stato più di 3 miliardi di euro.
Merita ripercorrere la progressione annuale del costo della missione bellica afgana: 70 milioni di euro nel 2002, 68 nel 2003, 109 nel 2004, 204 nel 2005, 279 nel 2006, 336 nel 2007, 349 nel 2008, 540 nel 2009, 773 nel 2010 e (di questo passo) almeno 820 milioni nel 2011.

Salerno 27 gennaio: processo a Casa Pound

Il 27 gennaio 2011 avrà luogo presso il Tribunale di Salerno la terza udienza contro quattro giovani legati a Casa Pound Campania (Guido D’Amore, Vito Mercurio, Raffaele Marino e Luca Lezzi) accusati per apologia di fascismo, discriminazione razziale, vilipendio ai partigiani,furto e devastazione del C.S.A. Asilo Politico.
Ma chi sono questi personaggi?
Guido d’Amore, 27 anni, prima coordinatore di Forza Nuova, oggi segretario di Salerno Futurista; Vito Mercurio, 26 anni, coordinatore provinciale di Forza Nuova, da sempre impegnato in una battaglia truculenta contro gli omosessuali; Raffaele Marino, 24 anni, prima responsabile di Lotta Studentesca, oggi vicino a Blocco Studentesco e Luca Lezzi prima militante di Forza Nuova, ora responsabile regionale per la cultura di CPI Campania.

Questi “bravi ragazzi” erano già noti per diverse bravate: aver effettuato in manifestazioni pubbliche il saluto romano; “aver festeggiato” il 25 aprile 2007 impiccando dei fantocci al balcone del palazzo dell’ex pretura di Cava con appesi al collo cartelli con scritte contro i partigiani (come facevano i nazisti); aver devastato nella notte tra il 12 e 13 giugno il centro sociale Asilo Politico di Salerno dando fuoco a mobili e suppellettili, manomettendo l’impianto idrico e provocando l’allagamento dei locali, inneggiando ai NAR ed abbandonandosi a scritte oltraggiose; aver detenuto striscioni con svastiche e croci celtiche, materiale di propaganda antisemita e armi bianche, manganelli e fionde.
Ma cos è Casa Pound?
Casa Pound Italia è un’associazione di promozione sociale registrata, presente ed operante in tutte le regioni d’Italiadal 2008. Si definiscono i fascisti del terzo Millennio. Si ispirano al poeta americano Ezra Pound, intellettuale amato dalla destra. Il valore delle sue poesie è universalmente riconosciuto e fa passare in secondo piano il suo ruolo alla corte di Mussolini fino agli ultimi giorni di Salò, in una militanza mai abiurata. La chiave, la strategia di questa organizzazione è l’omissione, la mimeticità, l’ambiguità: contenuti sociali, tradizione e buoni propositi che convivono con ideali da trogloditi, esaltazione della razza e con un’esplicita attitudine allo scontro fisico. Per definizione un’associazione di promozione sociale deve svolgere attività di utilità sociale a favore di associati o di terzi, senza finalità di lucro e nel pieno rispetto della libertà e dignità degli associati. Non ci risulta che la devastazione sia un attività sociale!?! La forma associativa, grazie anche all’intervento di partiti di destra al potere, permette loro di poter accedere (e “vincere”) ai vari bandi sociali e culturali di comuni, provincia e regioni. A Salerno infatti grazie a questa copertura si sono guadagnati una sede comunale (a Torrione) nel quale “erogano servizi alla cittadinanza”. L’ultima iniziativa in programma è un concerto di autofinanziamento per le spese processuali dei camerati per il processo del 27. Autofinanziamento!?! Dopo aver devastato, incendiato, rubato in un Centro Sociale AUTOGESTITO, che da sempre si è dimostrato nei fatti, e non a parole, al fianco del popolo dei senza diritti, impegnato nelle lotte per il lavoro, per il diritto allo studio, per il diritto alla salute, per la casa; che si regge sull’Autofinanziamento e sul reale impegno dei Compagni, senza l’aiuto di signorotti e di compromessi; che con le proprie iniziative ridà voce alla memoria storica, e non cerca di cancellarla e offenderla; questi quattro servetti hanno il coraggio di chiedere un aiuto economico a seguito dei loro reati? Cioè invece di risarcire chi i danni li ha subiti, premiamo chi li ha fatti?
In vista del 27 Gennaio, giornata della memoria, e data del processo contro quattro esponenti di Casa Pound, il c.s.a. Asilo Politico ospiterà sul proprio palco Luca Persico, in arte O’ Zulù. Sempre presente nelle lotte antifasciste, nel sociale e soprattutto nei movimenti, porterà il suo contributo sabato 22 gennaio alle ore 22.30. La serata sarà momento di riflessione ed analisi sulle nuove strategie di lotta e sulla memoria. Interverrà anche il comitato per lo sciopero generale, attivo nelle varie lotte sociali, riproponendo l’unità dei movimenti per il diritto al lavoro, per la scuola e l’università pubblica, per la difesa dell’ambiente e dei beni comuni, rilanciando anche lo sciopero generale del 28 gennaio.

Molto importante sarà la giornata del 23 gennaio, nella quale il Comitato (C.S.A AsiloPolitico, Radio Vostok, C.S.A. Bastian Contrari, Collettivo no Pasaràn, PCL, Sinistra Critica) proporrà uno Spettacolo Teatrale su vecchi e (non) nuovi fascismi e in apertura un Seminario tenuto dal professore Alfonso Amendola (UNISA) ‘Pasolini e il Mezzogiorno’ presso il Centro polifunzionale il Girasole Via massimo d’Azeglio n°1 Quartiere S.Eustachio.

19 gennaio 2011

GLI AFFARI DEL VENETO IN BRASILE E IL CASO BATTISTI

di Massimo Carlotto


Massimo Carlotto, nel 2004 tra gli scrittori firmatari di un appello pro-Battisti e oggi tra coloro che la regione Veneto vuole boicottare nelle biblioteche, spiega la inquietante mossa propagandista dell'assesore Speranzon (nella foto a destra)


La presa di distanza del presidente della provincia di Venezia, Francesca Zaccariotto, dall’iniziativa di Raffaele Speranzon non deve ingannare nessuno. È arrivata solo quando la posizione del suo assessore era diventata indifendibile e troppo costosa dal punto di vista politico. E sarebbe un errore ritenere che la faccenda sia finita qui. Marino Zorzato, assessore regionale (PdL) alla cultura è stato molto chiaro in questo senso “…Come partito liberale ci è difficile immaginare una censura. Si potrebbe invece individuare un meccanismo per informare, rendere evidente all’utente chi sia l’autore e quale posizione ha assunto sul caso Battisti”.
È chiaro quindi che la lista di proscrizione di fatto non verrà ritirata e i libri degli scrittori, additati come complici di Battisti per aver firmato un appello in sua difesa nel 2004, spariranno silenziosamente dagli scaffali di molte biblioteche. Come, comunque, sta già accadendo anche per altri autori.
Se Zaccariotto si defila in ritardo, a Speranzon e a Paride Costa resta il compito di tenere viva la polemica.
Approfittando di una provvidenziale lettera minatoria giunta al figlio di una vittima, l’assessore ha dichiarato: “alla luce di questa situazione gli appelli alla liberazione di Battisti risultano ancora più odiosi. Speravo che proponendo un boicottaggio dei libri di chi appoggia questo criminale, alcuni di questi scrittori provassero un senso di vergogna nei confronti dei familiari delle vittime del terrorismo e togliessero le firme da quell’orribile appello”.
L’accostamento mediatico delle minacce al figlio di Lino Sabbadin alle polemiche sull’appello firmato dagli scrittori è l’ennesima porcata di questa vicenda. Serve a suggerire un clima di contiguità al terrorismo che non è mai esistito, come è pura follia ipotizzare l’esistenza di un gruppo armato che potrebbe agire in nome di Battisti (Il Gazzettino, 18.1.2011, pag.9).
Chiunque sia l’autore è solo un povero (e utile) idiota. Speculare sulla vicenda è puramente strumentale.
Paride Costa, invece, come si legge su La Nuova Venezia, ha rilanciato l’iniziativa del boicottaggio degli scrittori agli assessori regionali Zorzato e Donazzan (nota per aver proposto l’insegnamento obbligatorio della Bibbia). L’esponente del PdL chiede che l’iniziativa del sindacato di polizia Coisp sia allargata a tutto il Veneto, attraverso gli assessori provinciali e comunali. “Si deve mantenere alto il livello di guardia finché non si esprimerà il Supremo tribunale federale brasiliano sulla richiesta di estradizione in Italia”.
Ad ascoltare e leggere le dichiarazioni bellicose del governo nazionale e locale sul Brasile e sul suo presidente per aver negato l’estradizione di Battisti, si ha l’impressione che i rapporti tra i due paesi siano ai ferri corti e che l’Italia non abbia la minima intenzione di accettare il rifiuto dell’estradizione. Dal ministro La Russa all’ex Doge Galan sono state minacciate conseguenze durissime sul piano politico-economico-commerciale - turistico.
Balle. Non solo non sta accadendo nulla di tutto questo ma il Veneto, mentre si sviluppava il caso Battisti, è diventata la regione italiana con il maggior numero di interessi economici in Brasile. Aziende, banche, intrecci azionari, impulso e sviluppo turistico… sotto la ferrea guida politica della Regione Veneto.
Il 2 novembre 2010, mentre si attendeva la risposta di Lula sulla domanda di estradizione, l’assessore al commercio estero Marino Finozzi (Lega) riferiva nella delibera della Giunta Regionale n. 2610: “… è da rilevare, quale fattore importante di sviluppo delle relazioni economiche – e turistiche nella fattispecie – il forte legame del Brasile con l’Italia, e con il Veneto in particolar modo, in virtù della presenza di cittadini di origine veneta… che assommano complessivamente a circa sette milioni, e che sono in grado di costituire da soli una domanda turistica potenziale verso la nostra regione.
… Occorre presentare l’identità culturale più profonda del Veneto, il sistema di valori sociali, lo stile di vita e le radici storiche, partendo dagli elementi di vicinanza con il popolo brasiliano”.
Tutto questo per giustificare la spesa di 185.000 euro per la partecipazione al 22° Festival del Turismo di Gramado, che si è tenuto dal 18 al 21 novembre 2010, dove del caso Battisti non si è parlato. Nemmeno una parola.
A differenza di quanto si vuol far credere la comunità italo-brasiliana, divisa tra favorevoli e contrari all’estradizione, nel suo complesso non ha gradito i toni usati dai politici italiani e questo, si sa, nuoce agli affari. Insomma il mondo politico – imprenditoriale – finanziario veneto si guarda bene dall’agitare il caso Battisti in Brasile e i partiti locali si limitano a quelle piccole azioni che fanno giusto notizia in Italia ma lì passano inosservate. Una delle prove più evidenti è che lo stesso Speranzon ha accuratamente evitato di aggiungere alla lista degli scrittori italiani quella degli autori brasiliani che hanno firmato l’appello per Battisti. Si sarebbe scatenato un putiferio a livello internazionale e l’immagine dell’Italia è già sufficientemente ridicolizzata.
Quello che deve essere chiaro è che il messaggio della Regione Veneto è che non c’è nessun problema tra Italia e Brasile e che quello che interessa è il “trend economico di crescita dell’economia brasiliana particolarmente elevato, che lo colloca in questo periodo storico tra le economie emergenti, in grado di alimentare, sia sul mercato interno, che sul mercato estero, una forte domanda di beni di consumo e di servizi..”.
PdL e Lega ingannano l’opinione pubblica e il loro stesso elettorato. Fingono sdegno e riprovazione ma solo a livello nazionale, scegliendo di attaccare gli obiettivi più facili. All’interno di questa logica è nata in Veneto l’iniziativa contro gli scrittori, pensando che nessuno “osasse” prendere posizione a loro favore. Così non è stato.
Ormai è evidente che la strumentalizzazione mediatica del caso Battisti è gigantesca e offre ottime opportunità di esposizione ai politici che faticano a farsi notare, ed è in grado di alleggerire quella del Premier e dei suoi amici perennemente alle prese con scandali sempre più difficili da gestire. E, infine, è utile a criminalizzare e delegittimare il dissenso…
Opporre la verità alla menzogna organizzata è sempre più un dovere per coloro che sognano un Paese civile.

(da www.ilmegafonoquotidiano.it)