La vecchia classe operaia della Fiat, vecchia perché da più di cento anni a Torino si producono autovetture, ma vecchia anche perché l’età media delle lavoratrici e dei lavoratori delle carrozzerie di Mirafiori è circa di 45 anni, ha dimostrato, pur tra le mille difficoltà delle sconfitte subite, di non essersi arresa. Ha dimostrato di saper riconoscere la protervia inaccettabile del vecchio nemico padrone di sempre, la famiglia Agnelli sotto il maglione nero dell’Amministratore delegato, di avere ancora consapevolezza di se stessa, dei suoi diritti e del suo ruolo nella produzione. E’ obbligata dalla condizione di classe a vendere la propria forza lavoro, ma non è disponibile a rinunciare al proprio ruolo antagonista, a diventare una classe marginale di servi.
Molti hanno sottolineato, per altro giustamente, la rivendicazione della dignità, preferisco però parlare di orgoglio operaio perché sono in troppi (tra cui non solo nemici, ma falsi amici) a volerlo interpretare solo come un gesto generoso di nobiltà che non ha però possibilità alcuna di cambiare le cose presenti. Di qui l’invito di alcuni personaggi alla Fiat di essere “magnanima” e di dare qualche spazio alla Fiom, nella speranza che si chiuda così definitivamente la partita per entrare nell’”era marchionne”, cioè del ritorno all’ottocento.
Il voto di Mirafiori deve essere invece interpretato come una proposta di riscossa, come l’allarme di coloro che sulla loro pelle si sono accorti che l’incendio capitalista brucia ogni diritto e sicurezza e che occorre quindi reagire. E’ un atto che sollecita tutte le lavoratrici e lavoratori a sollevarsi, a intervenire, a mobilitarsi unitariamente per ricostruire muovi rapporti di forza per reggere uno scontro inevitabile.
E se mai qualcuno avesse avuto dei dubbi, è lo stesso Marchionne a ricordarlo: i contenuti reazionari introdotti a Pomigliano e a Mirafiori devono diventare la regola per tutto il settore dell’auto. Cassino e Melfi sono già nel mirino. E dietro si affannano tanti altri capitalisti per dire: “voglio anch’io”.
Da Pomigliano a Mirafiori
Il voto di Pomigliano, giunto inaspettato, perché si temeva che il rullo compressore della Fiat e dei suoi complici e il ricatto occupazionale avrebbero fatto tabula rasa dei lavoratori, addomesticandoli alle scelte padronali, ha creato, a Torino, ma anche in tutto il paese. una maggiore consapevolezza tra i lavoratori di dover contrastare il nuovo assalto della Fiat. E’ stato così costruito un ampio e capillare lavoro che ha permesso di ottenere un risultato straordinario sfiorando quasi la vittoria piena.
In realtà se si tiene conto che una ventina di capi hanno votato nel seggio cosiddetto dei pipistrelli (cioè dei lavoratori della notte) il No ha prevalso chiaramente tra gli operai. Solo il voto, non di generici impiegati, ma della concreta gerarchia aziendale ha permesso la vittoria di misura dei si.
E, occorre ricordare, tanto più nel momento in cui Marchionne mastica amaro e parla di una vittoria mediatica della Fiom, che tutto questo è avvenuto in un drammatico isolamento dei lavoratori, con una campagna pro Fiat costruita da giornali e televisioni, dai peggiori sicofanti di ogni categoria, cioè da uno schieramento che attraversa indistintamente centro destra e centro sinistra e che si avvale del ruolo servile e vergognoso di una folta schiera di sindacati gialli. A questa offensiva a si sono opposti solo la Fiom e, nella misura delle loro forze, i sindacati di base. In panchina una CGIL che fino all’ultimo ha cercato di strattonare la Fiom per ricondurla nell’alveo della “moderazione” e dentro la logica del nuovo patto sociale che il gruppo dirigente della Confederazione ricerca da tempo, senza per altro trovare le condizioni e gli interlocutori per realizzarlo.
Classe contro classe
Lo schieramento di fuoco dell’avversario di classe era impressionante e le armi medianiche dei giornali e dei media ad ogni livello, capaci di sparare qualsiasi tipo di menzogna e di falsificazione. E continuano in questi giorni. Le istituzioni, non solo il governo schierato con la Fiat, rinunciatario di qualsiasi idea di politica industriale, che non sia di aiutare i padroni a far la pelle ai lavoratori, ma anche e soprattutto i governi locali, comune, provincia, regione, i dirigenti del centro sinistra di Torino e Piemonte hanno lavorato 24 ore al giorno per far accettare la violenza della Fiat, per convincere i lavoratori che dovevano abbassare il capo, che questo era necessario in nome della concorrenza, della globalizzazione del dio mercato e non sono mancate le preghiere del vescovo, così pietoso oggi da proporre una messa di riconciliazione per riconfermare il ruolo storico reazionario della chiesa.
Se Marchionne ha avuto un merito è quello di aver riprodotto nei suoi termini più puri e chiari lo scontro tra le classi; in questa vicenda tutte le posizioni intermedie sono state tagliate, alla fine c’era solo la barricata; ognuno doveva scegliere se stare coi lavoratori o con il padrone sovrano.
Non solo le varie opzioni politiche e sindacali sono state messe a confronto, ma anche le storie di ognuno dei protagonisti. Le predisposizioni, si sono manifestate a tutti i livelli; i vizi umani e le virtù, come sempre nei momenti cruciali, si sono disvelati fino in fondo, compresi i drammi, le angosce dei lavoratori e lavoratrici concreti posti di fronte ad un sempre più incerto futuro. Un lavoro paziente
Il voto è stato quindi il frutto di una grandissimo e paziente lavoro e di tantissime iniziative che i militanti della Fiom, hanno saputo svolgere, senza dimenticare quanto hanno fatto i sindacati di base e anche il sostegno che le forze di estrema sinistra, a partire da Sinistra critica, (che verso questa fabbrica lavora fin dalla sua nascita 3 anni fa) hanno dato.
I militanti sindacali hanno lavorato per spiegare fin da subito che la bufera di Pomigliano sarebbe arrivata rapidamente anche a Mirafiori. Per questo era stato organizzato uno sciopero con cortei abbastanza ben riusciti a ridosso della vicenda campana. Poi all’inizio di dicembre altri momenti di mobilitazione, con nuovi, se pur difficili cortei verso l’esterno, il successo di una raccolta di firme su un testo per dire no a una proposta che ricopiava quella di Pomigliano. Una gestione tattica del gruppo dirigente della Fiom assai attenta a conquistare gli incerti, mantenendo nello stesso tempo molto ferma la barra del timone, respingendo cioè tutte le pressioni della CGIL e dei vari esponenti del centro sinistra. La combinazione dell’iniziativa dei lavoratori e la presenza di una direzione sindacale che era decisa a difendere diritti fondamentali ha costituito un punto di riferimento, che si è rafforzato con le numerose iniziative intraprese in città per far comprendere a tutti i cittadini la posta in gioco, reso ancor più credibile dalla chiarezza con cui le posizioni sono state difese in televisione.
Torino, ma anche in tutto il paese si è ricominciato a discutere del lavoro, della condizione operaia. La vicenda è diventato fatto politico nazionale, elemento di discrimine sociale e politico. Dopo tanti anni, di fronte alla attività concreta della classe operaia di Mirafiori, anche un settore degli intellettuali è uscito dal suo letargo, dalla sua ignavia e si è schierata con i lavoratori. Si è usciti dal logoro schema dell’unità contro Berlusconi e si è imposta la necessità di combattere insieme Berlusconi e Marchionne come espressione di una unica realtà, quella capitalista.
Travolgenti, bellissime e decisive sono state le assemblee, per la partecipazione, per la determinazione e soprattutto perché hanno sollecitato una attivazione diretta di molti altri lavoratori, non attivisti sindacali. Il clima in fabbrica è diventato chiaramente positivo e favorevole al NO e anche la città si è trovata divisa, ma con una forte simpatia per i lavoratori contro il ricatto e la violenza della direzione aziendale.
Di qui alcune incertezze del fronte sindacale filopadronale negli ultimi giorni e l’intervento diretto dell’azienda nei reparti per sostenere la loro azione. E non può non essere segnalata la notte finale in cui metà del paese seguiva in diretta lo spoglio dei voti, quasi si trattasse di una elezione politica.
Voglio cogliere l’occasione anche di questo articolo di bilancio per esprimere il ringraziamento di Sinistra Critica per il lavoro generoso, infaticabile e bellissimo che i nostri militanti e simpatizzanti di Mirafiori hanno svolto in questa vicenda e che l’organizzazione torinese ha cercato di sostenere con le proprie forze dall’esterno.
Le difficoltà che stanno avanti
Tuttavia occorre cominciare a soffermarsi anche sui compiti che stanno avanti, sulle grandi difficoltà che si debbono affrontare e anche capire che, a questo scontro, non si è arrivati nel migliore dei modi.
E’ evidente che lo scontro è a livello di tutto il gruppo Fiat, come parte della guerra che in questa fase le classi dominanti stanno conducendo contro il movimento dei lavoratori.
La Fiom era partita dalla convinzione, per altro ribadita anche nelle prese di posizioni del suo comitato centrale, che la lo scontro era una vertenza che riguardava tutto il gruppo e che come tale andava affrontata. La realtà si è rivelata non solo difficile, ma anche profondamente diversa, perché la Fiat ha saputo imporre una gestione frammentata, la divisione dei vari stabilimenti; il sindacato è stato incapace di reggere lo scontro sul terreno generale e costretto a una difesa fabbrica per fabbrica: prima Termini Imerese, poi Pomigliano, poi Mirafiori. La grande manifestazione del 16 ottobre non è stato il trampolino per quello sciopero generale, anche solo dei meccanici, che sarebbe stato necessario. Certo ne conoscevamo le difficoltà a partire dal fatto che la categoria dei meccanici è indebolita da dosi massicci di cassa integrazione, cioè di non presenza all’interno delle fabbriche, di decine e decine di migliaia di lavoratori e che la Fiat e l’indotto ne sono stati particolarmente colpiti, rendendo ardue risposte efficaci. Resta il fatto che alla fine lo scontro è avvenuto nelle condizioni più difficili, compreso il fatto che neppure si è riusciti a tenere insieme tutto lo stabilimento di Mirafiori con la divisione della carrozzeria dal resto della fabbrica. Occorre ricordare che in questo sito produttivo non lavorano solo i 5.500 delle carrozzerie, ma circa 13.000 lavoratori, oggi ricomposti nella sola Fiat Auto, dopo la recente scissione della casa madre nelle due società.
Resta soprattutto il fatto che i contenuti dell’accordo, cioè le imposizioni di Marchionne sono oggi in campo e che la Fiat passa all’incasso. Naturalmente il piano aziendale è quanto mai fumoso e tutti gli analisi seri ne hanno messo in luce le ambiguità e, per altro l’A.D. continua a non scoprire realmente le sue carte. L’importante era affermare l’arbitrio padronale.
L’unità delle lotte
La strada per rimettere, come è necessario, in discussione l’accordo è tutta in salita ed è resa ancora più complicata dal fatto che i lavoratori interessati, nel prossimo anno, avranno poche possibilità e pochi giorni per ritrovarsi uniti in fabbrica, nella produzione, perché saranno in cassa integrazione ordinaria fino al 14 febbraio e poi in cassa integrazione straordinaria (per eventi imprevisti?!), a cui seguirà, forse, a metà del prossimo anno, la riassunzione a scaglioni nella nuova azienda.
Inoltre il piano Fiat oltre ad essere assai improbabile, è anche discutibile sul piano produttivo vero e proprio. Fare Suv non è la scelta più felice dal punto di vista sociale ed ambientale. Inoltre la realtà del gruppo Fiat per quella che l’abbiamo conosciuta è finita. Siamo davanti a uno scenario diverso.
E’ difficile pensare a uno sviluppo reale ed equilibrato lasciando le scelte nelle mani della proprietà, tanto più sapendo che l’obbiettivo della famiglia Agnelli è di liberarsi infine del fardello del settore auto.
La necessità dell’intervento pubblico, delle nazionalizzazioni, la necessità di altri piani di sviluppo che sappiano dare garanzie di lavoro vero, di occupazione e di rispetto dei vincoli ambientali si pone dunque e questo pone anche il problema di riconversioni possibili e necessarie.
I lavoratori, la Fiom e i sindacati di base sono dunque chiamati a nuovi difficili compiti per trasferire il successo e la credibilità conquistata col referendum su un nuovo terreno di azione e di intervento. Ma è proprio qui che si pone ancora con maggiore forza la questione della unità tra le varie aziende, dell’unità dei meccanici, ma anche l’unità con le altre categorie e con il mondo esterno, cioè con la dimensione spaventosa dei lavoratori precari e con gli altri movimenti sociali.
E’ difficile pensare di poter resistere all’offensiva determinata del padronato senza ricostruire una schieramento unitario di queste dimensioni.
E la forza sindacale, tante volte interpellata in questi mesi, per la sua storia e per la sua forza organizzativa, la CGIL, che dovrebbe essere deputata a essere il punto di riferimento per l’organizzazione dello sciopero generale e di una risposta unitaria su un programma che tenga insieme i diversi bisogni e obbiettivi, guarda altrove, insegue un nuovo compromesso con la Confindustria, lascia sola, come ha fatto in questi mesi, la Fiom, anzi lascia soli e divisi i lavoratori.
L’unità va quindi conquistata sul campo, con una azione di base, la più ampia possibile, con un impegno unitario e non conflittuale tra tutti i sindacati che vogliono difendere una posizione di classe e con una Fiom che deve saper non solo essere un punto di riferimento, ma anche di contribuire a trovare gli strumenti organizzativi e di obbiettivi per una movimento complessivo che si esprima già nella giornata del 28 gennaio, ma che possa poi radicarsi, svilupparsi nelle settimane e mesi successivi. Va da se che questa è la condizione per sconfiggere l’offensiva di Marchionne, della Confindustria, per cacciare il governo Berlusconi e di difendersi da quello che potrà succedergli.
Sinistra Critica - Organizzazione per la Sinistra Anticapitalista