La Casa Bianca intanto fa sapere di seguire «da vicino» gli eventi in Egitto ma Washington ha già affermato il suo pieno sostegno a Mubarak, suo storico alleato in Medio Oriente.
Barack Obama sostiene il diritto dei tunisini alla democrazia, alla libertà e a migliori condizioni di vita ma lo nega agli egiziani. Il governo guidato dal presidente egiziano Hosni Mubarak «è stabile e sta cercando soluzioni per rispondere alle legittime necessità della popolazione». Così si è espressa ieri il Segretario di stato americano, Hillary Clinton, commentando le imponenti manifestazioni antigovernative che si sono tenute in tutte le principali città egiziane e in cui sono rimasti uccisi quattro dimostranti (a Suez) e un poliziotto (al Cairo). Una posizione che spiega bene l’idea che l’Amministrazione Usa ha della democrazia in Medio Oriente e in Nordafrica: i popoli arabi devono rimanere sotto il tallone di regimi brutali se questi svolgono una politica favorevole agli interessi americani nella regione e compiacente nei confronti di Israele. E’ questo il caso dell’Egitto, paese molto diverso dalla Tunisia nelle strategie americane per il ruolo «moderato» che svolge da decenni nel conflitto israelo-palestinese e per la repressione sistematica dei Fratelli Musulmani, ritenuta la più consistente delle forze di opposizione in Egitto. Non solo Washignton ma tutti i governi occidentali rimangono in silenzio di fronte alle farse elettorali organizzate dal regime egiziano – che si concludono immancabilmente con la vittoria schiacciante del partito di Mubarak – perchè elezioni libere e trasparenti potrebbe portare al potere gli islamisti e forze progressiste che, tra le altre cose, si oppongono alla politica compiacente verso gli Usa e Israele che svolge il presidente egiziano, al potere da ben 30 anni.
L’Egitto è blindato. Gli arresti preventivi eseguiti la scorsa notte e gli oltre 500 compiuti oggi al Cairo e in altre città, hanno consentito alle forze di sicurezza di contenere la rivolta del Pane della Libertà che ieri, per la prima volta in 30 anni, ha fatto vacillare il regime del presidente Mubarak. Al Cairo migliaia di uomini dei reparti antisommossa schierati in Piazza Tahrir e lungo il Nilo, hanno caricato gruppi di manifestanti che in vari quartieri della capitale per tutto il giorno hanno tentato di forzare il blocco e di raggiungere i palazzi delle istituzioni. Scontri sono avvenuti anche nei pressi del Consolato italiano. Bloccata e dispersa nel centro del Cairo una manifestazione congiunta di giornalisti e avvocati. I servizi segreti da parte loro isolato Twitter e, per diverse ore, anche Facebook privando gli organizzatori delle proteste di strumenti vitali di comunicazione. Gli hacker egiziani hanno risposto bloccando i siti web del governo. Poco fa è apparso il primo ministro Ahmed Nazif che prima ha rimarcato il diritto dei giovani a manifestare il loro malessere e poi ha lanciato pesanti avvertimenti nei confronti di coloro che violeranno la legge.
La Casa Bianca intanto fa sapere di seguire «da vicino» gli eventi in Egitto ma Washington ha già affermato il suo pieno sostegno a Mubarak, suo storico alleato in Medio Oriente.
Barack Obama sostiene il diritto dei tunisini alla democrazia, alla libertà e a migliori condizioni di vita ma lo nega agli egiziani. Il governo guidato dal presidente egiziano Hosni Mubarak «è stabile e sta cercando soluzioni per rispondere alle legittime necessità della popolazione». Così si è espressa ieri il Segretario di stato americano, Hillary Clinton, commentando le imponenti manifestazioni antigovernative che si sono tenute in tutte le principali città egiziane e in cui sono rimasti uccisi tre dimostranti (a Suez) e un poliziotto (al Cairo). Una posizione che spiega bene l’idea che l’Amministrazione Usa ha della democrazia in Medio Oriente e in Nordafrica: i popoli arabi devono rimanere sotto il tallone di regimi brutali se questi svolgono una politica favorevole agli interessi americani nella regione e compiacente nei confronti di Israele. E’ questo il caso dell’Egitto, paese molto diverso dalla Tunisia nelle strategie americane per il ruolo «moderato» che svolge da decenni nel conflitto israelo-palestinese e per la repressione sistematica dei Fratelli Musulmani, ritenuta la più consistente delle forze di opposizione in Egitto. Non solo Washignton ma tutti i governi occidentali rimangono in silenzio di fronte alle farse elettorali organizzate dal regime egiziano – che si concludono immancabilmente con la vittoria schiacciante del partito di Mubarak – perchè elezioni libere e trasparenti potrebbe portare al potere gli islamisti e forze progressiste che, tra le altre cose, si oppongono alla politica compiacente verso gli Usa e Israele che svolge il presidente egiziano, al potere da ben 30 anni
Sfiorano il ridicolo le dichiarazioni di Franco Frattini. «Speriamo che il presidente Hosni Mubarak continui, come ha sempre fatto, a governare il suo paese con saggezza e lungimiranza», ha commentato il ministro degli esteri italiano ai microfoni di «Radio Anch’Io», pur sapendo che il regime di Mubarak è accusato di crimini e abusi gravissimi. Dopo aver difeso il dittatore tunisino Ben Alì, poi fuggito in Arabia Saudita, ora Frattini si schiera a difesa anche di quello egiziano.