17 aprile 2010

Senza cura


di Enrico Piovesana
"Quando giovedì sera ho visto alla televisione, ad Annozero, la vignetta di Vauro sulla chiusura del nostro ospedale a Lashkargah, quella con il bambino abbandonato e la Morte con la falce in mano che gli dice, 'Non ti preoccupare piccolo, ci sono qua io', mi veniva da piangere. Se penso a loro, a tutti quei piccoli che stavamo curando e che ora chissà dove sono, mi si stringe il cuore".

Le parole di una delle quattro operatrici sanitarie 'reduci' da Lashkargah spiegano bene lo stato d'animo dello staff di Emergency dopo il forzato abbandono dell'ospedale in Helmand.
Sì, perché al di là dell'angoscia per la sorte di Marco, Matteo e Matteo e dei loro colleghi afgani a rattristare il personale della ong di Gino Strada c'è anche il destino, ormai segnato, della popolazione di Helmand. Di quei bambini, di quelle donne, di quegli anziani doppiamente vittime di questa guerra, che toglie loro non solo la pace, la salute e spesso la vita, ma anche il diritto umano di ricevere cure adeguate e gratuite.

Chiunque abbia messo piede nell'ospedale governativo di Bost, l'unico ora in funzione nell'intera provincia, sa cosa aspetta i feriti di guerra di quella regione. "Eravamo andati in visita al Bost Hospital solo pochi giorni prima di questa storia", racconta a PeaceReporter una delle infermiere evacuate da Lashkargah. "Abbiamo visto i corridoi sporchi di feci dei pazienti, c'era un odore nauseante. Le condizioni di quella struttura sono indescrivibili".

La gente di Lashkargah, che porta sul proprio corpo i segni delle cure ricevute da Emergency, ha comprensibilmente paura di protestare contro la chiusura dell'ospedale o di esprimere il suo sostegno all'ong italiana. Con l'aria che tira laggiù, chiunque lo facesse finirebbe immediatamente in galera con l'accusa di essere un talebano. Il sentimento della popolazione locale non può certo essere letto attraverso la ridicola manifestazione anti-Emergency inscenata da ventiquattro persone radunate dal governo nello stadio cittadino - non davanti all'ospedale. Nessuna telecamera racconterà lo sconforto dei genitori di Bibi, Ali, Fazel, Gulalay, Khudainazar, Akter, Roqia e di tutti gli altri bambini afgani quotidianamente sfigurati da bombe e mine che ora non potranno più contare sulle cure, gratuite, dello 'shafahan imergensì'.

La popolazione afgana di Kabul e delle province vicine, fino alla valle del Panjshir, dove la situazione politica è ben diversa da quella del profondo sud afgano, ha invece deciso di testimoniare la sua solidarietà a Emergency con una raccolta firme fatta a mano. In tre giorni sono arrivate alla sede dell'ong a Kabul 8.245 firme (fino alle 16, ora locale, di venerdì), molte delle quali date sotto forma di impronte digitali.
L'iniziativa è stata dello staff locale di Emergency. "Quando abbiamo detto loro che in Italia si stavano raccogliendo firme di sostegno - spiega a PeaceReporter la responsabile dell'ospedale di Emergency in Panshir - si sono proposti di fare altrettanto con un entusiasmo che ci ha lasciati incantati. Ci hanno detto che non vogliono che finisca come nel 2007, quando Emergency fu costretta a chiudere tutti i suoi ospedali nel paese. Anzi, loro hanno detto 'i nostri' ospedali".

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