12 ottobre 2010

«I nostri non fanno la guerra Per questo devono restare»

Pubblichiamo una intervista a Piero Fassino (responsabile esteri PD), per rimarcare ancora una volta la nostra incompatibilità con la guerra e con coloro che nelle guerre "umanitarie" hanno trovato la legittimazione a governare.

di Daniela Preziosi

"Voi non capite, dedichiamogli un memoriale
"
L'assemblea del Pd si apre con un minuto di silenzio per i quattro morti di Farah. Lo chiede la presidente Rosy Bindi, che a fine lavori chiude di nuovo con il cordoglio verso le famiglie. La tragica contabilità dell'Afghanistan è ormai fuori controllo, ma tanto non basta a smuovere le certezze del comitatone centrale riunito a Varese. Sulla missione, sono in pochi a spingersi oltre la «necessità di una seria riflessione», come l'europarlamentare Davide Sassoli, o quella di «un'attenta verifica», come il cattolico Enrico Gasbarra. Solo Rosa Villecco Calipari dice che occorre ripensare «gli obiettivi e i tempi dell'impegno» delle nostre truppe. Siamo a un passo dal concetto del ritiro del contingente. Ma a casa Pd la parola «ritiro» è un tabù. Non la vuole neanche sentire pronunciare Piero Fassino, responsabile esteri del Pd, che a nome del suo partito propone di erigere un monumento in onore dei militari morti in guerra. Una proposta che suona persino male, a poche ore dagli ultimi, ennesimi morti.
Fassino, piuttosto che erigere monumenti postumi, non sarebbe meglio evitare altre tragedie ritirando il contingente?
No, la nostra presenza in Afghanistan è ancora necessaria, anzi essenziale. Bisogna stare lì finché non sarà un paese stabile. La mia proposta ha il senso di rendere onore ai nostri morti nelle missioni di pace. Dai primi del Congo fino ai quattro alpini di ora, sono ormai più di cento le vittime, dai Balcani, alla Somalia, all'Iraq. Solo in Afghanistan sono 34. Tutte persone morte mentre cercavano di portare stabilità e sicurezza in paesi in cui non c'è. Per tutti i caduti c'è un altare, per le guerre mondiali c'è l'altare della patria a Roma. E invece per questi uomini non c'è ancora un luogo in cui rendere loro omaggio. Abbiamo il dovere di onorarli.
Non le sembra ipocrita e retorico inviare i militari in guerra, dove la morte è un'eventualità concreta, e poi ogni volta mettersi il lutto e erigere monumenti?
Un monumento non è retorica, soprattutto se serve a non dimenticare uomini che hanno pagato con la vita. Questo lo può pensare solo chi non crede nel valore della patria e non vuole prendere atto di un fatto evidente: che i nostri militari muoiono in missioni di pace, mentre aiutano le popolazioni civili. I quattro alpini di Farah stavano facendo la scorta a un convoglio di camion civili.
Missioni di pace? Il suo partito non le considera tutte «missioni di pace». Dipende dai caveat, dalle regole di ingaggio, dalla definizione internazionale della missione. Per lei sono tutte di pace?
Intanto quando parliamo di morti lasciamo stare i caveat. Stiamo parlando di persone che muoiono per la pace. Sono di pace tutte quelle missioni che avvengono sotto il mandato dell'Onu. Lo so che c'è a sinistra anche chi non vuole sentire pronunciare la parola patria. Io invece sono un uomo di sinistra e credo che la patria sia un valore.
Considera un valore morire in guerra?
Non ho detto questo. E poi di che guerre parliamo? Noi abbiamo usato il termine guerra solo per l'Iraq. Considero un valore difendere i diritti e la libertà dei popoli. Considero un valore morire per la pace. E in Afghanistan non stiamo facendo nessuna guerra. Tutti i militari italiani deceduti lì non sono morti in azioni belliche di attacco. C'è una bella differenza tra un esercito che fa la guerra e un esercito che porta la pace. L'esercito che fa la guerra spara per primo, quello che porta la pace spara per secondo e lo fa solo se è attaccato. E voglio dire di più: certa sinistra confonde l'intervento di peace keaping con la parola guerra. Quindi confonde i termini del discorso, sbaglia e fa sbagliare la sua gente. Nei Balcani non siamo andati a fare la guerra ma a difendere le popolazioni civili. In Afghanistan siamo andati a evitare il ritorno dei talebani che non permetteranno alle bambine di andare a scuola. La differenza fra queste azioni e la guerra è evidente.
Le morti sono sempre un fatto doloroso. Tuttavia i soldati in genere obbediscono alle scelte dei loro governi. Se il governo decide che è guerra, fanno la guerra. Le sembra un motivo per erigere loro monumenti?
Quando si onora la memoria di gente che ha pagato con la vita, eviterei di attribuire loro le distinzioni fra missioni di pace e guerre sbagliate.
I leghisti chiedono esplicitamente di portare i soldati a casa. Nel suo partito c'è chi pensa, come il segretario Bersani, che sia ora di riflettere sulla strategia della missione. E chi, come Rosa Calipari, mette l'accento sulla scarsa attitudine del governo italiano a puntare sulla soluzione politica.
E lo dico anch'io. L'uso della forza non sostituisce l'impegno per una soluzione politica dei conflitti.
Lei considera i quattro uomini di Farah eroi?
Penso che siano persone per bene che hanno fatto il loro dovere. E che sono morte per questo.

www.ilmanifesto.it 10/10/2010