23 novembre 2010

Anche il Veneto a rischio Cie. E la mobilitazione si rafforza


Francesco Casoni* (Terra a Nordest)
IL CASO. Paradossalmente la volontà del governo nazionale di aprire un Centro di identificazione ed espulsione nella nostra Regione ha permesso di porre la questione migranti al centro del dibattito. Si allarga il fronte dei contrari.

Viene quasi da ringraziare il ministro Maroni e il governatore Zaia per la proposta di costruire il primo Cie veneto in provincia di Rovigo. La loro ipotesi di collocare nell’ex base militare di Zelo il centro identificazione ed espulsione per immigrati irregolari, infatti, un effetto benefico l’ha già ottenuto: portare al centro dell’attenzione, grazie alla forza della cronaca, una questione quasi sconosciuta alla maggior parte della popolazione.

Se un articolo del Corriere del Veneto non avesse scoperto le carte verso la fine dello scorso luglio, il progetto sarebbe rimasto segreto, magari fino all’ultimo. E il silenzio calato sull’argomento dopo qualche mese di bufera mediatica, che ha scompigliato prima di tutto le fila del centrodestra, indica che la priorità in questo momento, a pochi mesi dalle elezioni amministrative e con un governo traballante, è di parlarne il meno possibile. Invece, contro l’ipotesi di trasformare la base missilistica nell’alto Polesine in campo di detenzione per migranti ha fatto insorgere gli amministratori locali, ma soprattutto una rete di associazioni, movimenti e cittadini, che lo scorso 24 settembre ha portato in piazza e poi in carovana qualche centinaio di persone per il Clandestino Day per rispondere con un secco «No» a qualsiasi Cie.

Da questa esperienza di mobilitazione è nato il Coordinamento Veneto No Cie, che punta a rimanere vigile, come un presidio di civiltà sul territorio. Perchè una cosa Maroni l’ha chiarita: il Cie si farà comunque. Ci sono altre ipotesi, ma il Polesine è ancora in lizza, innanzitutto per ragioni politiche. Un anno fa la coalizione di centrosinistra ha sconfitto il candidato del Carroccio, Antonello Contiero, anche grazie ai voti di un manipolo di ex leghisti in dissidio con la segreteria provinciale. Se c’è una terra «traditrice» da punire, questa è il Polesine.

Il sito individuato, poi, resta appetibile. E’ vero che la base è in disfacimento da oltre dieci anni, che manca di collegamenti stradali e di un aeroporto, ma Zelo è un’ottima soluzione di ripiego per togliere le castagne dal fuoco alla vicina provincia di Verona, in cui il centrodestra vorrebbe il Cie, ma deve fronteggiare l’opposizione dei propri sindaci. Insomma, ragioni oggettive per rimanere all’erta non mancano. Ma la ragione principale riguarda i motivi per cui, la scorsa estate, è sorta l’idea di un coordinamento «No Cie» su scala regionale. In Polesine il dibattito contro il Cie è stato praticamente monopolizzato da fredde motivazioni campanlistiche («Non va bene qui, fatelo altrove») o di opportunità politica («E’ così che la Lega difende il territorio?»).

Pochissimi hanno condannato semplicemente la disumanità dei Cie e delle politiche sull’immigrazione. Tra questi l’assessore all’Immigrazione di Rovigo, Giovanna Pineda, che ha rievocato il terribile paradosso per cui un’immigrata irregolare che denunci un abuso subito viene a sua volta denunciata ed espulsa. La seconda voce è quella del vescovo, che sulla stampa ha tuonato contro i «campi di concentramento che ledono la dignità umana».

Se c’è un risultato che il Coordinamento veneto «No Cie» può rivendicare, è stato di moltiplicare queste voci e dare loro risonanza nella grande manifestazione pubblica a Rovigo e Ceneselli, «di allargare la portata della domanda che si sente in giro da settimane – “E’ giusto o no impiantare un Cie a Zelo?” – arrivando a un interrogativo molto più profondo, e importante: “E’ giusto fare i Cie?”», come scrive Lorenzo Zoli sulla Voce di Rovigo. A dare risposte competenti e appassionate è stato un coro di associazioni, movimenti, partiti, sindacati. Lo slogan è semplice, «Nè qui, nè altrove», per chiarire che al ministro Maroni non basterà cambiare meta e soprattutto che quanto potrebbe accadere in Polesine riguarda tutti. E’ un nuovo tassello di ingiustizia e disumanità sotto il nostro naso, espressione compiuta di scelte politiche spietate, a cui occorre opporsi con altre parole d’ordine: umanità, giustizia, diritti.

*Coordinamento Veneto No Cie