14 gennaio 2011

Io, studente blogger prigioniero di Ben Ali

Censura, povertà e voglia di fuga le micce della rivolta. "Per noi giovani dal futuro negato è cominciata la rivoluzione". La paura del regime e l'amore per il Paese

Pubblichiamo la testimonianza di uno studente universitario tunisino che si firma con uno pseudonimo: il testo è stato pubblicato sul blog collettivo di Nawaat, sito vicino all'opposizione

FACCIO parte della nuova generazione vissuta in Tunisia sotto il regno assoluto di Ben Ali. Al liceo, al college, si ha sempre paura di parlare di politica. "Ci sono spie dovunque", ci dicono.
Nessuno osa discuterne in pubblico. Nessuno si fida. Il vicino, un amico, il droghiere può essere una spia di Ben Ali. Vuoi che ti portino via a forza, te o tuo padre, in qualche luogo indefinito, la sera o alle quattro del mattino?
Si cresce con questa paura di impegnarsi, e si continua a studiare, si va in giro, si esce la sera senza occuparsi di politica. Negli anni del liceo si cominciano a conoscere i meandri della famiglia reale, e si sentono storie qua e là, su questo o quel parente di Leila (la first lady tunisina, ndr.) che ha preso il controllo dell'industria, che si è appropriato dei terreni di qualcun altro o che ha trattato con la mafia italiana.
Se ne parla, se ne discute tra noi, tutti sono al corrente, ma non si agisce. Si proseguono gli studi, in breve ci si rende conto che la tv tunisina è la peggiore di tutte, ogni informazione è un inno alla gloria del presidente. Ben Ali appare sempre nella sua luce migliore. Tutti sanno che si tinge i capelli di nero. Sua moglie, con quel suo sorriso legnoso, non piace a nessuno; non è mai sembrata sincera.
Si vive. O non si vive, si pensa di vivere. Si ha voglia di credere che tutto vada bene, perché si fa parte della classe media, ma si sa che durante il giorno i bar sono pieni zeppi di gente: disoccupati che discutono di calcio.
I primi locali notturni aprono le porte, si incomincia a uscire, a bere, a fare vita notturna dalle parti di Sousse o di Hammamet. Circolano altre storie su un certo Trabelsi (il cognome della first lady, ndr) che ha spaccato la faccia a uno perché gli andava di farlo, o di un altro con lo stesso cognome che ha provocato un incidente stradale e poi se ne è tornato a casa a dormire. Queste storie, ce le raccontiamo in fretta, discretamente. Ci vendichiamo a modo nostro: raccontando, ci sembra di complottare.
I poliziotti hanno paura. Se gli dici che sei parente di Ben Ali tutte le porte si aprono, negli alberghi ti danno le stanze migliori, i parcheggi sono gratis, il codice stradale cessa di esistere. La Tunisia diventa un campo da gioco virtuale. Non rischiano nulla, possono fare quello che vogliono, trattare le leggi come fossero marionette.
Internet è bloccato. Le pagine censurate vengono fatte passare per non trovate o inesistenti. A scuola ci si scambiano i proxy (le strade per evitare la censura informatica, ndr). "Hai un proxy che funziona?" è la parola d'ordine; non si sente dir altro.
Siamo stufi, e ne parliamo tra noi, sappiamo tutti che Leila Ben Ali ha cercato di vendere un'isola tunisina, che vuole chiudere la Scuola Americana di Tunisi per promuovere una sua scuola: queste storie circolano. Su Internet e nelle borse ci scambiamo "La reggente di Cartagine" (una biografia impietosa della first lady, ndr). Amiamo il nostro Paese, vorremmo veder cambiare le cose, ma non c'è un movimento organizzato. La tribù è pronta, ma il capo manca all'appello.
La Tunisia, la corruzione, le tangenti - c'è semplicemente la voglia di andarsene di qui, ci si candida per andare a studiare in Francia, in Canada ... Vorresti piantar lì tutto. Sei un vigliacco, lo riconosci. Il Paese, lo lasci a loro.
Te ne vai in Francia, dimentichi per un po' la Tunisia, ci torni in vacanza. La Tunisia? È la spiaggia di Sousse, o quella di Hammamet, o locali notturni, i ristoranti. Ecco cos'è la Tunisia: un gigantesco Club Méditerranée.
Ed ecco che WikiLeaks rivela in piena luce quello che tutti mormoravano.
Ed ecco che un giovane si immola col fuoco..
E 20 tunisini sono uccisi in un solo giorno.
E per la prima volta si vede in tutto questo l'occasione per ribellarsi, per vendicarsi di questa famiglia reale che si è impossessata di ogni cosa, di rovesciare l'ordine costituito che ha accompagnato l'intera vita di noi giovani.
Giovani che hanno studiato; e che ora ne hanno abbastanza. E si preparano a immolare tutti i simboli di questa vecchia Tunisia autocratica, con una nuova rivoluzione, la Rivoluzione del Gelsomino, quella vera.

(traduzione di Elisabetta Horvat)