02 marzo 2011

La conquista di ENEL

di Giulio Sensi e Tancredi Tarantino
www.altreconomia.it
04 ottobre 2010
Green Power è il “braccio” dell’azienda italiana per le operazioni in America Latina. Costruisce dighe nemiche dell’ambiente, e piace ai Benetton


“L’energia che ti ascolta”, recita il claim di Enel, la più grande impresa elettrica italiana ed una delle più grandi al mondo, con oltre 60 milioni di clienti. Ma in Guatemala, nel dipartimento di El Quichè, cuore dei territori Maya ixil al confine con il Messico, l’energia di produzione italiana sembra aver perso l’udito.
La strada sterrata che si inerpica ripida su per la montagna, segnando il bosco di pini, sparisce inghiottita dalle nuvole. Avvallamenti e pozzanghere impongono alla jeep un’andatura a rilento. I bambini che giocano nel fango salutano incuriositi, ma i loro genitori scrutano i forestieri di passaggio con aria greve: hanno sguardi segnati, nei quali ripercorri trentasei anni di guerra civile, con oltre un milione di profughi interni, 15mila sparizioni forzate e 200mila morti. Di questi, l’83% sono indigeni Maya ixil. Baltazar de la Cruz Rodriguez, segretario del Cocode, il consiglio comunitario di sviluppo della comunità ixil di San Felipe, aspetta seduto sotto un porticato. “Enel ci ha ingannato”, esordisce dopo aver appena accennato un saluto con la testa. Nel 2008, il sindaco di San Juan Cotzal, una delle città principali del dipartimento, annuncia di avere ricevuto il consenso delle comunità indigene locali per la costruzione della centrale idroelettrica Palo Viejo da parte di Enel. Poco tempo prima, durante una riunione con i leader comunitari, il sindaco aveva presentato un progetto infrastrutturale, senza però precisare che il documento da firmare autorizzava anche la costruzione della centrale. “Hanno ottenuto la nostra firma con l’inganno”, continua Baltazar, sottolineando che nelle comunità ixil di El Quichè sono in pochi a parlare e leggere il castigliano. A qualche chilometro da San Felipe c’è San Miguel Uspantàn. Nel 2009, il sindaco Victor Figueroa ha denunciato l’Enel per non aver informato la popolazione locale e non aver richiesto le autorizzazioni necessarie per la realizzazione del progetto di Palo Viejo: “Spetta a noi dare le licenze per la costruzione dei tralicci che trasportano l’energia -sostiene Figueroa-. Com’è possibile che il 50% delle 169 comunità della zona non abbia accesso all’energia elettrica, mentre Enel fa passare sulle loro teste i cavi ad alta tensione?”, chiede incredulo. Una risposta non arriva: da queste parti l’energia non ascolta, e nonostante le proteste delle comunità locali, la costruzione della centrale idroelettrica Palo Viejo è iniziata lo scorso anno e dovrà concludersi nel 2011. A coordinare i lavori è Enel Green Power, la società per le energie rinnovabili del gruppo Enel nata nel 2008. L’impianto, che avrà una capacità complessiva di 84 megawatt e sfrutterà il flusso d’acqua del fiume Cotzal e di tre suoi affluenti, costerà circa 185 milioni di euro. Un investimento importante per il quale si è mossa anche la Simest, la finanziaria per la promozione delle imprese italiane all’estero controllata dal governo italiano, che ha già stanziato un finanziamento per agevolare le attività di Enel in Guatemala. “È per noi fonte di grande soddisfazione contribuire allo sviluppo di Enel Green Power nell’area”, ha commentato l’ad di Simest, Massimo D’Aiuto. La popolazione locale però non è dello stesso avviso. Quando i camion e le ruspe della Solel Boneh, l’impresa israeliana a cui Enel ha affidato l’apertura delle vie d’accesso alla zona, attraversarono per la prima volta San Felipe, la popolazione indigena organizzò manifestazioni di protesta contro l’azienda italiana. In seguito alla morte di due giovani ixil, investiti da un camion della Solel Boneh, la protesta si inasprì e gli indigeni bloccarono per più giorni le principali arterie di comunicazione. Successivamente, i leader delle mobilitazioni furono minacciati di morte, come denunciato in un rapporto del 2009 dalle ong guatemalteche Conavigua e Mojomayas. Come già accaduto nel caso della diga di Chixoy, il più grande progetto idroelettrico del paese, la popolazione di Cotzal teme che venga distrutto quel sottile equilibrio con la “madre terra” che i loro avi hanno saputo preservare per migliaia di anni. La costruzione di una diga o di una centrale idroelettrica comporta un’inevitabile alterazione dell’ecosistema, la perdita di biodiversità ma, soprattutto, l’allagamento di terre coltivate, spesso l’unica fonte di sostentamento. A tutto ciò si aggiunge il valore culturale e storico dei territori in cui il progetto è stato avviato, trattandosi di luoghi considerati sacri dagli indigeni ixil.
Il progetto di Palo Viejo non è il primo che l’azienda italiana, per il 31 per cento ancora a capitale pubblico, realizza in Guatemala. Enel è presente nel Paese da 10 anni, e finora ha investito circa 350 milioni di dollari per la costruzione e gestione di quattro centrali idroelettriche, con una capacità complessiva di 74 megawatt. Nel 2008 ha ottenuto l’approvazione di altri tre progetti, tutti in territorio ixil. A questi si aggiunge il progetto di interconnessione elettrica del Centroamerica, Siepac, finanziato dalla Banca interamericana di sviluppo (Bid) e dalla Spagna, e che vede tra i soci anche Endesa, il colosso energetico spagnolo controllato al 92 per cento da Enel. Siepac ha come scopo quello di traghettare l’energia verso gli Stati Uniti, alimentando così il progetto di integrazione mesamericano, più conosciuto come Plan Puebla-Panamá, che vede nelle fabbriche di assemblaggio, nei grandi villaggi turistici e nello sfruttamento della biodiversità l’unica forma di sviluppo possibile.
L’investimento di Enel “sul” Paese si spiega facilmente in termini economici: il Guatemala rappresenta il Paese dal più alto potenziale idroelettrico del Centroamerica, con oltre 10mila megawatt, e aspira a trasformarsi nel principale esportatore di energia verso gli altri Paesi della regione. L’attuale governo di centrosinistra di Alvaro Colom, inoltre, ha avviato una politica mirata a ridurre i costi dell’energia elettrica, al fine di attrarre capitali stranieri. Strategia che forse non ha fatto i conti con altri fattori, come il narco-traffico, la corruzione e l’insicurezza, che disincentivano gli investimenti esteri. Lo dimostra il documento di indirizzo sul Guatemala stilato dall’Istituto per il commercio estero italiano (Ice), l’ente governativo che ha il compito di facilitare i rapporti commerciali dell’Italia con l’estero. Con oltre 5mila omicidi nel 2009, 200 tonnellate di cocaina che transitano nel Paese e un rischio imminente di recessione, “è fin troppo facile -si legge nel documento- traguardare le drammatiche conseguenze del protrarsi dell’incapacità dello Stato di imporre una politica di sicurezza efficace sulle sorti future del paese”.
Ma Enel non sembra affatto preoccupata e continua ad investire i propri capitali, e quelli degli italiani, in progetti dall’alto impatto sociale e ambientale che difficilmente potranno generare lo sviluppo sperato. Intanto le popolazioni Maya ixil si augurano che l’energia inizi ad ascoltarli.

Cinque dighe cilene
Contro il progetto "Hydro Aysen" si schiera anche il vescovo
Sintonia, la subholding controllata al 79,08% dal gruppo Benetton tramite Edizione srl, sarebbe interessata a comprare il 30% di Enel Green Power. Chissà se la notizia ha raggiunto gli abitanti della Patagonia cilena e le comunità indigene Mapuche che si oppongono al progetto “Hidro Aysen” di Endesa-Enel, la costruzione di cinque grandi dighe per la produzione di elettricità in una delle regioni più intatte del pianeta. Loro i Benetton li conoscono già: la famiglia di Treviso è già presente in Terra del Fuoco, dove -generando enormi conflitti- negli anni scorsi si è comprata il 10% delle terre per la produzione di materie prime.
Enel Green Power con tutta probabilità sarà sul mercato probabilmente da settembre e la conferma dell’interessamento è arrivata nelle scorse settimane da Gilberto Benetton, a margine dell’assemblea annuale di Autogrill. L’accordo con Benetton potrebbe senza dubbio favorire la concretizzazione del programma di dighe in Patagonia, un affare ereditato con l’acquisto della spagnola Endesa, già presente e contestata in America Latina. Un progetto tanto appetibile quanto complicato: la protesta della popolazione in Cile aumenta vertiginosamente, e fra i ribelli delle dighe c’è anche il vescovo di Aysén, una delle province della zona che sarebbe colpita. Monsignor Luis Infanti De La Mora è volato dalla Patagonia a Roma per intervenire all’assemblea annuale degli azionisti di Enel. “Il nostro silenzio su questo progetto -ha tuonato il monsignore, nato ad Udine ma in Cile da 35 anni, mentre l’amministratore delegato di Enel Fulvio Conti gli ricordava che era scaduto il tempo del suo intervento- sarebbe un segno di complicità con un’ingiustizia. Un’ingiustizia che riteniamo una nuova forma di colonizzazione”. Monsignor Infanti è intervenuto grazie al coinvolgimento della Fondazione culturale responsabilità etica e della Campagna per la riforma della Banca mondiale, nell’ambito delle iniziative di azionariato critico nei confronti di Eni ed Enel. “HidroAysen -spiega Juan Pablo Orrego, attivista ed intellettuale cileno, presidente della ong Ecosistema e coordinatore della campagna “Patagonia sin Represas” (senza dighe)- consiste in un sistema di cinque dighe che frammenterebbero e degraderebbero per sempre il bacino dei fiumi Baker e Pascua, nel cuore della Patagonia. La produzione di energia elettrica sarebbe associata a una linea di trasmissione lunga 1.500 miglia, con 6mila tralicci alti 60-70 metri che attraverserebbero il 51% del territorio cileno, danneggiando 48 aree protette (vedi I cinque progetti che devasteranno il pianeta, a cura di Crbm, su www.altreconomia.it, ndr). Per non parlare -aggiunge- dei rischi sismici e vulcanici che rendono questo progetto rischioso anche dal punto di vista economico”. I diritti d’uso dell’acqua per questi scopi a titolo praticamente gratuito in Cile sono peraltro eredità della dittatura. “In Patagonia, il 96% di questi diritti sono stati regalati dalla dittatura di Pinochet prima all’impresa di Stato, poi a Endesa e adesso ereditati da Enel” ha spiegato monsignor Infanti. “In Cile la proprietà dell’acqua e la sua distribuzione sono private, ci chiediamo se a Enel, che qua è proprietaria monopolistica dell’acqua, sarebbe permesso di attuare in Italia o in Europa progetti come questo”. Il Cile, come il Guatemala, è un Paese centrale per la strategia economica di Enel in America Latina. La società italiana è presente in 11 Paesi del continente latinoamericano da quando ha acquisito il 92% di Endesa, la grande impresa elettrica spagnola comprata a colpi di indebitamento nel 2009, e grazie agli investimenti di Enel Latin America, controllata da Enel Green Power. Enel Latina America gestisce già impianti per 667 MW nel continente. Oggi il gruppo è diventato il primo colosso energetico privato in America Latina, e non solo nella produzione di energia: serve già 12,4 milioni di clienti (il 20% del suo totale) e realizza in loco oltre il 15% del margine operativo lordo, che nel 2009 è aumentato del 7% nonostante la crisi. Quella di Endesa, che già possiede 15mila MW di impianti, è stata un’operazione da 9,6 miliardi finanziata grazie a un intervento, per 8 miliardi di euro, di 12 istituti di credito, fra cui Intesa-Sanpaolo e Unicredit. L’acquisto ha aumentato il già alto indebitamento di Enel, che oggi risulta, con 51 miliardi di euro, l’utility più indebitata d’Europa. Entro il 2014 Enel deve restituire 5,5 miliardi, e rischia di essere declassata nella valutazione di Standard & Poor’s. Per questo ha messo sul mercato anche le reti di distribuzione e trasporto gas e quelle elettriche di Endesa in Spagna, da cui dovrebbero arrivare circa 1,5 miliardi di euro. Ma ciò non basterà a ridurre il debito a 45 miliardi di euro entro la fine dell’anno, e allora fanno gola i fondi sovrani del Golfo e dell’Estremo Oriente che sono già interessati, come i Benetton, alle quote di Enel Green Power. L’impresa che si occupa di “rinnovabili” viene messa parzialmente sul mercato proprio mentre il colosso energetico annuncia di voler investire 18 miliardi di euro nel nucleare, per la costruzione di 4 centrali a partire dal 2014. Una ricerca dell’università di Greenwich, commissionata da Greenpeace, ha rilevato che l’operazione nucleare potrebbe in realtà portare un ulteriore indebitamento di 30 miliardi di euro. Di fronte a questo business, si capisce perché la salvaguardia della Patagonia non sia all’ordine del giorno dalle parti di viale Regina Margherita.