Quarta Internazionale 22 febbraio 2011
Dichiarazione sulle rivoluzioni del mondo arabo adottata dal Comitato Internazionale della IV Internazionale nella sessione di febbraio 2011
1. La straordinaria vittoria del popolo egiziano contro Mubarak moltiplica la portata storica della rivoluzione tunisina che ha abbattuto il regime di Ben Alì. L’onda d’urto di queste vittorie popolari si è estesa in pochi giorni a tutta la regione araba e al di là, e influenza il rapporto di forza tra le classi su scala mondiale. Manifestazioni, scioperi, assemblee, comitati di autodifesa, mobilitazioni dei sindacati, degli studenti, delle associazioni democratiche, hanno affrontato con una determinazione assoluta gli apparati di Stato e per prime le forze di polizia. Milioni di tunisini ed egiziani si sono mobilitati fino alla caduta dei dittatori, e continuano a mobilitarsi per non farsi confiscare la rivoluzione.
2. Si tratta di un processo di rivoluzione permanente che combina strettamente le dimensioni sociali, democratiche, di sovranità nazionale e si espande su scala internazionale. Gli effetti della crisi economica mondiale, combinati con la feroce oppressione e con la spudorata corruzione delle dittature, hanno unito gli strati popolari più svantaggiati, la classe operaia organizzzata con le classi medie, i giovani con i vecchi, le donne con gli uomini. Le masse tunisine ed egiziane non sopportavano più sistemi economici che le emarginavano. Come in molti paesi vicini, l’integrazione alla mondializzazione capitalista ha portato a una crescita economica poco produttiva di occupazione e a una concentrazione della ricchezza senza precedenti, a uno sviluppo ineguale dei territori e a un degrado generale delle condizioni di vita e di lavoro.
Una delle principali ragioni di questa rivoluzione è l’esplosione dei prezzi alimentari negli ultimi anni. Il rapido processo di cambiamento climatico ha portato alla crisi alimentare mondiale attuale, particolarmente in paesi come la Tunisia. La liberalizzazione economica imposta dall’FMI, dall’OMC e dalla UE si è tradotta in un’accresciuta precarizzazione dei lavoratori, nell’accaparramento delle terre da parte del capitalismo agrario orientato verso l’esportazione, in drastici tagli nei servizi pubblici e in una disoccupazione di massa che colpisce in particolare giovani laureati. E in più, con la chiusura delle frontiere dell’Unione Europea alle possibilità di emigrazione, e la contrazione del mercato del lavoro nelle monarchie petrolifere del Golfo, scompariva ogni possibilità di sfuggire alla povertà. Parallelamente, il soffocamento radicale delle libertà e dei diritti democratici da parte di Stati polizieschi che imponevano un controllo sociale generalizzato, e l’impossibilità di contropoteri – i partiti «di opposizione» parlamentari erano tollerati dai regimi tunisino ed egiziano solo come larve, le associazioni infiltrate o impedite di funzionare – hanno fatto sì che tra le dittature e le popolazioni non vi fosse altro che la figura del capo autocratico e un apparato repressivo devoto e feroce. E il funzionamento mafioso dei clan al potere ha finito per delegittimarlo.
Infine, questi due regimi si sono distinti per la loro collaborazione con lo Stato sionista di Israele, esasperando ancora di più popolazioni che considerano come proprie le sofferenze del popolo palestinese. Di fronte a tutte queste ingiustizie, negli ultimi anni si sono moltiplicati scioperi ed esplosioni sociali che hanno permesso un’accumulazione di esperienze senza tuttavia riuscire ad abbattere il muro della paura per la maggioranza delle popolazioni. Questo muro è stato sommerso in qualche settimana, e malgrado le numerosissime vittime il popolo tunisino, poi, con in mente il suo esempio il popolo egiziano, hanno sostenuto una lotta ininterrotta fino alla fuga dei dittatori Ben Alì e Mubarak.
3. Con queste vittorie, i popoli della regione araba ritrovano una immensa dignità, quella della loro irruzione sulla scena politica della democrazia e della lotta di classe, fuori dalla mortifera alternativa (o combinazione) autocrazie/islamismo nella quale erano rinchiusi da trent’anni. Le classi popolari, e in primo luogo la classe operaia di questa regione, hanno conquistato i mezzi per rivendicare tutte le libertà democratiche. Le donne, per rivendicare i loro diritti e l’uguaglianza con gli uomini. I lavoratori hanno conquistato i mezzi per contestare a un livello molto più alto i programmni di supersfruttamento del neoliberismo e destabilizzano in profondità i dispositivi di dominazione imperialista sulla regione, europei e statunitensi, connessi allo Stato di Israele. Non per errore il governo israeliano, in tutte le sue tendenze, ha preteso fino all’ultimo un sostegno dell’Occidente ai dittatori. La rivoluzione nella regione araba mostra il potenziale di emancipazione sociale e democratica di ogni lotta di massa contro l’ingiustizia. Il ruolo attivo delle donne nelle mobilitazioni è un segno inequivocabile. Questo processo permette di combattere le campagne razziste e islamofobiche sul cosiddetto «scontro delle civiltà», che tentano di far credere che la mobilitazione dei popoli arabo-musulmani apre la strada al fondamentalismo. Questa dinamica avrà effetti nel mondo intero. Nell’immediato ne ha già in Giordania, nello Yemen, in Bahrein, in Siria, in Libano, in Libia, in Algeria, in Marocco e in Mauritania, anche se non si può prevedere con che ritmo e in quale ordine potranno cadere i regimi al potere, ciascuno con le sue particolarità. Particolarmente in Libia, dove il regime ha attaccato la popolazione con aerei militari ed elicotteri e ha già ucciso più di 500 persone, c’è un rapido aggravarsi della situazione che richiede la nostra intera solidarietà. Queste rivoluzioni creano condizioni nuove e più favorevoli per la lotta dei palestinesi, lotta che la Quarta Internazionale incoraggia e sostiene. La rivoluzione egiziana mette concretamente all’ordine del giorno la fine di quel crimine contro l’umanità che è l’assedio di Gaza. Di fronte a questa situazione, la risposta dello Stato sionista può diventare ancora più dura e brutale. Occorrerà raddoppiare la mobilitazione per impedirglielo. La dinamica di queste rivoluzioni incoraggia anche le lotte contro le dittature in Iran e fino in Cina, dove le opposizioni si ispirano ai metodi di coordinamento utilizzati in Tunisia e in Egitto, come l’utilizzo delle reti sociali. Incoraggerà inevitabilmente le mobilitazioni delle popolazioni immigrate originarie della regione araba, supersfruttate e oppresse nei paesi capitalisti avanzati. Più che mai dobbiamo stare al fianco di queste popolazioni.
Ma questi processi possono avere conseguenze ancora più globali nei paesi imperialisti, dove i lavoratori e i giovani si scontrano sempre più massicciamente con i piani di austerità, senza trovare la via del successo: ci mostrano che una rivoluzione dal basso nel XXI secolo è possibile, che può abbattere un regime politico apparentemente inespugnabile e strappare conquiste che ancora ieri sembravano irraggiungibili!
4. Le conquiste di questi processi sono certamente fragili, in Tunisia come in Egitto, ma essenziali per lo sviluppo successivo. Basandosi sulle recenti esperienze popolari e sull’inserimento di lunga data della sinistra radicale nei sindacati, l’autorganizzazione si è sviluppata massicciamente quando per i manifestanti e gli abitanti dei quartieri si è reso necessario proteggersi dalle aggressioni della polizia e delle milizie del potere, in Tunisia da Sidi Bouzid ai quartieri popolari delle grandi città e alla Kasbah di Tunisi; in Egitto dalla Piazza Tahrir del Cairo ai quartieri di Suez, Mansurah o Alessandria. Scene inimmaginabili qualche giorno prima, i musulmani e i copti hanno protetto reciprocamente i propri momenti di preghiera, gli operai e i giovani internauti, le donne e i religiosi, gli scrittori e i taxisti hanno difeso fianco a fianco i punti attaccati dagli sbirri di Mubarak. I popoli sono riusciti a destabilizzare gli eserciti tentando sistematicamente di fraternizzare con i soldati. I dittatori sono fuggiti, le direzioni dei partiti al potere hanno dovuto rinunciare a funzionare sotto la pressione delle mobilitazioni, e le mobilitazioni popolari proseguono. In Tunisia, i dirigenti più corrotti sono perseguiti dalla giustizia, i fondi e i beni dello RCD vengono confiscati, le sue sedi sono diventate case del popolo. La maggior parte dei prigionieri politici è stata liberata. Gli apparati polizieschi dei due paesi, anche se non sono stati smantellati, sono disorganizzati. Gli impiegati dei ministeri cominciano a esercitare un controllo sui loro dirigenti, come quelli del Ministero degli Esteri tunisino che hanno ottenuto le dimissioni del loro ministro che aveva coperto di elogi la ministra francese Alliot-Marie. Molti governatori, sindaci e responsabili pubblici tunisini hanno dovuto dare le dimissioni. Le masse tunisine sono arrivate anche a chiedere la partenza dell’ambasciatore di Francia appena arrivato, dopo una sua dichiarazione sprezzante. Numerosi precari della funzione pubblica sono stati stabilizzati, il capitale dei dirigenti d’impresa più corrotti della Tunisia è stato nazionalizzato. Processi analoghi sono avviati anche in Egitto. I funzionari hanno ottenuto aumenti salariali del 15%, numerosi scioperi operai si sviluppano malgrado le minacce del nuovo potere.
5. Beninteso, le classi dominanti non sono rimaste inerti e saranno sempre più attive nei confronti dei processi rivoluzionari in estensione. In Tunisia, la «neutralità» dell’esercito e l’allontanamento di Ben Alì sono stati controbilanciati dalla permanenza al potere del suo primo ministro Ghannouchi e di numerosi dirigenti dell’RCD, che dovevano essere legittimati dall’arrivo al governo di parecchi partiti dell’opposizione e del grande sindacato UGTT. Il rifiuto di questa e la mobilitazione popolare hanno imposto un secondo governo, dove dei dirigenti dell’RCD rimane il solo primo ministro. Ma il nuovo potere è strutturato dai quadri dell’imperialismo francese, e impiega tutta la sua energia, assieme ai capitalisti tunisini e all’esercito, a convincere i lavoratori a riprendere il lavoro «come prima». Si tratterebbe di chiudere una parentesi … accontentandosi di annunciare elezioni generali entro 6 mesi. In Egitto, è direttamente l’esercito che assicura la «transizione», con il minaccioso ministro dell’interno Suleiman, noto torturatore, amico di Israele e altrettanto noto agente della CIA statunitense. Anche in questo caso, si ingiunge al popolo di essere ragionevole, per permettere la continuazione del turismo e degli investimenti esteri, con la promessa di elezioni tra qualche mese … e la minaccia della ripresa della repressione. I governi Sarkozy e Berlusconi, che non hanno visto niente di quanto stava per accadere e si sono compromessi nel sostegno a Ben Alì, sono in prima fila nell’Unione Europea nell’esigere ora la ripresa degli affari e il ritorno al blocco della polizia contro i migranti. L’imperialismo americano, con l’amministrazione Obama, è molto più flessibile: non avendo previsto né controllato il movimento in Egitto, finge di cavalcarlo, ma i suoi stretti legami con il comando dell’esercito pesano come una minaccia permanente sul processo rivoluzionario egiziano, ed esigerà garanzie sul traffico lungo il canale di Suez e il mantenimento della chiusura della frontiera palestinese a Gaza. Infine, le istituzioni internazionali sapranno esigere il rispetto dei fondamentali del capitalismo moderno: pagamento del debito pubblico anche se iniquo; rispetto dell’apertura totale ai capitali e ai prodotti stranieri, proseguimento della deregolamentazione.
6. In questo processo, è tutto il sistema che si deve smantellare per affermare tutti i diritti e le libertà democratiche: diritto di espressione, diritto di sciopero, diritto di manifestazione, pluralismo di associazioni, sindacati e partiti, liquidazione dell’istituzione presidenziale e instaurazione di un governo rivoluzionario provvisorio. È necessaria oggi l’apertura di un processo di elezioni libere per un’Assemblea Costituente. Per non essere confiscato da un nuovo potere delle oligarchie, questo processo deve basarsi sull’organizzazione dei comitati, coordinamenti e consigli popolari che sono emersi nella popolazione. In questo contesto, gli anticapitalisti lotteranno per le rivendicazioni centrali di un programma di rottura con l’imperialismo e il sistema capitalista: soddisfacimento dei bisogni vitali delle classi popolari (pane, salario, lavoro), riorganizzazione dell’economia in funzione dei bisogni sociali, servizi pubblici di qualità e gratuiti (scuola, sanità), i diritti delle donne, ampliamento della protezione sociale (disoccupazione, salute, pensioni), riforma agraria radicale, socializzazione delle banche e dei settori chiave dell’economia, annullamento del debito, sovranità nazionale e popolare. Questo programma di un governo che sia al servizio dei lavoratori e della popolazione è difeso in Tunisia dalla Lega della Sinistra Operaia (Ligue de la Gauche Ouvrière). Questa fa parte del Fronte del 14 gennaio, nel quale è riunita la sinistra che rifiuta il governo Ghannouchi e si batte per tutte le libertà democratiche, una Costituente e il soddisfacimento dei bisogni fondamentali. Questo programma è sostenuto anche in Egitto da un raggruppamento di rivoluzionari in corso di costituzione.
7. I popoli tunisino ed egiziano, e l’insieme dei popoli della regione araba hanno ancora bisogno della nostra solidarietà nella lotta per le libertà democratiche. Hanno ancor più bisogno della nostra mobilitazione per allentare la morsa imperialista: non pagamento dei debiti esteri dei vecchi regimi, restituzione dei beni e averi finanziari dei dittatori , protezione della sovranità nazionale dei popoli contro le pressioni del capitalismo internazionale; annullamento degli accordi internazionali sottoscritti dal vecchio regime nei settori militare, sicurezza e migrazione.
I rivoluzionari del mondo intero hanno ugualmente il compito essenziale di stabilire tutti i legami possibili con i sindacati, le associazioni e le organizzazioni anticapitaliste di questi paesi, per contribuire al consolidamento del processo rivoluzionario in corso, e appoggiare l’autorganizzazione dei popoli che vi prendonoi parte.
La rivoluzione in corso nella regione araba è la nostra lotta!
Nell’immediato sosteniamo le seguenti iniziative:
Dichiarazione sulle rivoluzioni del mondo arabo adottata dal Comitato Internazionale della IV Internazionale nella sessione di febbraio 2011
1. La straordinaria vittoria del popolo egiziano contro Mubarak moltiplica la portata storica della rivoluzione tunisina che ha abbattuto il regime di Ben Alì. L’onda d’urto di queste vittorie popolari si è estesa in pochi giorni a tutta la regione araba e al di là, e influenza il rapporto di forza tra le classi su scala mondiale. Manifestazioni, scioperi, assemblee, comitati di autodifesa, mobilitazioni dei sindacati, degli studenti, delle associazioni democratiche, hanno affrontato con una determinazione assoluta gli apparati di Stato e per prime le forze di polizia. Milioni di tunisini ed egiziani si sono mobilitati fino alla caduta dei dittatori, e continuano a mobilitarsi per non farsi confiscare la rivoluzione.
2. Si tratta di un processo di rivoluzione permanente che combina strettamente le dimensioni sociali, democratiche, di sovranità nazionale e si espande su scala internazionale. Gli effetti della crisi economica mondiale, combinati con la feroce oppressione e con la spudorata corruzione delle dittature, hanno unito gli strati popolari più svantaggiati, la classe operaia organizzzata con le classi medie, i giovani con i vecchi, le donne con gli uomini. Le masse tunisine ed egiziane non sopportavano più sistemi economici che le emarginavano. Come in molti paesi vicini, l’integrazione alla mondializzazione capitalista ha portato a una crescita economica poco produttiva di occupazione e a una concentrazione della ricchezza senza precedenti, a uno sviluppo ineguale dei territori e a un degrado generale delle condizioni di vita e di lavoro.
Una delle principali ragioni di questa rivoluzione è l’esplosione dei prezzi alimentari negli ultimi anni. Il rapido processo di cambiamento climatico ha portato alla crisi alimentare mondiale attuale, particolarmente in paesi come la Tunisia. La liberalizzazione economica imposta dall’FMI, dall’OMC e dalla UE si è tradotta in un’accresciuta precarizzazione dei lavoratori, nell’accaparramento delle terre da parte del capitalismo agrario orientato verso l’esportazione, in drastici tagli nei servizi pubblici e in una disoccupazione di massa che colpisce in particolare giovani laureati. E in più, con la chiusura delle frontiere dell’Unione Europea alle possibilità di emigrazione, e la contrazione del mercato del lavoro nelle monarchie petrolifere del Golfo, scompariva ogni possibilità di sfuggire alla povertà. Parallelamente, il soffocamento radicale delle libertà e dei diritti democratici da parte di Stati polizieschi che imponevano un controllo sociale generalizzato, e l’impossibilità di contropoteri – i partiti «di opposizione» parlamentari erano tollerati dai regimi tunisino ed egiziano solo come larve, le associazioni infiltrate o impedite di funzionare – hanno fatto sì che tra le dittature e le popolazioni non vi fosse altro che la figura del capo autocratico e un apparato repressivo devoto e feroce. E il funzionamento mafioso dei clan al potere ha finito per delegittimarlo.
Infine, questi due regimi si sono distinti per la loro collaborazione con lo Stato sionista di Israele, esasperando ancora di più popolazioni che considerano come proprie le sofferenze del popolo palestinese. Di fronte a tutte queste ingiustizie, negli ultimi anni si sono moltiplicati scioperi ed esplosioni sociali che hanno permesso un’accumulazione di esperienze senza tuttavia riuscire ad abbattere il muro della paura per la maggioranza delle popolazioni. Questo muro è stato sommerso in qualche settimana, e malgrado le numerosissime vittime il popolo tunisino, poi, con in mente il suo esempio il popolo egiziano, hanno sostenuto una lotta ininterrotta fino alla fuga dei dittatori Ben Alì e Mubarak.
3. Con queste vittorie, i popoli della regione araba ritrovano una immensa dignità, quella della loro irruzione sulla scena politica della democrazia e della lotta di classe, fuori dalla mortifera alternativa (o combinazione) autocrazie/islamismo nella quale erano rinchiusi da trent’anni. Le classi popolari, e in primo luogo la classe operaia di questa regione, hanno conquistato i mezzi per rivendicare tutte le libertà democratiche. Le donne, per rivendicare i loro diritti e l’uguaglianza con gli uomini. I lavoratori hanno conquistato i mezzi per contestare a un livello molto più alto i programmni di supersfruttamento del neoliberismo e destabilizzano in profondità i dispositivi di dominazione imperialista sulla regione, europei e statunitensi, connessi allo Stato di Israele. Non per errore il governo israeliano, in tutte le sue tendenze, ha preteso fino all’ultimo un sostegno dell’Occidente ai dittatori. La rivoluzione nella regione araba mostra il potenziale di emancipazione sociale e democratica di ogni lotta di massa contro l’ingiustizia. Il ruolo attivo delle donne nelle mobilitazioni è un segno inequivocabile. Questo processo permette di combattere le campagne razziste e islamofobiche sul cosiddetto «scontro delle civiltà», che tentano di far credere che la mobilitazione dei popoli arabo-musulmani apre la strada al fondamentalismo. Questa dinamica avrà effetti nel mondo intero. Nell’immediato ne ha già in Giordania, nello Yemen, in Bahrein, in Siria, in Libano, in Libia, in Algeria, in Marocco e in Mauritania, anche se non si può prevedere con che ritmo e in quale ordine potranno cadere i regimi al potere, ciascuno con le sue particolarità. Particolarmente in Libia, dove il regime ha attaccato la popolazione con aerei militari ed elicotteri e ha già ucciso più di 500 persone, c’è un rapido aggravarsi della situazione che richiede la nostra intera solidarietà. Queste rivoluzioni creano condizioni nuove e più favorevoli per la lotta dei palestinesi, lotta che la Quarta Internazionale incoraggia e sostiene. La rivoluzione egiziana mette concretamente all’ordine del giorno la fine di quel crimine contro l’umanità che è l’assedio di Gaza. Di fronte a questa situazione, la risposta dello Stato sionista può diventare ancora più dura e brutale. Occorrerà raddoppiare la mobilitazione per impedirglielo. La dinamica di queste rivoluzioni incoraggia anche le lotte contro le dittature in Iran e fino in Cina, dove le opposizioni si ispirano ai metodi di coordinamento utilizzati in Tunisia e in Egitto, come l’utilizzo delle reti sociali. Incoraggerà inevitabilmente le mobilitazioni delle popolazioni immigrate originarie della regione araba, supersfruttate e oppresse nei paesi capitalisti avanzati. Più che mai dobbiamo stare al fianco di queste popolazioni.
Ma questi processi possono avere conseguenze ancora più globali nei paesi imperialisti, dove i lavoratori e i giovani si scontrano sempre più massicciamente con i piani di austerità, senza trovare la via del successo: ci mostrano che una rivoluzione dal basso nel XXI secolo è possibile, che può abbattere un regime politico apparentemente inespugnabile e strappare conquiste che ancora ieri sembravano irraggiungibili!
4. Le conquiste di questi processi sono certamente fragili, in Tunisia come in Egitto, ma essenziali per lo sviluppo successivo. Basandosi sulle recenti esperienze popolari e sull’inserimento di lunga data della sinistra radicale nei sindacati, l’autorganizzazione si è sviluppata massicciamente quando per i manifestanti e gli abitanti dei quartieri si è reso necessario proteggersi dalle aggressioni della polizia e delle milizie del potere, in Tunisia da Sidi Bouzid ai quartieri popolari delle grandi città e alla Kasbah di Tunisi; in Egitto dalla Piazza Tahrir del Cairo ai quartieri di Suez, Mansurah o Alessandria. Scene inimmaginabili qualche giorno prima, i musulmani e i copti hanno protetto reciprocamente i propri momenti di preghiera, gli operai e i giovani internauti, le donne e i religiosi, gli scrittori e i taxisti hanno difeso fianco a fianco i punti attaccati dagli sbirri di Mubarak. I popoli sono riusciti a destabilizzare gli eserciti tentando sistematicamente di fraternizzare con i soldati. I dittatori sono fuggiti, le direzioni dei partiti al potere hanno dovuto rinunciare a funzionare sotto la pressione delle mobilitazioni, e le mobilitazioni popolari proseguono. In Tunisia, i dirigenti più corrotti sono perseguiti dalla giustizia, i fondi e i beni dello RCD vengono confiscati, le sue sedi sono diventate case del popolo. La maggior parte dei prigionieri politici è stata liberata. Gli apparati polizieschi dei due paesi, anche se non sono stati smantellati, sono disorganizzati. Gli impiegati dei ministeri cominciano a esercitare un controllo sui loro dirigenti, come quelli del Ministero degli Esteri tunisino che hanno ottenuto le dimissioni del loro ministro che aveva coperto di elogi la ministra francese Alliot-Marie. Molti governatori, sindaci e responsabili pubblici tunisini hanno dovuto dare le dimissioni. Le masse tunisine sono arrivate anche a chiedere la partenza dell’ambasciatore di Francia appena arrivato, dopo una sua dichiarazione sprezzante. Numerosi precari della funzione pubblica sono stati stabilizzati, il capitale dei dirigenti d’impresa più corrotti della Tunisia è stato nazionalizzato. Processi analoghi sono avviati anche in Egitto. I funzionari hanno ottenuto aumenti salariali del 15%, numerosi scioperi operai si sviluppano malgrado le minacce del nuovo potere.
5. Beninteso, le classi dominanti non sono rimaste inerti e saranno sempre più attive nei confronti dei processi rivoluzionari in estensione. In Tunisia, la «neutralità» dell’esercito e l’allontanamento di Ben Alì sono stati controbilanciati dalla permanenza al potere del suo primo ministro Ghannouchi e di numerosi dirigenti dell’RCD, che dovevano essere legittimati dall’arrivo al governo di parecchi partiti dell’opposizione e del grande sindacato UGTT. Il rifiuto di questa e la mobilitazione popolare hanno imposto un secondo governo, dove dei dirigenti dell’RCD rimane il solo primo ministro. Ma il nuovo potere è strutturato dai quadri dell’imperialismo francese, e impiega tutta la sua energia, assieme ai capitalisti tunisini e all’esercito, a convincere i lavoratori a riprendere il lavoro «come prima». Si tratterebbe di chiudere una parentesi … accontentandosi di annunciare elezioni generali entro 6 mesi. In Egitto, è direttamente l’esercito che assicura la «transizione», con il minaccioso ministro dell’interno Suleiman, noto torturatore, amico di Israele e altrettanto noto agente della CIA statunitense. Anche in questo caso, si ingiunge al popolo di essere ragionevole, per permettere la continuazione del turismo e degli investimenti esteri, con la promessa di elezioni tra qualche mese … e la minaccia della ripresa della repressione. I governi Sarkozy e Berlusconi, che non hanno visto niente di quanto stava per accadere e si sono compromessi nel sostegno a Ben Alì, sono in prima fila nell’Unione Europea nell’esigere ora la ripresa degli affari e il ritorno al blocco della polizia contro i migranti. L’imperialismo americano, con l’amministrazione Obama, è molto più flessibile: non avendo previsto né controllato il movimento in Egitto, finge di cavalcarlo, ma i suoi stretti legami con il comando dell’esercito pesano come una minaccia permanente sul processo rivoluzionario egiziano, ed esigerà garanzie sul traffico lungo il canale di Suez e il mantenimento della chiusura della frontiera palestinese a Gaza. Infine, le istituzioni internazionali sapranno esigere il rispetto dei fondamentali del capitalismo moderno: pagamento del debito pubblico anche se iniquo; rispetto dell’apertura totale ai capitali e ai prodotti stranieri, proseguimento della deregolamentazione.
6. In questo processo, è tutto il sistema che si deve smantellare per affermare tutti i diritti e le libertà democratiche: diritto di espressione, diritto di sciopero, diritto di manifestazione, pluralismo di associazioni, sindacati e partiti, liquidazione dell’istituzione presidenziale e instaurazione di un governo rivoluzionario provvisorio. È necessaria oggi l’apertura di un processo di elezioni libere per un’Assemblea Costituente. Per non essere confiscato da un nuovo potere delle oligarchie, questo processo deve basarsi sull’organizzazione dei comitati, coordinamenti e consigli popolari che sono emersi nella popolazione. In questo contesto, gli anticapitalisti lotteranno per le rivendicazioni centrali di un programma di rottura con l’imperialismo e il sistema capitalista: soddisfacimento dei bisogni vitali delle classi popolari (pane, salario, lavoro), riorganizzazione dell’economia in funzione dei bisogni sociali, servizi pubblici di qualità e gratuiti (scuola, sanità), i diritti delle donne, ampliamento della protezione sociale (disoccupazione, salute, pensioni), riforma agraria radicale, socializzazione delle banche e dei settori chiave dell’economia, annullamento del debito, sovranità nazionale e popolare. Questo programma di un governo che sia al servizio dei lavoratori e della popolazione è difeso in Tunisia dalla Lega della Sinistra Operaia (Ligue de la Gauche Ouvrière). Questa fa parte del Fronte del 14 gennaio, nel quale è riunita la sinistra che rifiuta il governo Ghannouchi e si batte per tutte le libertà democratiche, una Costituente e il soddisfacimento dei bisogni fondamentali. Questo programma è sostenuto anche in Egitto da un raggruppamento di rivoluzionari in corso di costituzione.
7. I popoli tunisino ed egiziano, e l’insieme dei popoli della regione araba hanno ancora bisogno della nostra solidarietà nella lotta per le libertà democratiche. Hanno ancor più bisogno della nostra mobilitazione per allentare la morsa imperialista: non pagamento dei debiti esteri dei vecchi regimi, restituzione dei beni e averi finanziari dei dittatori , protezione della sovranità nazionale dei popoli contro le pressioni del capitalismo internazionale; annullamento degli accordi internazionali sottoscritti dal vecchio regime nei settori militare, sicurezza e migrazione.
I rivoluzionari del mondo intero hanno ugualmente il compito essenziale di stabilire tutti i legami possibili con i sindacati, le associazioni e le organizzazioni anticapitaliste di questi paesi, per contribuire al consolidamento del processo rivoluzionario in corso, e appoggiare l’autorganizzazione dei popoli che vi prendonoi parte.
La rivoluzione in corso nella regione araba è la nostra lotta!
Nell’immediato sosteniamo le seguenti iniziative:
- l’appello dell’Assemblea dei movimenti sociali, riunita nel Forum Sociale Mondiale di Dakar, a una giornata mondiale di mobilitazione in solidarietà con le rivoluzioni nel mondo arabo, il 20 marzo 2011 (data anniversaria dell’invasione dell’Iraq nel 2003);
- la Conferenza delle organizzazioni rivoluzionarie della regione araba a Tunisi, convocata dalla LGO dal 25 al 27 marzo;
- la Conferenza anticapitalista mediterranea, convocata dall’NPA, che si terrà a Marsiglia il 7 e 8 maggio prossimi.