25 settembre 2011

Solidarietà al popolo palestinese e sostegno ai suoi diritti inalienabili


Il “presidente palestinese” e dell’Olp Abu Mazen ha chiesto oggi formalmente all’Assemblea delle Nazioni Unite il riconoscimento dello “Stato palestinese” quale 194° membro della stessa Onu, con un discorso di forte denuncia delle responsabilità israeliane e di rivendicazione dei diritti palestinesi “internazionalmente riconosciuti”.
Un’iniziativa politica significativa che ha certamente messo in moto un forte dibattito a livello internazionale (e tra le/i palestinesi) – anche se il probabile risultato sarà una bocciatura da parte del Consiglio di Sicurezza, almeno per l’opposizione statunitense ed europea.
Perché allora questa scelta della dirigenza di Fatah e dell’Anp?
Di fronte allo stallo dei negoziati con Israele – per responsabilità del governo Netanyahu che prosegue indisturbato la politica di colonizzazione e occupazione - l’obiettivo dell’Anp è quello di provare a forzare la mano alla diplomazia internazionale per tornare a qual tavolo negoziale “da stato a stato”, con il sostegno da parte di buona parte degli stati mondiali.
In secondo luogo la mossa di Abu Mazen cerca rimettere la sua dirigenza all’interno delle nuove dinamiche mediorientali che si sono aperte con la “primavera araba”, grazie in particolare all’appoggio di egiziani e sauditi, e al protagonismo turco. Un ritorno al centro della scena favorito dalla solidarietà che le popolazioni arabe continuano a mostrare per la causa palestinese e che cerca di essere utilizzata dai “nuovi” governi arabi alla ricerca di un nuovo consenso – e anche per questo Mahmud Abbas ha parlato di una “primavera palestinese”.
Infine, ma non di secondaria importanza, l’Anp palestinese cerca di riguadagnare la popolarità sempre più in ribasso tra la sua stessa popolazione – a causa della sua inefficacia politica interna e internazionale, dell’ambigua collaborazione dell’Anp con i servizi Usa e israeliani e della corruzione politica in Cisgiordania - facendo appello all’orgoglio palestinese e alla necessità di battere le resistenze israeliane e statunitensi.
In ogni caso, qualsiasi sia il giudizio sulla scelta della dirigenza palestinese, va evidenziata la vergogna dei governi europei e statunitense, che ancora una volta sostengono le “ragioni” di Israele, o meglio le sue politiche di occupazione e colonizzazione – “chiedendo” ai palestinesi di subordinare le loro richieste alle priorità israeliane (e sioniste) e rinunciare ai propri diritti riconosciuti internazionalmente. E naturalmente va segnalata la consueta arroganza israeliana, rappresentata dal primo ministro Netanyahu che ha esplicitamente dichiarato che i palestinesi potranno avere uno stato solo negoziando con Israele (alle sue condizioni, naturalmente).La popolazione e le forze politiche e sociali palestinesi, nei territori occupati e in tutta la diaspora, è divisa sulla decisione di Abu Mazen.
Molte sono state le manifestazioni popolari in Cisgiordania in appoggio alla “dichiarazione d’indipendenza”, e non possono essere liquidate come eterodirette da Fatah: come accadde dopo gli “accordi di Oslo”, la popolazione palestinese spera fortemente che qualcosa finalmente possa cambiare, visto il quotidiano peggioramento delle condizioni sociali e politiche.
Diverse forze e movimenti politici palestinesi hanno invece sottolineato i rischi e le ambiguità della mossa dell’Anp – evidenziando i “vuoti” della dichiarazione: quale sarà il territorio dello stato palestinese – visto che i “confini del 1967” sono di fatto cancellati sul terreno? Quale conseguenze potranno esserci per i diritti dei rifugiati espulsi nel 1948 (e dopo) – questione che non ha trovato posto nel discorso di Abbas? La dichiarazione di “indipendenza” non rappresenta un aiuto a Israele che potrebbe in questo modo cancellare le sue responsabilità per i territori ancora occupati?
Allo stesso tempo queste forze hanno sottolineato la totale subalternità della mossa dell’Anp al quadro di un “processo di pace” che non potrà andare oltre la nascita di un’entità palestinese controllata da Israele.Il nostro giudizio di fondo sulla scelta della leadership dell’Anp palestinese non è positivo, perché ci pare evidente la sua volontà di perseguire una direzione contraria non solo ai bisogni (e ai diritti) dei palestinesi – ma anche disinteressata a collocare una rinnovata mobilitazione palestinese nei processi di trasformazione che stanno attraversando tutti i paesi arabi. Il nostro è un giudizio negativo sulla strategia del “primo ministro” palestinese Salaam Fayyad: costruire le istituzioni palestinesi – politiche, amministrative, economiche e finanziarie – malgrado l’occupazione israeliana e prima di un contrasto a questa e di farlo in costante rapporto con gli Usa e le istituzioni finanziarie internazionali, cercando di garantire ai territori palestinesi un posto nella mondializzazione capitalista come strategia per avere alla fine il riconoscimento di uno stato: una strategia esplicitamente rivendicata da Abbas nel suo discorso all’Onu..
In ogni caso la mossa di Abu Mazen non potrà nascondere per molto la totale mancanza di una strategia complessiva di liberazione e di resistenza all’occupazione – limiti che mostra peraltro lo stesso Hamas su altri piani, che ha bocciato la dichiarazione di indipendenza ma non ha fatto nulla per boicottarla (vietando invece le manifestazioni a Gaza...), per non contrastare un possibile consenso popolare e per evitare frizioni con i governi arabi.Il compito della solidarietà internazionale non è comunque quello di sostituirsi alle forze politiche e alla popolazione palestinese – e come Sinistra Critica non lo faremo. Non ci interessa manifestare pro o contro la scelta dell’Anp. Concordiamo su questo con l’appello del “movimento dei giovani palestinesi” che scrive: “Indipendentemente dal fatto che la proposta per il riconoscimento statale venga accettata o meno... facciamo appello ai popoli liberi del mondo e agli alleati del popolo palestinese, a mostrare una reale solidarietà con i palestinesi in una lotta anti-coloniale, non schierandosi a favore o contro la dichiarazione di uno stato palestinese, ma piuttosto continuando a considerare Israele responsabile e pertanto boicottandola dal punto di vista economico, accademico e culturale. Fino a quando ritorneremo e saremo liberi”.
Ci rendiamo conto che la dichiarazione all’Onu – con tutte le sue ambiguità e i rischi di cancellare diritti universali del popolo palestinese, come quello al ritorno – rappresenta comunque una forte visibilità per la causa palestinese e può rilanciare un impegno internazionale a sostegno dei palestinesi: rimaniamo però convinte/i che questo sostegno possa avvenire solo dal basso e attraverso una forte solidarietà popolare.
Per questo riteniamo che in questo momento dobbiamo rafforzare i nostri legami con la società palestinese e i movimenti politici e sociali che resistono all’occupazione israeliana e alla rinnovata colonizzazione sionista – a partire dal movimento delle/dei giovani palestinesi giustamente preoccupato e impegnato alla costruzione di una nuova unità di tutto il popolo palestinese, e dal movimento BDS.
Ribadiamo il nostro impegno nei confronti del governo italiano e dell’Unione europea affinché mettano fine ad ogni collaborazione con le politiche israeliane – cancellando gli accordi economico-commerciali e militari con Israele – e perché sostengano fattivamente il riconoscimento internazionale e l’applicazione dei diritti del popolo palestinese.

Coordinamento nazionale Sinistra Critica