Nelle nostre intenzioni, la giornata del 15 ottobre doveva essere un grande momento di avvio (ripetiamo, avvio) di un processo di mobilitazione collettiva, permanente, che nascesse dal basso, dalla libera condivisione e dall’autodeterminazione di ogni singolo e singola.Una riappropriazione collettiva e stabile dello spazio pubblico sempre più urgente visto il precipitare della crisi economica e sociale, il carattere epocale e cruciale di questi giorni, di queste settimane, di questi mesi. Un processo inedito di mobilitazioni permanenti in corso in molti paesi, dagli Usa al Portogallo e alla Spagna ma che in Italia non è stato ancora possibile innescare.
Le notizie sul 15 ottobre dal mondo fanno crescere in noi la convinzione che questo processo si sarebbe potuto innescare anche in Italia proprio in quella giornata e invece così non è stato.
L’irriducibile complessità della giornata del 15 ottobre ci obbliga a riflessioni approfondite e pure a mantenere la calma, il sangue freddo, a reprimere sul nascere ogni, opposta, ma simmetrica, reazione emotiva di fronte a quello che è successo sabato, ai commenti di molti, così come all’utilizzo strumentale che di quella giornata si sta facendo da più parti.
A Roma hanno manifestato più persone che in qualsiasi altra capitale europea, questo è il dato che per noi più di tutti sintetizza l’occasione perduta. Sì perché alle nove o alle dieci di sabato sera eravamo tutti e tutte a casa e per questo ci domandiamo: su cosa si misura la radicalità di una pratica?
Noi siamo convinti che si misuri sulla capacità di raggiungere un obiettivo politico, di comunicarlo e farlo percepire come praticabile a livello di massa. Quasi un anno fa, il 14 dicembre, scontrarsi con chi difendeva un despota e un palazzo corrotto era un obiettivo politico che in tanti hanno sentito proprio. Nessuno ha avuto la sensazione di essere stato sovradeterminato da pochi manifestanti quel giorno, perché era chiaro a tutti da dove veniva e dove voleva arrivare quella rabbia. Sabato questo non è successo. Siamo scesi in piazza con le nostre tende, per rimanerci, per occupare una piazza e aprire uno spazio pubblico di mobilitazione permanente. Un bisogno che abbiamo ritrovato nei volti delle centinaia di persone che abbiamo incontrato sabato con le tende in spalla.
La piazza San Giovanni che avevano in mente una parte degli organizzatori non era quello che secondo noi serviva, non superava l’inutile ritualità, non avrebbe messo in campo elementi realmente utili alla costruzione del movimento necessario. Allo stesso modo però, non è stato utile nemmeno quanto accaduto da via Cavour a via Merulana, quando azioni in classico stile minoritario hanno cambiato il volto di un’intera manifestazione. Per questo abbiamo proposto altro, quell’altro che si sta dando ovunque tranne che in Italia. Una proposta di mobilitazione permanente che ci appare la più radicale, perché inedita, perché permanente, perché riproducibile, perché democratica!Chiaramente è differente il nostro giudizio su quanto accaduto a Piazza San Giovanni, dove migliaia di persone, soprattutto giovani, hanno resistito e si sono opposti alle cariche scellerate e criminali delle forze dell’ordine, che non hanno esitato a caricare con mezzi blindati ed idranti un’intera piazza.
Ovviamente dal giorno dopo è subito partito il massacro mediatico che porta inevitabilmente alla divisione fra buoni e cattivi. Il dividi et impera, insomma, era annunciato!
I giornali chiedono condanne e denunce pubbliche dei violenti. Una denuncia pubblica la vogliamo fare: polizia, carabinieri e finanza hanno tenuto un comportamento criminale, con le cariche e i caroselli di blindati su una piazza composita ed eterogenea, dimostrando la volontà di colpire indiscriminatamente l’intero movimento.
Per questi motivi non abbiamo dubbi nell’esprimere la nostra piena solidarietà a chi da giorni sta subendo irruzioni e perquisizioni in casa, a chi viene sbattuto in prima pagina e consegnato al massacro mediatico, a chi è stato arrestato e subirà la violenza di un sistema sempre più repressivo.Ci opporremo con tutte le nostre forze alle proposte di Maroni su nuove leggi speciali contro le manifestazioni e contro chi manifesta. Come al solito si vuole ridurre un problema sociale, frutto della crisi economica e della crisi della rappresentanza politica, ad un problema di ordine pubblico. Come al solito la ricetta parla di repressione e di limitazione degli spazi democratici e di dissenso.
Da oggi vogliamo chiudere il capitolo 15 ottobre e guardare avanti. Vogliamo ripartire dalle centinaia di migliaia di persone scese in piazza e che hanno dimostrato che in Italia è presente una larghissima opposizione sociale.
Questo movimento ha bisogno di potersi incontrare, di discutere liberamente, di condividere forme e contenuti. Questo movimento ha bisogno di poter sedimentare lentamente teorie e pratiche nuove e non di ripeterne di precostituite.
Questo movimento deve legittimarsi e non imporsi. Deve riuscire a catalizzare la rabbia e l’indignazione sociale in un percorso condiviso, ampio e partecipato, in un soggetto che sappia contrastare, contestare e sconfiggere ogni giorno le politiche capitaliste e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Questo movimento va dunque costruito.Ripartiremo dalle nostre facoltà, dai luoghi di studio e di lavoro. Ripartiremo dalle alleanze sociali che in questi anni hanno visto scendere in piazza gli studenti al fianco dei lavoratori, dei movimenti per i beni comuni, dei migranti, delle donne, dei precari.Siamo scesi in piazza gridando “Noi il debito non lo paghiamo”. Vogliamo trasformare questo slogan in realtà e far pagare la crisi a chi l’ha provocata!
AteneinRivolta - Coordinamento Nazionale dei Collettivi
Le notizie sul 15 ottobre dal mondo fanno crescere in noi la convinzione che questo processo si sarebbe potuto innescare anche in Italia proprio in quella giornata e invece così non è stato.
L’irriducibile complessità della giornata del 15 ottobre ci obbliga a riflessioni approfondite e pure a mantenere la calma, il sangue freddo, a reprimere sul nascere ogni, opposta, ma simmetrica, reazione emotiva di fronte a quello che è successo sabato, ai commenti di molti, così come all’utilizzo strumentale che di quella giornata si sta facendo da più parti.
A Roma hanno manifestato più persone che in qualsiasi altra capitale europea, questo è il dato che per noi più di tutti sintetizza l’occasione perduta. Sì perché alle nove o alle dieci di sabato sera eravamo tutti e tutte a casa e per questo ci domandiamo: su cosa si misura la radicalità di una pratica?
Noi siamo convinti che si misuri sulla capacità di raggiungere un obiettivo politico, di comunicarlo e farlo percepire come praticabile a livello di massa. Quasi un anno fa, il 14 dicembre, scontrarsi con chi difendeva un despota e un palazzo corrotto era un obiettivo politico che in tanti hanno sentito proprio. Nessuno ha avuto la sensazione di essere stato sovradeterminato da pochi manifestanti quel giorno, perché era chiaro a tutti da dove veniva e dove voleva arrivare quella rabbia. Sabato questo non è successo. Siamo scesi in piazza con le nostre tende, per rimanerci, per occupare una piazza e aprire uno spazio pubblico di mobilitazione permanente. Un bisogno che abbiamo ritrovato nei volti delle centinaia di persone che abbiamo incontrato sabato con le tende in spalla.
La piazza San Giovanni che avevano in mente una parte degli organizzatori non era quello che secondo noi serviva, non superava l’inutile ritualità, non avrebbe messo in campo elementi realmente utili alla costruzione del movimento necessario. Allo stesso modo però, non è stato utile nemmeno quanto accaduto da via Cavour a via Merulana, quando azioni in classico stile minoritario hanno cambiato il volto di un’intera manifestazione. Per questo abbiamo proposto altro, quell’altro che si sta dando ovunque tranne che in Italia. Una proposta di mobilitazione permanente che ci appare la più radicale, perché inedita, perché permanente, perché riproducibile, perché democratica!Chiaramente è differente il nostro giudizio su quanto accaduto a Piazza San Giovanni, dove migliaia di persone, soprattutto giovani, hanno resistito e si sono opposti alle cariche scellerate e criminali delle forze dell’ordine, che non hanno esitato a caricare con mezzi blindati ed idranti un’intera piazza.
Ovviamente dal giorno dopo è subito partito il massacro mediatico che porta inevitabilmente alla divisione fra buoni e cattivi. Il dividi et impera, insomma, era annunciato!
I giornali chiedono condanne e denunce pubbliche dei violenti. Una denuncia pubblica la vogliamo fare: polizia, carabinieri e finanza hanno tenuto un comportamento criminale, con le cariche e i caroselli di blindati su una piazza composita ed eterogenea, dimostrando la volontà di colpire indiscriminatamente l’intero movimento.
Per questi motivi non abbiamo dubbi nell’esprimere la nostra piena solidarietà a chi da giorni sta subendo irruzioni e perquisizioni in casa, a chi viene sbattuto in prima pagina e consegnato al massacro mediatico, a chi è stato arrestato e subirà la violenza di un sistema sempre più repressivo.Ci opporremo con tutte le nostre forze alle proposte di Maroni su nuove leggi speciali contro le manifestazioni e contro chi manifesta. Come al solito si vuole ridurre un problema sociale, frutto della crisi economica e della crisi della rappresentanza politica, ad un problema di ordine pubblico. Come al solito la ricetta parla di repressione e di limitazione degli spazi democratici e di dissenso.
Da oggi vogliamo chiudere il capitolo 15 ottobre e guardare avanti. Vogliamo ripartire dalle centinaia di migliaia di persone scese in piazza e che hanno dimostrato che in Italia è presente una larghissima opposizione sociale.
Questo movimento ha bisogno di potersi incontrare, di discutere liberamente, di condividere forme e contenuti. Questo movimento ha bisogno di poter sedimentare lentamente teorie e pratiche nuove e non di ripeterne di precostituite.
Questo movimento deve legittimarsi e non imporsi. Deve riuscire a catalizzare la rabbia e l’indignazione sociale in un percorso condiviso, ampio e partecipato, in un soggetto che sappia contrastare, contestare e sconfiggere ogni giorno le politiche capitaliste e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Questo movimento va dunque costruito.Ripartiremo dalle nostre facoltà, dai luoghi di studio e di lavoro. Ripartiremo dalle alleanze sociali che in questi anni hanno visto scendere in piazza gli studenti al fianco dei lavoratori, dei movimenti per i beni comuni, dei migranti, delle donne, dei precari.Siamo scesi in piazza gridando “Noi il debito non lo paghiamo”. Vogliamo trasformare questo slogan in realtà e far pagare la crisi a chi l’ha provocata!
AteneinRivolta - Coordinamento Nazionale dei Collettivi