24 gennaio 2012

Il rapporto OCSE sull'Italia


Quando anche il rapporto Ocse sancisce quello che solo alcuni pochi "dissidenti" ripetono da diversi anni vuol dire che la situazione è molto seria. Ieri il programma "Divided we stand" dell'Ocse ieri ha presentato la sua "nota" sull'Italia alla presenza della ministra Fornero. E ne viene fuori un ritratto impietoso.

"La disuguaglianza dei redditi tra le persone in età lavorativa è aumentata drasticamente nei primi anni Novanta e da allora è rimasta a un livello elevato, nonostante un leggero calo verso la fine del primo decennio degli anni duemila. La disuguaglianza dei redditi in Italia è superiore alla media dei Paesi Ocse, più elevata che in Spagna ma inferiore che in Portogallo e nel Regno Unito.
Nel 2008, il reddito medio del 10% più ricco degli italiani era di 49.300 euro, dieci volte superiore al reddito medio del 10% più povero
(4.877 euro) indicando un aumento della disuguaglianza rispetto al rapporto di 8 a 1 di metà degli anni Ottanta.
Le imposte sui redditi e i sussidi sociali hanno un ruolo importante nella redistribuzione del reddito in Italia, riducendo la disuguaglianza di circa il 30%

La proporzione di reddito detenuta dallo 0.1% della popolazione è aumentata da 1.8% a 2.6% nel 2004. Allo stesso tempo, le aliquote marginali dell'imposta sui redditi più alti si sono quasi dimezzate passando dal 72% nel 1981 al 43% nel 2010. (la pressione fiscale, quindi, è diminuita per i redditi più alti generando un impatto esplosivo sul debito pubblico, ndr).
Un ruolo maggiore del reddito da lavoro autonomo. L’aumento dei redditi da lavoro autonomo ha contribuito in maniera importante all’aumento della disuguaglianza dei redditi da lavoro: la loro quota sul totale dei redditi è aumentata del 10% dalla metà degli anni Ottanta e i redditi da lavoro autonomo sembrano ancora predominare tra le persone con i redditi più alti, al contrario di molti altri Paesi OCSE.

I lavoratori meglio pagati lavorano più ore. In Italia la differenza tra le ore di lavoro dei lavoratori meglio e peggio retribuiti è aumentata, confermando l’andamento visto nella maggior parte dei Paesi OCSE. Dalla metà degli anni Ottanta, il numero annuale di ore di lavoro dei lavoratori dipendenti meno pagati è diminuito, passando da 1580 a 1440 ore; anche quello dei lavoratori meglio pagati è diminuito, ma in minor misura, passando da 2170 a 2080 ore

Sempre più persone si sposano con persone con redditi da lavoro simili ai loro. Questo cambiamento sociale ha contribuito ad un terzo dell'aumento della disuguaglianza di reddito da lavoro tra le famiglie. L’aumento della disuguaglianza dei redditi da lavoro maschile rimane, tuttavia, la prima causa dell’aumento della disuguaglianza totale spiegandone la metà.

La redistribuzione attraverso i servizi pubblici è diminuita. Come in molti paesi OCSE, in Italia sanità, istruzione e servizi pubblici destinati alla salute contribuiscono a ridurre di circa un quinto la disuguaglianza di reddito. Gli stessi contribuivano a una riduzione della disuguaglianza pari a circa un quarto nel 2000. La spesa sociale in Italia è basata prevalentemente su trasferimenti pubblici, come per esempio i sussidi di disoccupazione, piuttosto che da servizi.
Ma la capacità di stabilizzare la diseguaglianza del sistema impositivo e dei sussidi è aumentato. Imposte e sussidi compensavano metà dell’aumento della disuguaglianza del reddito da lavoro e da capitale (che include gli stipendi lordi, i risparmi e il reddito da capitale) prima della metà degli anni Novanta. Da allora hanno compensato quasi interamente l’aumento della disuguaglianza del reddito da lavoro e da capitale".

Con questa analisi, l'Ocse si spinge a fare delle raccomandazioni politiche "fondamentali" che si mantengono sul generico ma stavolta non replicano le solite ricette liberiste. Al primo posto c'è, infatti, l'idea che "l’occupazione è il modo per migliore di ridurre le disparità". Quindi "posti di lavoro qualitativamente e quantitativamente migliori". E' poi "essenziale investire nelle risorse umane, un processo che deve iniziare dalla prima infanzia ed essere sostenuto per tutto il ciclo di istruzione obbligatoria". Si parla, ovviamente di "riforma delle politiche fiscali e previdenziali" ma anche della necessità che "per i gruppi a basso reddito in coincidenza con le fasi recessive evidenziano l’importanza del ruolo degli ammortizzatori sociali, dei trasferimenti pubblici e delle politiche di sostegno del reddito".

Ma a essere rilevante è l'invito a intervenire sui redditi più elevati: "La quota crescente di reddito per la popolazione con le retribuzioni più elevate suggerisce che la sua capacità contributiva è aumentata. In tale contesto, le autorità potrebbero riesaminare il ruolo redistributivo della fiscalità onde assicurare che i soggetti più abbienti contribuiscano in giusta misura al pagamento degli oneri impositivi". Chi più ha più paghi, è il messaggio.
Importante anche "l’offerta di servizi pubblici gratuiti e di qualità elevata in ambiti quali l’istruzione, la sanità e l’assistenza familiare".