La manifestazione del 14 novembre, la composizione di classe, la
richiesta di uno spazio sociale e politico al tempo con il ritmo del
movimento. Che oscilla tra passo lento e veloce
di Felice Mometti
Nel ritmo base del foxtrot ogni passo lento occupa due battiti musicali e ogni passo veloce un solo battito.
14 dicembre 2010 - 14 novembre 2012. Un sottile, ma
robusto, filo lega queste due date. E' il riemergere di una composizione
sociale e di classe che non si fa irrigimentare nello "stato di
eccezione" imposto dal Governo e dai partiti che lo sostengono. Due anni
fa molte analisi confinarono quella rivolta nell'ambito di un
antiberlusconismo, certo poco educato e insofferente alle pantomime
della politica istituzionale, che attraversava l'intera società. Ciò che
invece muoveva coscienze, condizioni materiali, immaginari era non
solo, ed oggi possiamo dire non tanto, la cacciata della maschera di
Arcore - già entrata in una rabbiosa agonia - ma l'apparizione, la messa
in forma, di soggetti e contenuti che debordavano i tradizionali confini di una sinistra più o meno radicale.
Una politicità, connaturata negli avvenimenti e nei comportamenti, alla
ricerca di linguaggi e strumenti che facessero bruciare le tappe,
senza rallentamenti dovuti alle macerie del passato. Obiettivamente era
molto difficile arrivare in orario a quell'appuntamento, nonostante le
premesse. Gli orologi non erano sincronizzati e segnavano ancora ore
diverse.
La grande manifestazione della Fiom, aperta ai "movimenti", di due
mesi prima aveva riacceso la vana speranza della possibilità di un
fronte politico-sociale costruito per addizione aritmetica con
l'illusione che il gruppo dirigente di quel sindacato, nelle sue varie
sfumature e ognuno con propri alleati, potesse fare da catalizzatore
universale. Fece solo una breve supplenza. E i posizionamenti politici,
allora in embrione, successivamente emersero e si incaricarono di fare
chiarezza, rendere evidente il vicolo cieco in cui si era infilata
quella strategia politica e sindacale. La corsa all'indietro di queste settimane,
il rientro nell'alveo della Cgil, della maggioranza della Fiom assume
un duplice aspetto: la salvaguardia di una struttura sindacale e
l'impossibilità della stessa, così com'è, di oltrepassare i confini di
una rappresentanza verticale e gerarchica, per categorie professionali,
della forza-lavoro. Questa svolta più o meno improvvisa ha lasciato sul
posto una smarrita sinistra interna.
La politica è questione di spazi e tempi. Spazi
sociali conquistati e tempi politici agiti nella contemporaneità
dell'azione dei soggetti in movimento. Non si danno gli uni senza gli
altri. Se la consapevolezza della crucialità del tempo politico vissuto
da soggetti incompatibili con la governance dell'eccezione permanente
non trova uno spazio sociale adeguato per esprimersi si è destinati a
incrociare sulla propria strada solo lo Stato e i suoi apparati
repressivi. Questo è ciò che è accaduto il 15 ottobre
dello scorso anno. Ciò che lo ha depontenziato, ridotto a "questione di
ordine pubblico". Al di là di tutte le ricostruzioni dello scena, i
malcelati opportunismi, le elaborazioni del lutto. Ricomporre
l'infranto, diceva Walter Benjamin, non per
riconquistare una linearità e una progressività delle esperienze e delle
lotte, peraltro mai esistite. La differenza tra le mobilitazioni
spagnole, greche, del movimento Occupy fino a qualche mese fa e quelle
italiane non sta tanto in una minore frammentazione, in un maggior
coordinamento, in una minore incisività degli apparati ideologici e
mediatici, nella diversa articolazione della crisi. Tutto questo c'è, è
presente, conta, ma non tanto da costituirne la differenza specifica. E'
il punto di precipitazione, di condensazione delle mobilitazioni,
delle lotte, dei comportamenti politici, degli immaginari sociali e
generazionali che fa la differenza, che produce lo scarto e riapre nuovi
spazi e ritma nuovi tempi.
In Italia oggi questa condensazione e questo scarto ancora non si
danno. Ci sono tanti sintomi, segnali ma non ancora una riconoscibiltà
evidente. Certo non aiutano atteggiamenti che si affannano a proporre l'importazione di modelli inapplicabili come Syriza,
il movimento Occupy o degli Indignados. E aiutano ancora meno le
aggregazioni elettorali infarcite di feticismo costituzionale e
nostalgie keynesiane che hanno come interlocutore un popolo che non
esiste più, quello della sinistra. La paura dello sfondamento elettorale
a sinistra delle liste di Grillo fa montare la guardia a casematte
ormai vuote. Per dirla ancora parafrasando Benjamin: si è persa "l'aura politica",
e non da oggi. Quella collocazione nelle coscienze, nelle aspettative,
nei comportamenti, nelle prospettive che rendeva inaggirabili le
organizzazioni politiche e sociali della sinistra più o meno radicale.
E' da questo dato che bisogna ripartire facendo molta attenzione a
quello che produce il conflitto sociale e di classe ed ai soggetti
protagonisti.
Dall'inizio del mese di ottobre è stato un susseguirsi di sommovimenti locali e nazionali che
hanno messo di nuovo in chiaro la natura e la consistenza di settori
significativi della nuova composizione sociale e di classe. In parte,
quelli più dinamici, giovani e precari con delle identità che non
mettono al centro la traduzione necessariamente politica e elettorale
della propria condizione sociale e materiale. E componenti, generalmente
meno giovani, che si rifugiano nelle lotte locali o settoriali perchè
esauste dei fallimenti della sinistra. Attardarsi solo a criticare le
debolezze e la contraddittorietà, che pur ci sono e non vanno
dimenticate, di questa composizione sociale significa nei fatti
collocarsi nel ruolo di spettatori che applaudono, se va bene, o
fischiano. Se non si coglie la politicizzazione in continuo divenire
di questi soggetti che lottano, che ha dei momenti di coagulo come è
stato il 14 novembre, si possono anche fare degli intermezzi utili,
come il No Monti day, ma la musica è un'altra. E' quella di un
anticapitalismo a densità variabile, spesso confuso, che si esprime a
ondate intermittenti. La lotta di classe non segue le leggi dell'aritmetica ma quelle dell'algebra è
stato detto da qualcuno e la necessità di uno spazio sociale e politico
che sia all'altezza di questa esigenza è sempre più impellente.