18 novembre 2012

Le vere emergenze securitarie sono altre

di Salvatore Palidda
il manifesto 17/11/2012
È difficile immaginare che i manifestanti avessero l'intento e le capacità di dare l'assalto al "palazzo d'inverno" e di identificarlo in quello del ministero della Giustizia. 
Ma gli zelanti agenti (o, chissà, impiegati e funzionari del ministero improvvisamente travolti dal panico di essere vittime di un tragico assalto come nel 1917 a Mosca) hanno reagito senza batter ciglio scagliando dal tetto e dalle finestre una sequela di lacrimogeni. La ministra di questo dicastero ha tenuto a precisare che si tratterebbe di «lacrimogeni a strappo che non sono in dotazione al reparto di polizia penitenziaria di via Arenula». Da parte sua, il solerte questore di Roma ha subito dichiarato che i lacrimogeni sono stati lanciati da agenti della polizia, sparati «a parabola» non diretti sui manifestanti. La traiettoria sarebbe stata deviata perché avrebbero urtato sull'edificio. Una versione che ricorda la parabola del proiettile che uccise Carlo Giuliani, anch'esso «deviato da un sasso».
Ancora il questore (che probabilmente vuole candidarsi a una adeguata promozione visto che si stanno sgomberando posti ai vertici del Viminale) non manca di aggiungere: «Se ad un certo punto veniamo aggrediti militarmente è chiaro che dobbiamo reagire, perché siamo qui anche per questo: per tutelare la legge, questo è il nostro compito». Se l'aggressione è militare vuol dire che siamo in guerra, ergo: di qua ci sono i "soldati del giusto campo" e di là i nemici da annientare. E voilà, ecco un altro pilastro scientifico della polizia italiana forgiata dal G8 di Genova a oggi dal superpoliziotto De Gennaro e dai suoi fedelissimi discepoli e amici (ai quali ha garantito carriere folgoranti, creando una schiera di prefetti ex-poliziotti mai così folta): i manifestanti possono diventare nemici come in guerra e allora la polizia non è più destinata alla "chirurgia sociale" per separare i facinorosi dai semplici manifestanti, ma sarebbe "costretta" ad adottare modalità militari.
Ecco dunque riconfermato il paradigma della governance dell'ordine pubblico, che può oscillare, secondo le occasioni, dal poliziesco al militare e viceversa come prescrive la scuola liberista lanciata sin dai tempi di Reagan e che oggi cerca di forgiare la poco nota ma influente Eurondfor (www.eurogendfor.org). Una scuola ancor di più valida, visto l'aggravamento della crisi nell'Unione europea. L'Italia, dai governi Prodi e soprattutto D'Alema e ancor di più con quelli berlusconiani-leghisti, è perfettamente in linea avendo abolito di fatto i concorsi per il reclutamento nelle polizie, riservandoli ai soli militari che hanno fatto la ferma volontaria e quindi esperienze nelle guerre in Iraq, Balcani, Bosnia, Afghanistan. Abbiamo quindi un processo di militarizzazione delle polizie che sembra scontato e infatti anche l'aspirante guru della sicurezza del Pd ha creato una fondazione in cui ci stanno tutti, da rappresentanti dei servizi segreti a militari, esperti delle polizie e anche qualche "scienziato sociale" (vedi www.fondazioneicsa.it).
Così, come può facilmente constatare il comune mortale che paga tasse su tasse anche per mantenere una panoplia di polizie e di controlli che in Italia è enorme rispetto a tutti i paesi del mondo (il tasso per abitante più alto di spese pubbliche e private per la sicurezza e gli stipendi più alti dei vertici delle polizie e dei militari - quello del capo del Viminale cinque volte di più di quello del capo dell'Fbi) anziché avere delle polizie che garantiscano il diritto a manifestare abbiamo delle polizie che ogni qualvolta si profili una protesta un po' massiccia, anche se lungi dal rappresentare una effettiva minaccia al potere, sceglie di passare a modalità militaresche.
Nel frattempo, nessuno sembra accorgersi che ben poco fanno le nostre polizie per contrastare il lavoro nero, le neo-schiavitù, l'insicurezza sul lavoro, i gravissimi attentati alla salute pubblica derivanti dall'inquinamento provocato dalle attività sommerse o semi-legali, le stesse ecomafie e le tanto citate evasione fiscale e corruzione. Un universo di reati - cioè di insicurezze - che restano ignorati perché, dalle polizie locali a quelle nazionali, la priorità assoluta è attribuita alla repressione.
Cosa verrebbe fuori se si facesse un bilancio effettivamente indipendente e trasparente dei costi e benefici del governo delle insicurezze e della sicurezza in Italia? Ci saranno un giorno dei parlamentari ed eletti negli enti locali che vorranno cimentarsi con onestà e rigore su questo terreno? Per ora l'ignoranza in questo campo appare spaventosa. Tanti sbraitano davanti ai periodici abusi, violenze e atti razzisti, ma poi tutto passa non solo a causa della memoria corta che produce il bombardamento mediatico, ma perché non si guardano gli intrecci delle conseguenze di più di venti anni di liberismo al potere. Se c'è da fare controinformazione utile, occorre denunciare gli episodi di violenze poliziesche-militaresche come continuum di quella governance liberista che allo stesso tempo ignora le vittime delle diffuse e tragiche insicurezze e violenze, ossia quella buona parte della popolazione che tende a diventare maggioranza e che alcuni chiamano il 99 per cento.