16 gennaio 2011

Tunisia: Ben Ali a Jedda, potere a un direttorio

Il dittatore e' riparato con la sua famiglia in Arabia saudita. Il paese celebra la vittoria della rivolta ma resta nel caos e si teme "soluzione Birmana". La sinistra e' stata protagonista dell'insurrezione assieme al sindacato

Roma, 15 gennaio 2011, Nena News
– Il presidente-tiranno Ben Ali, buon amico degli Stati Uniti, della Francia e del governo Berlusconi, ieri ha abbandonato il paese di fronte alle proteste popolari lasciando il potere ad un direttorio formato da sei persone e capeggiato dal premier Mohammed Ghannuchi, che sara’ presidente ad interim fino alle prossime elezioni. Ben Ali, che e’ riparato la scorsa notte a Gedda (Arabia saudita) credeva di aver spento la rivolta popolare con l’annuncio fatto giovedi’ sera dell’avvio di riforme politiche ed economiche. Invece la ribellione dei tunisini è andata avanti e ha puntato non piu’ soltanto a “pane e lavoro” come nei giorni scorsi ma direttamente alla sua caduta e, ora si spera, anche del sistema di potere che aveva creato. A poco è servita la decisione di sciogliere il governo, liberare gli oppositori arrestati e di convocare elezioni anticipate entro i prossimi 6 mesi.

Il paese però appare fuori controllo e si teme un colpe militare che all’ansia di liberta’ e di sviluppo economico dei tunisi darebbe invece una “soluzione birmana”. Non si conosce il numero preciso delle vittime di ieri ma sarebbero numerose.

La fuga del tiranno Ben Ali, a lungo aiutato e sostenuto dai governi occidentali, nonostante le gravissime violazioni dei diritti umani e politici in Tunisia, rappresenta l’uscita di scena dell’uomo che ha tenuto prigioniero un intero paese per 23 anni. Le incognite sono tante, l’opposizione e’ ancora debole e divisa e la sinistra (con in testa il Partito comunista) non e’ sufficientemente forte pur avendo svolto assieme al sindacato Nena News vi propone un’ intervista realizzata da Tommaso di Francesco per il quotidiano Il Manifesto allo storico Angelo Del Boca che ripercorre la vicenda di Ben Ali, un dittatore amico di molti leader occidentali, come il francese Nicolas Sarkozy, che ora quasi fingono di non averlo mai conosciuto e appoggiato.

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Chi è Zine el-Abidine Ben Ali, presidente della Tunisia e da dove trae il suo potere?

Ben Ali, capo dello stato dal 1987, è stato per molto tempo l’uomo forte del paese. Era un generale, è stato ministro della sicurezza interna, il personaggio chiave che ha avuto in mano tutto il potere tunisino. Tanto è vero che dopo qualche settimana dalla sua elezione a primo ministro, hadestituito Burghiba, il leader che aveva fatto la rivoluzione e aveva portato il paese all’indipendenza. E lo ha fatto dichiarando: è vecchio, mandiamolo nel suo paese natale, a Munastir; cosa che il vecchio Bourguiba ha fatto tranquillamente senza neppure rivoltarsi. Ben Ali ha avuto tutti i poteri e li ha conservati in questi anni prendendo l’esempio dai suoi vicini al potere da sempre, Mubarak in Egitto, Gheddafi in Libia, Bouteflika in Algeria. Fa eccezione il Marocco che ha una dinastia di re che sono anche capi religiosi, quindi con doppio potere carismatico. Comunque gli elementi che contraddistinguono tutti questi leader è il potere assoluto, duramente esercitato contro ogni opposizione. Certo Ben Ali ha fatto ogni sforzo per dimostrare che era democratico, che non era un dittatore, ma gli oppositori li ha in realtà sempre messi in galera lo stesso. Va ricordatoche c’era già stata nel 1984 una rivolta del pane, che però aveva riguardato solo alcune regioni del paese e i settori più disperati della popolazione. Stavolta ha un aspetto nuovo, riguarda tutta la Tunisia e coinvolge tutti gli strati della società, dagli intellettuali ai poveracci, all’uomo della strada. A partire dagli intellettuali, perché la Tunisia è il paese con maggiore formazione culturale di tutto il Maghreb ma con il livello più alto di disoccupazione intellettuale. E dove tutto è nelle mani di un solo uomo e della sua famiglia, in particolare del genero, il neodeputato Sakhr El-Materi.

Dunque il suo è un potere familistico?

Sì, lo stesso familismo che c’è in Libia e in Egitto, anche se ora il figlio del rais al tramonto Mubarak sente la difficoltà di non avere dietro di sè il Partito nazionale democratico al potere.

Si è parlato di un possibile golpe dei militari tunisini, intanto Ben Ali ha destituito il capo di stato maggiore dell’esercito e il ministro degli interni. Qual è il rapporto tra Ben Ali e i militari?

Lui in fondo è un militare che è arrivato al potere con un colpo di stato. Quindi ha sempre avuto un buon rapporto con l’esercito e bisogna, da questo punto di vista, verificare meglio la notizia della destituzione del capo di stato maggiore dell’esercito perché si sarebbe rifiutato di intervenire contro la rivolta. Ha però deciso di liberare tutti quelli che sonostati arrestati, e sono alcune centinaia. Nonché ordina l’abbassamento di tutti i prezzi. Tutto questo vuol dire che, nonostante i legami con le forze armate, ha paura, finalmente ha paura di essere detronizzato. Visto che è al suo quarto o quinto mandato. E alle ultime votazioni ha addirittura varato una legge che non prevede più i termini per la sua rielezione, prima era ogni cinque o sei anni. Adesso non c’è limite. Ben Ali per sempre. Va considerato il fatto che le sue aperture dell’ultimo momento, come abbassare i prezzi e liberare gli arrestati, arrivano a quasi un mese dall’inizio della protesta. Non dimentichiamo la data del 17 dicembre, quando a Sidi Bouzid un ragazzo che stava per laurearsi ma che, per far studiare anche i fratelli, aveva poi deciso di fare l’ambulante, era stato fermato dalla polizia e malmenato. A quel punto lui si è cosparso di benzina, si è dato fuoco. Ed è morto. È stata questa la scintilla della rivolta, che covava certo da tempo. Con una questione sociale in più, le difficoltà che ormai l’Unione europea frappone all’immigrazionedal Maghreb.
Come giudichi le reiterate dichiarazioni del ministro degli esteri Frattini in difesa del «governo amico» di Ben Ali, perché combatte l’integralismo islamico?


È sicuro che il regime tunisino ha messo in carcere tutti gli integralisti che c’erano nel paese. Ma non per fare un favore all’occidente, perché è una opposizione anche sociale che gli dà fastidio. Frattini prende per oro colato tutto questo, sia perché riconosce la loro posizione – anche quella di Algeri – anti-Al Qaeda ma soprattutto perché solo in Tunisia ci sono 700 società italiane. Ecco perché difende il «governo amico» di Ben Ali.

Il ministro degli interni tunisino, prima di essere destituito, ha detto che le proteste erano aizzate dall’integralismo islamico e dalla sinistra. C’è ancora una sinistra in Tunisia e nel Maghreb?

Sì, c’è una sinistra, almeno in Tunisia. Ma soprattutto c’è una forte storia e pratica sindacale. E in Tunisia c’è anche un partito comunista, non a caso i suoi leader sono stati arrestati in questi giorni. Ma soprattutto – l’ho verificato direttamente già negli anni Cinquanta – c’è una vecchia tradizione sindacale molto importante. Anche l’anziano leader Burghiba, il fondatore della Tunisia indipendente, aveva più paura del suo sindacato che della stessa Francia e del resto.
Nena News