Ramallah, 14 marzo 201, Nena News
In un appello congiunto, numerose organizzazioni giovanili, hanno convocato una manifestazione popolare per chiedere la fine della divisione del popolo palestinese e proclamato il 15 marzo “giornata della riconciliazione”. Nella giornata di martedì, le maggiori città della Cisgiordania e della Striscia di Gaza si mobiliteranno per richiedere ai rispettivi rappresentanti (al-Fatah e Hamas) una rinnovata unità basata sui principi e i valori condivisi da tutti. Le stesse organizzazioni, che rivendicano la propria indipendenza rispetto ad ogni partito politico, hanno posto come principio base l’illegittimità della detenzione politica ed esigono in primo luogo “il rilascio di tutti i prigionieri politici detenuti dal governo di Gaza e dall’Autorità Palestinese in Cisgiordania”.
La fine della divisione, si legge nel comunicato, può cristallizzarsi solamente attraverso “la completa ristrutturazione del Palestinian National Council, e la creazione di un nuovo modello elettorale per l’insediamento di un governo democratico che rappresenti equamente tutti i palestinesi nel mondo (Cisgiordania, Striscia di Gaza, territorio del ’48, campi rifugiati e palestinesi della diaspora)”. Con pregevole acume lo stesso documento, non solo contempla il rischio che entrambi i governi possano sfruttare la “giornata della riconciliazione” a proprio favore, ma ne denuncia esplicitamente le intenzioni: “il governo Fayyad di Cisgiordania e quello di Hamas a Gaza stanno cercando di cooptare il movimento per servire i propri interessi ed auto-legittimarsi. Quello del 15 marzo è un movimento del popolo per il popolo in cui ogni appartenenza politica o sostegno istituzionale deve rimanere escluso”.
Dall’appello emerge con chiarezza come i giovani palestinesi siano consci che le spaccature all’interno della società siano ben più di un semplice attrito e che ci siano degli interessi politici ed economici atti a mantenerle tali. Inoltre, che gli stessi interessi facciano in qualche modo parte di un quadro più ampio al cui interno campeggiano sia Israele che U.S., è una sensazione che sembra permeare la popolazione benché a dichiararla siano solo in pochi ma che ha avuto come ultima prova le rivelazioni emerse dai files di Wikileaks a proposito delle trattative per Gerusalemme Est e il diritto al ritorno.
L’appuntamento del 15 marzo, nonostante sembri essere nutrito da rivendicazioni del tutto legate alla questione palestinese, probabilmente non avrebbe acquisito forma (o almeno non con tale tempestività) senza la spinta dei nuovi eventi che stanno coinvolgendo il vicino e il medio oriente, dal Libano alla Tunisia, dalla Giordania al Bahrein. Se fino ad oggi non si può dire che le dimostrazioni a supporto delle rivoluzioni e dei popoli che stanno lottando per la libertà siano state imponenti, ciò non significa che i palestinesi siano disattenti a quello che gli accade intorno. Essi, al contrario, seguono con grande attenzione il fluire degli avvenimenti ma non possono che dimostrarsi prudenti, inchiodati alla duplice stretta dell’occupazione israeliana e dei contrasti politici interni. Per di più, fatta eccezione dei “numeri”, le manifestazioni di sostegno da parte della società civile sono state puntuali e visibili, e sembrano salire di intensità ad ogni occasione. La “giornata della riconciliazione” può quindi essere interpretata anche come la “declinazione palestinese” dello stesso “malcontento popolare panarabo” che sta svalicando i confini nazionali (laddove di confini si può parlare) unendo con particolare entusiasmo le giovani generazioni.
Come preludio all’evento è in corso da qualche giorno uno sciopero della fame da parte di alcuni ragazzi e ragazze che nei giorni scorsi hanno svolto un sit-in di protesta ad al-Manara, la piazza centrale di Ramallah.
In un appello congiunto, numerose organizzazioni giovanili, hanno convocato una manifestazione popolare per chiedere la fine della divisione del popolo palestinese e proclamato il 15 marzo “giornata della riconciliazione”. Nella giornata di martedì, le maggiori città della Cisgiordania e della Striscia di Gaza si mobiliteranno per richiedere ai rispettivi rappresentanti (al-Fatah e Hamas) una rinnovata unità basata sui principi e i valori condivisi da tutti. Le stesse organizzazioni, che rivendicano la propria indipendenza rispetto ad ogni partito politico, hanno posto come principio base l’illegittimità della detenzione politica ed esigono in primo luogo “il rilascio di tutti i prigionieri politici detenuti dal governo di Gaza e dall’Autorità Palestinese in Cisgiordania”.
La fine della divisione, si legge nel comunicato, può cristallizzarsi solamente attraverso “la completa ristrutturazione del Palestinian National Council, e la creazione di un nuovo modello elettorale per l’insediamento di un governo democratico che rappresenti equamente tutti i palestinesi nel mondo (Cisgiordania, Striscia di Gaza, territorio del ’48, campi rifugiati e palestinesi della diaspora)”. Con pregevole acume lo stesso documento, non solo contempla il rischio che entrambi i governi possano sfruttare la “giornata della riconciliazione” a proprio favore, ma ne denuncia esplicitamente le intenzioni: “il governo Fayyad di Cisgiordania e quello di Hamas a Gaza stanno cercando di cooptare il movimento per servire i propri interessi ed auto-legittimarsi. Quello del 15 marzo è un movimento del popolo per il popolo in cui ogni appartenenza politica o sostegno istituzionale deve rimanere escluso”.
Dall’appello emerge con chiarezza come i giovani palestinesi siano consci che le spaccature all’interno della società siano ben più di un semplice attrito e che ci siano degli interessi politici ed economici atti a mantenerle tali. Inoltre, che gli stessi interessi facciano in qualche modo parte di un quadro più ampio al cui interno campeggiano sia Israele che U.S., è una sensazione che sembra permeare la popolazione benché a dichiararla siano solo in pochi ma che ha avuto come ultima prova le rivelazioni emerse dai files di Wikileaks a proposito delle trattative per Gerusalemme Est e il diritto al ritorno.
L’appuntamento del 15 marzo, nonostante sembri essere nutrito da rivendicazioni del tutto legate alla questione palestinese, probabilmente non avrebbe acquisito forma (o almeno non con tale tempestività) senza la spinta dei nuovi eventi che stanno coinvolgendo il vicino e il medio oriente, dal Libano alla Tunisia, dalla Giordania al Bahrein. Se fino ad oggi non si può dire che le dimostrazioni a supporto delle rivoluzioni e dei popoli che stanno lottando per la libertà siano state imponenti, ciò non significa che i palestinesi siano disattenti a quello che gli accade intorno. Essi, al contrario, seguono con grande attenzione il fluire degli avvenimenti ma non possono che dimostrarsi prudenti, inchiodati alla duplice stretta dell’occupazione israeliana e dei contrasti politici interni. Per di più, fatta eccezione dei “numeri”, le manifestazioni di sostegno da parte della società civile sono state puntuali e visibili, e sembrano salire di intensità ad ogni occasione. La “giornata della riconciliazione” può quindi essere interpretata anche come la “declinazione palestinese” dello stesso “malcontento popolare panarabo” che sta svalicando i confini nazionali (laddove di confini si può parlare) unendo con particolare entusiasmo le giovani generazioni.
Come preludio all’evento è in corso da qualche giorno uno sciopero della fame da parte di alcuni ragazzi e ragazze che nei giorni scorsi hanno svolto un sit-in di protesta ad al-Manara, la piazza centrale di Ramallah.
A tale proposito, vale la pena ricordare che l’appello del 15 marzo si rivolge con particolare enfasi ai giovani: è dalla loro voce che deve partire la spinta verso l’unità di tutto un popolo, unità considerata la prima e fondamentale arma per la lotta contro l’occupazione israeliana. Nena News