“Meglio tardi che mai” potrebbe dire qualcuno. Dopo mesi di mobilitazioni da parte di studenti, operai, donne, si è arrivati alla convocazione dello sciopero generale da parte della CGIL.
È indubbio che la spinta dal basso sia stata determinante nel costringere la direzione del più grande sindacato italiano ad un'indizione a dir poco doverosa. Per mesi lo sciopero generale è stata una delle richieste principali delle mobilitazioni che hanno attraversato questo paese ed allo stato attuale un risultato - seppur minimo - sembra raggiunto, proprio perché ottenuto nonostante le resistenze del quartier generale della CGIL. Ma a guardar bene questa ad oggi rischia di essere una delle classiche vittorie di Pirro.
Non solo per l'inadeguatezza delle modalità di convocazione, quattro ore che appaiono risibili di fronte alla resistenza impassibile dei nostri avversari e paragonate alla recente esperienza francese in cui non sono bastati diversi giorni di blocco totale del paese.
Ma anche e soprattutto perché questo sciopero sembra rifuggire qualsiasi ipotesi di generalizzazione. Facciamo attenzione, la questione dei tempi di convocazione non è un problema tecnico di agenda. Non c'è semplicemente una lontananza temporale da colmare, ma una lontananza politica.
Questo sciopero non prova minimamente a tessere una trama coerente con i conflitti in atto, anzi sembra ricercare volutamente una distanza dalla straordinaria rivolta del 14 dicembre così come dalla resistenza operaia di Mirafiori. Non coglie nemmeno l'ondata di indignazione – in alcune sue varianti molto discutibile – dell'antiberlusconismo giustizialista. Mette al centro se stesso, costringe tutti ad inseguirlo e a mettere tamponi alla sua debolezza. Per questo, pur risultando ancora necessario, ci sembra del tutto insufficiente. E ci interroga su come si possa produrre una sua generalizzazione tutt'altro che scontata, senza limitarci ad un dibattito quasi del tutto interno alla CGIL – che lasciamo volentieri ai diretti protagonisti – e senza cedere ad un facile ottimismo della volontà, con cui troppe volte ci siamo scottati. In molti ricordiamo infatti quando abbiamo costretto la stessa CGIL allo sciopero generale durante il movimento dell'Onda nel 2008, senza risultati significativi nonostante la spinta ancora forte del movimento studentesco.
Generalizzare lo sciopero è una priorità comune e oggi si danno potenzialità nuove, siamo i primi a crederlo. Ma occorre osare, osare davvero, sul terreno che la CGIL pare ignorare.
Con il nostro appello della scorsa settimana abbiamo provato a porre l'urgenza della rivolta, dinanzi alla miseria della politica italiana e alle straordinarie esperienze del Nord Africa. Una rivolta che non può che darsi nella pluralità dei soggetti che in questi mesi hanno posto una resistenza alle politiche della crisi, all'attacco dei profitti sul lavoro, all'erosione costante del pubblico a favore del privato. Una pluralità oggi non ascrivibile al perimetro stringente dello sciopero CGIL, fatta di precari, migranti, studenti, comitati in difesa dell'acqua e del territorio. Una pluralità che necessita di altro.
Nessuna evocazione astratta, nessuna mitopoiesi novecentesca delle rivolte nord-africane. Ma ci sembra chiara la necessità di una nuova narrazione collettiva, di un nuovo protagonismo sociale che ragioni fin da subito su come riaprire un proprio spazio pubblico, che possa determinarsi anche attraverso propri passaggi costituenti. La principale lezione del Nord Africa non è tanto quella, pur fondamentale, della possibilità di farcela, ma la stringente necessità di autorganizzazione da parte dei soggetti sociali, l'irruzione diretta come unico modo per tornare a vincere. Solo innescando un processo di questo tipo anche lo sciopero della CGIL sarà generalizzabile e assumerà caratteri nuovi rispetto alla stanca ritualità a cui ci hanno abituato quelli passati.
Un'assemblea nazionale delle opposizioni sociali in marzo sarà utile se larga, plurale, partecipata e nella misura in cui scioglierà questi nodi cruciali; se guarderà ai prossimi mesi con una prospettiva d'insieme e non soltanto in vista dello sciopero generale della CGIL; se saprà immaginarsi una traiettoria che possa essere patrimonio comune e non solo un insieme di date parziali da attraversare.
Continuiamo a pensare che nel calendario di questa primavera manchi una manifestazione nazionale delle opposizioni sociali che possa essere funzionale esattamente a quanto detto finora e ci sembra importante verificare nel prossimo periodo la possibilità di aprire un percorso comune in tal senso. Non abbiamo la pretesa – né la voglia – di stabilire fin da oggi quel che sarà possibile o meno. Anche perché, da veri realisti, non smetteremo mai di esigere l'impossibile.
Ateneinrivolta – Coordinamento Nazionale dei Collettivi