12 febbraio 2012

Il neoliberismo, stadio supremo?

di Michel Husson
L’affondare nella crisi è oggi manifesto. Il termine crisi è un po’ inflazionato e occorre qui distinguere tre tipi di crisi che ricorrono nel capitalismo: crisi periodiche, crisi di regolazione e crisi sistemica. La crisi attuale è evidentemente diversa da una crisi periodica: è evidentemente una crisi di regolazione, in altri termini una crisi della forma neoliberista del capitalismo. Ma questa crisi è abbastanza profonda da contenere gli elementi di una crisi sistemica.

Il tempo lungo del capitale

Parlare di crisi di regolazione è per facilità, ma non implica alcuna adesione alla teoria della regolazione, e comunque non alle sue implicazioni «armonicistiche».1 Sarebbe meglio parlare di crisi dell’«ordine produttivo» neoliberista, per riprendere il termine da Dockès e Rosier.2 Il concetto di base è che il capitalismo ridefinisce periodicamente un modo di funzionamento specifico, che deve rispondere a un certo numero di contraddizioni che si trova di fronte in permanenza ma che «gestisce» in modo diverso. L’idea essenziale è che il capitalismo ha una storia: i suoi meccanismi profondi sono immutabili ma il suo modo di funzionamento differisce da un periodo all’altro e anche da un paese all’altro.

La constatazione non è nuova e si deve a Kondratiev l’individuazione di periodi storici da lui designati con il temine improprio di «cicli lunghi», che suggerisce a torto un’automaticità simile a quella che sottende la dinamica dei cicli brevi. Trockij condivideva questa osservazione al di là delle critiche che rivolgeva a Kondratiev. In un articolo del 1923, egli scriveva: «Nella storia, i cicli omogenei si raggruppano in serie. Durante periodi interi di sviluppo capitalista, i cicli si caratterizzano per boom netti e delimitati e crisi brevi e di ampiezza limitata. Ne risulta un movimento bruscamente ascendente della curva di sviluppo capitalista. I periodi di stagnazione si caratterizzano per una curva che, pur conoscendo oscillazioni cicliche parziali, si mantiene allo stesso livello approssimativo per decenni».3

Lo studio di questi periodi storici ha dato luogo a una linea di ricerche,4 tra le quali si può citare la teoria delle onde lunghe di Mandel.5 Mandel distingue fasi espansive e fasi recessive che scandiscono la storia lunga del capitalismo. Ma non si tratta di cicli, a causa di un’asimmetria essenziale: il passaggio da una fase recessiva a una fase espansiva suppone un rimaneggiamento profondo del capitalismo che non è incorporato al suo funzionamento normale e dipende dunque da fattori «esogeni». Al contrario, l’esaurimento delle fonti dell’espansione risulta dalle contraddizioni interne o «endogene» del capitalismo, che finiscono per fare crollare gli arrangiamenti che hanno permesso di contenerne gli effetti per un certo tempo. Questa griglia di lettura, riassunta brevemente,porta a distinguere due periodi nel capitalismo del dopoguerra. Il primo va dalla fine dell’ultima guerra mondiale alla svolta degli anni 1980. Trenta gloriosi, fordismo, età dell’oro, il nome poco importa. Importante è capire che il capitalismo disponeva, in questo periodo, di una coerenza molto diversa dal periodo seguente, quello del capitalismo neoliberista. Non si tratta di idealizzare i «Trenta gloriosi» ma di capire le specificità del capitalismo in ciascuno di questi periodi.

Si può evidentemente discutere il termine di coerenza. Vuole semplicemente dire che per funzionare, il capitalismo deve rispondere a un certo numero di domande che gli sono poste in permanenza. Le risposte possono differire ma devono in ogni caso essere coerenti tra loro, fare sistema. L’insieme di questi dispositivi definisce un «modello»di capitalismo in quanto non possono essere cambiati da un giorno all’altro. Quando si rompono, si può parlare di crisi di regolazione.

Ogni fase del capitalismo può dunque essere definita a partire da queste quattro dimensioni: regime di accumulazione; paradigma tecnologico; regolazione sociale; divisione internazionale del lavoro. Le si possono riassumere a grandi linee. Il regime di accumulazione definisce il modo in cui si combinano la produzione e gli sbocchi. Dal lato della produzione, la crescita e quindi l’accumulazione saranno più o meno intense secondo che si basano o meno su forti aumenti di produttività. Dal lato degli sbocchi sono possibili due casi opposti: un consumo di massa tirato dalla progressione dei salari o una ripartizione ineguale dei redditi. La nozione di regime di accumulazione raggruppa anche le regole del gioco tra capitalisti, in particolare le modalità della concorrenza e i rapporti tra capitale bancario e capitale industriale e tra azionisti e gestori. Su tutti questi aspetti si potrebbero immaginare molteplici combinazioni, ma non sono tutte possibili: esse devono, ancora una volta, formare un insieme coerente.

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