06 novembre 2012

I soldi che ci sono

di Antonio Tricarico (Re:Common)
Con la crisi del debito che ha portato al governo Monti, la spending review dettata dall’austerità è partita, ma non solo. E’ ormai chiaro che il debito pubblico continua ad aumentare perché le ricette liberiste attuate non funzionano e quindi oggi, così come nel 1992 quando la finanza speculativa internazionale affossò l’Italia, il governo è pronto ad avviare una nuova ondata di privatizzazioni. Ben 360 miliardi di Euro sarebbero come minimo le proprietà pubbliche – di cui l’80% in mano agli enti locali – che potrebbero essere vendute a fette di 15-20 miliardi ogni anno per abbassare di almeno un punto percentuale annuo il debito pubblico. Di questo si è discusso al Senato lo scorso giovedì in un seminario a porte chiuse per tutte le forze politiche promosso dal governo con il supporto di Cassa Depositi e Prestiti, l’Agenza del Demanio e Bankitalia. “E’ l’Europa ed i mercati che ce lo chiedono”, è la vulgata dominante che oramai attraversa quasi l’intero arco parlamentare. Per fermare la seconda grande svendita dell’Italia non è sufficiente limitarsi a guardare le spese e rilanciare il welfare, ma serve molto di più. Bisogna mettere le mani nello “stato patrimoniale” del paese, ma con altri fini.
Contrariamente a quello che ci viene detto, il problema di questa crisi non è che i soldi non ci sono, ma ce ne sono invece troppi ed in mani private, ed agitano i mercati finanziari alla ricerca di investimenti lucrativi che mancano in tempo di crisi. Da cui la continua estrazione di ricchezza pubblica con gli interessi sul debito pubblico pagati agli investitori con la fiscalità generale. Risulta, quindi, inevitabile prendere di petto la questione del debito capendo come metterne in discussione il pagamento nei termini che ci vengono imposti dai mercati ed avviando un rinegoziato quanto meno sul pagamento degli interessi. Ed in parallelo affrontare la questione del riordino del sistema della tassazione, a partire dai patrimoni privati e le rendite finanziarie – oggi la ricchezza privata in Italia è quattro volte e mezzo il debito! - in una logica di “definanziarizzazione” dell’economia e della società per disarmare il potere di ricatto dei mercati finanziari.
Sempre con questa prospettiva è centrale rileggere gli strumenti di finanza pubblica che si possono attivare per gli investimenti di interesse pubblico. Tanti sono i soldi già nelle mani dello Stato, ma subordinati alle logiche del mercato. Il gigante Cassa depositi e prestiti, se “risocializzato” contro gli interessi delle banche nostrane, potrebbe tirarci fuori di fretta da questa crisi e rilanciare il finanziamento dei beni comuni. Nonché potrebbe essere il veicolo per iniziare a reincanalare ricchezza privata accumulata in meccanismi di gestione pubblica, togliendo linfa vitale ai mercati finanziari.
Solo così si possono rompere le compatibilità imposte ed aggirare la gabbia che ci piomba addosso dal Fiscal Treaty e le altre norme europee. Per questo un gruppo di soggetti della società civile italiana – ATTAC, Re:Common, Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Rivolta il Debito, Smonta il debito – hanno deciso di lanciare un appello “per una nuova finanza pubblica”, che diventa da oggi il tema di questa nuova rubrica del giornale.