Centinaia di egiziani sono finiti nelle prigioni della polizia politica ma anche dell'Esercito e di loro non si sa piu' nulla. Le Forze Armate promettono un referendum costituzionale ma intanto si schierano nuovamente contro le lotte dei lavoratori
Roma, 16 febbraio 2011, Nena News – Sono scomparsi a centinaia e nessuno sa più niente di loro. Centinaia di egiziani, arrestati durante le manifestazioni che hanno portato alle cacciata del presidente Hosni Mubarak, sono ancora introvabili e considerati ufficialmente «dispersi». Ma tutti sanno che i desaparecidos sono nelle mani dei servizi di sicurezza e detenuti in località segrete. L’Egitto post rivoluzionario potrà dirsi davvero più libero e trasparente solo se verranno totalmente cambiati i metodi del mukhabarat, il servizio segreto che per decenni ha arrestato, interrogato e torturato in nome della stabilità del regime di Hosni Mubarak. In questo caso però è chiamato in causa anche l’Esercito che pure gode tra gli egiziani di una ottima reputazione per l’atteggiamento avuto durante i 18 giorni della rivolta contro Mubarak. «Centinaia di persone sono detenute – ha denunciato Gamal Eid, direttore della Rete araba di informazione dei diritti umani – ma le notizie sul loro numero esatto non sono ancora complete. Sappiamo soltanto che l’Esercito aveva arrestato una parte dei cittadini ora dispersi». Eid perciò ha esortato i militari a stilare immediatamente una lista dei detenuti e a rispettare i loro diritti. Ieri il quotidiano indipendente al-Masry al-Youm aveva pubblicato un elenco di nomi di uomini e donne, in gran parte tra i 15 e i 48 anni, che sono svaniti nel nulla tra il 25 gennaio (primo giorno delle manifestazioni) e il 9 febbraio, due giorni prima delle dimissioni del raìs-faraone (le autorità egiziane non hanno finora fornito una cifra ufficiale degli arrestati durante gli scontri nei quali, secondo l’Onu e Human Rights Watch, sono state uccise oltre 300 persone).Nassir Amin, avvocato alla guida del Centro arabo per l’indipendenza e la giustizia, ha aggiunto da parte sua che alcuni manifestanti potrebbero trovarsi nelle mani dell’esercito, ma un numero molto maggiore sarebbe stato arrestato da poliziotti in borghese, ossia della famigerata baltagiyyeh (polizia politica). Alcuni cyber-militanti protagonisti della rivolta hanno detto di aver ricevuto da alti gradi delle Forze Armate l’assicurazione che «tutti i manifestanti svaniti nel nulla saranno ritrovati». Ma i dubbi restano e le preoccupazioni per la loro sorte sono forti.
Entro dieci giorni l’Egitto avrà una nuova costituzione, promettono ancora i militari del Consiglio Supremo delle Forze Armate, che hanno affidato la direzione della commissione competente ad un giudice in pensione, Tareq Beshry. A sorpresa, però, hanno anche inserito nel gruppo un Fratello Musulmano, l’avvocato ed ex deputato Sobhi Salah. Che la confraternita, tuttora considerata fuorilegge ma da sempre tollerata, stia ricevendo un’ulteriore legittimazione costituzionale è segnalato anche da un’intervista ad un noto portavoce, Essam El Arian, fatta da una rete televisiva imprecisata, ma ripresa dalla tv di stato, in una prima volta assoluta per l’Egitto.
Altra novità di rilievo è la una nuova sfida all’ Esercito della «Coalizione dei giovani» anti-Mubarak, che aveva promosso la protesta del 25 gennaio. La Coalizione ha annunciato che se il Consiglio Supremo delle Forze Armate, che da venerdì scorso ha il controllo del paese, non comunicherà al più presto un calendario delle tappe del suo lavoro, non sarà cambiato il governo, come è stato promesso, e non sarà abolita la legge d’emergenza in vigore dal 1981, venerdì prossimo, giornata della «Marcia della Vittoria», potrebbe ricominciare un sit-in in piazza Tahrir. I vertici militari da parte loro hanno ribadito la loro contrarietà agli scioperi dei lavoratori che lottano e manifestano per migliorare la loro condizione e non soltanto per arrivare ad un Egitto più democratico. Secondo l’Esercito «il popolo deve capire che scioperi e sit-in e l’alt nel lavoro e nella produzione e i danni alle industrie non risolveranno i loro problemi…Il risultato di questo prolungato stato di instabilità sociale sarà catastrofico». I giovani, aggiungono i comandanti militari, devono «salvaguardare le infrastrutture sociali ed economiche, perchè la democrazia significa dialogo e non contrapposizione». In sostanza i militari dicono agli egiziani: la vostra ribellione è finita con la cacciata di Mubarak, ora tutti zitti e al lavoro e non turbate il sistema economico e sociale egiziano che vede il 40% della popolazione vivere in povertà, con 2 dollari al giorno.