Premessa: nessuna persona che abbia un minimo di onestà intellettuale può aver creduto che l'intervento della Nato in Libia fosse dovuto all'umanitaria protezione delle popolazioni della Cirenaica, insorte contro Muhammar Gheddafi. E' comprensibile che i ribelli di Bengasi, in tutto simili alla generazione protagonista della primavera araba che ha abbattuto Ben Alì e Mubarak e sconvolto l'intero Nordafrica e Medioriente, invocassero l'intervento armato dei paesi europei. E a loro e a tutti coloro che si ribellano alle dittature deve andare il nostro pieno sostegno e, per quel che mi riguarda, anche al di là di quello strettamente umanitario (specialmente se provenienti da forze politiche e sociali solidali, più che dai governi).
Che l'Italia, la Francia e la Gran Bretagna - in tempi e modi diversi, dovuti alle diverse dinamiche politiche interne e agli interessi economici concorrenti nell'area - abbiano voluto approfittare della sollevazione popolare (e soprattutto della reazione criminale del raìs) per ragioni molto lontane da quelle ipocritamente dichiarate dalla risoluzione 1973 delle Nazioni Unite, non è difficile da immaginare. Temendo innanzi tutto, Stati Uniti compresi, che l'incendio del Maghreb e del Mashreq, che ha fatto saltare i regimi reazionari arabi asserviti all'Occidente, se non prontamente addomesticato e fermato, avrebbe potuto assumere una dinamica sociale 'pericolosa', grazie alla crisi economica in corso. Che cosa c'è di meglio di un intervento militare diretto a partire dall'anello debole della rivolta?
Tralasciando la farsa dei trionfali ricevimenti di Gheddafi a Roma, 'traditi' dai bombardamenti italiani e dell'Alleanza di appena qualche tempo dopo (mai fronte di guerra si è così rapidamente rovesciato con gli stessi protagonisti in sella.), merita attenzione il richiamo di Gianni Cipriani sull'armamento diretto del Cnt, il Consiglio nazionale transitorio di Bengasi, fuori dalle disposizioni Onu e persino prima dell'analogo sostegno francese (oggi ammesso). Si tratta di un fatto assai rilevante, ma che in Italia non susciti alcun dibattito politico non stupisce, perché non c'è alcuna forza politica in Parlamento - nessuna - che si oppone realmente alla guerra e le quotidiane sollecitazioni interventiste del Quirinale costituiscono l'humus più fertile per coltivare politiche bipartisan.
Naturalmente, e più esplicitamente, non si parla più di 'protezione dei civili', ma di ruolo di potenza a cui l'Italia non può rinunciare: in questo il Centrosinistra si è persino più esposto della destra di governo, alle prese con la difficile quadratura dei conti pubblici.
Quindi la Marina militare già ai primi di marzo invia armi leggere e munizioni al Cnt, prelevate dai depositi dell'Aise, il servizio segreto militare, in Sardegna, cercando in tal modo di mantenere una presunta egemonia italiana nell'area, contando sulle relazioni con esponenti della rete diplomatica e del governo libico passati armi e bagagli dalla parte degli insorti. Parliamo di appoggio su uomini fedeli a Gheddafi fino al giorno prima, quindi, e non certo sul lavoro dell'intelligence italiana che - contrariamente a quanto afferma l'ineffabile ministro Frattini - non sembra affatto disporre di conoscenze 'migliori degli altri'. O perlomeno non più.
Da quando gli amici del Bisignani di turno - ma forse il capo supremo di tutti i servizi, Gianni De Gennaro 'ne sa qualcosa' - hanno letteralmente smantellato quel che restava della squadra di Nicola Calipari nel mondo arabo. Forse anche il vicepresidente dell'Eni Umberto Saccone, già capocentro del Sismi in Arabia Saudita, 'ne sa qualcosa'. E l'Eni qualche problema di concorrenza con altre multinazionali del petrolio ce l'ha; ma qui si aprirebbe un altro capitolo, che ci porterebbe lontano.
E' un fatto che Tavolara, la Maddalena, Capo Marrargiu (qualcuno se lo ricorda forse come base del Sifar passato alla notorietà come struttura 'Stay behind' della Nato, ossia Gladio, tuttora operativo come distaccamento C del Rud) sono le basi da cui clandestinamente si è provveduto ad approvigionare di armi gli insorti di Bengasi. C'è da sospettare che ai ribelli non siano neppure arrivate, ma che siano rimaste in mani più 'amiche'.
Insomma, c'è materia da cui dedurre l'esistenza di un crocevia di affari, guerra e condizionamenti politici del tutto indisturbati - senza bisogno di scomodare grembiulini massonici, perché i riti cambiano ma non le sostanze - anche perché c'è chi ha saputo manovrare a destra e a manca con un certo savoir faire. Sta a vedere che 'ne sa qualcosa' il responsabile politico dei servizi di sicurezza, nonché sottosegretario alla presidenza del consiglio, nonché candidato quasi ufficiale di Silvio Berlusconi al Quirinale. Come ai tempi di Andreotti e dei rapporti tra Stato e Mafia: difficile farne il nome, ma sicuramente tra quelli più conosciuti che si conoscano.
09 luglio 2011
Libia: chi c'è al crocevia tra affari, guerra e politica?
di Gigi Malabarba
(da Globalist.it)