Sinistra Critica
26 aprile 2012
25 Aprile 2012: contro il fascismo di ieri e di oggi, contro le politiche del governo Monti-Napolitano
Sinistra Critica
25 aprile 2012
25 aprile, né onore, né pacificazione
Le forze dell’ordine presenti si sono accanite contro due degli esponenti più in vista del Pink, tentando di allontanarli dalla piazza a strattoni. Solo l’intervento prima di un’anziana antifascista, poi di una giornalista di Radio Popolare ha evitato più gravi conseguenze.
Il Circolo Pink denuncia lo spirito revisionista degli organizzatori della celebrazione del 25 aprile, involucro vuoto riempito di contenuti inaccettabili e offensivi nei confronti di chi ha sacrificato la propria vita alla liberazione dal nazifascismo, parola scomparsa da tutti gli interventi istituzionali. Tutti hanno parlato di liberazione – la prefetta, il vicesindaco Giacino e altri – ma nessuno ha nominato liberazione da cosa.
L’unico, e lo ringraziamo, è stato Raul Adami che ha negato la possibilità di qualsiasi riconciliazione e parificazione tra vittime e carnefici, i nazifascisti.
Il Circolo Pink
Verona, 25 aprile 2012
24 aprile 2012
Allarghiamo l'opposizione al Governo Monti
La vera riforma delle pensioni, quella che ha garantito per la prima volta l'aggancio di questa al salario è del 1969, lo Statuto dei lavoratori è del 1970. Il governo Monti sta riportando la legislazione sociale a prima di quelle date non tanto per tornare indietro nella Storia ma per destrutturare quel che resta della dimensione di classe acquisita in decenni di lotte e rendere un buon servizio al capitalismo italiano ed europeo. Il viaggio in Asia è in fondo il viaggio di un moderno ed elegante commesso viaggiatore incaricato di piazzare il capitale e il mercato italiano là dove la crisi sembra aver avuto un minor impatto. Si tratta dell'unica strada individuata per dare una risposta alla crisi, rassicurare il riavvio del processo di valorizzazione del capitale, obbedire alla logica perversa (e fallimentare) del liberismo cogliendo l'opportunità per assestare un colpo mortale al mondo del lavoro (peraltro senza risolvere nessuna delle cause fondamentali della crisi stessa).
E con queste priorità che crediamo vada affrontata una discussione, che sembra essere ricominciata a sinistra, sulla necessità di un "soggetto politico nuovo". La ricostruzione di una soggettività di classe e di sinistra ha bisogno del "lavoro vivo" nel pieno del conflitto e dei movimenti, di sperimentazioni reali attorno alle quali costruire dibattito e avanzamenti progressivi: fuori da ambizioni elettoralistiche e istituzionali, dentro una dinamica di movimento, all'opposizione del governo Monti e della governance capitalistica, di centrodestra o di centrosinistra. E' questa la bussola che proponiamo alla discussione, pronti a frequentare tutte le sedi che pongano problemi corretti ma senza fughe in avanti o forzature elettorali. Dopo gli errori e le sconfitte che hanno fatto a pezzi la sinistra italiana il percorso della sua ricostruzione richiede una "lenta impazienza".
Negli Usa torna lo sciopero generale

Dopo 66 anni, lanciato per il prossimo primo maggio da Occupy Wall Street, torna lo sciopero generale negli Stati Uniti, dove è vietato per legge. Stanno tuttavia circolando molti manuali, rivolti ai lavoratori stabili e precari, che illustrano i tanti modi per partecipareCome andrà nessuno può dirlo. Nessuno è in grado di dirlo. Lo sciopero generale del 1° maggio indetto dal movimento Occupy americano è una novità assoluta per le forme che assumerà e per il modo in cui è stato costruito. Dopo 66 anni, dallo sciopero di Oakland del 1946, si parla di nuovo di sciopero generale. C'è voluto un movimento che ha terremotato lo scenario politico e sindacale statunitense, che da settembre ad oggi ha retto vari tentativi per isolarlo, reprimerlo, addomesticarlo. E i tentativi sono stati davvero molti e molto insidiosi. Dalla repressione su vasta scala operata in modo coordinato dai Dipartimenti di polizia di varie città - sostenuta nei fatti anche dall'Amministrazione Obama - con migliaia di arresti, sgomberi, minacce, sospensione di elementari libertà democratiche alla politica ammiccante di alcuni settori del Partito Democratico per cooptare il movimento all'interno dei luoghi istituzionali.
Sono stati mesi difficili, soprattutto gli ultimi, in cui la pressione politica, gli attacchi repressivi - mai venuti meno - e il circuito mediatico mainstream hanno cercato in tutti i modi di azzerare le legittime aspirazioni di un movimento che vuole cambiare radicalmente la società americana. E' il caso anche dell'azione concertata tra Partito Democratico e sindacati, molto attivi nello sminuire e ingabbiare qualsiasi lotta in vista della campagna per la rielezione di Obama. Il quale non sta facendo altro che rispolverare le promesse, non mantenute, fatte alle scorse elezioni. Lo sciopero del 1° maggio rappresenta quindi un test molto importante per la vitalità e la capacità di incidere del movimento. Allo stato attuale sono previsti blocchi, picchetti, manifestazioni in 120 città degli Stati Uniti. L'attenzione è però concentrata sulle mobilitazioni della West Coast del nord (San Francisco, Oakland, Seattle), di New York e di Chicago. L'appello di Occupy Oakland di dare vita a una giornata intera di mobilitazione, con vari appuntamenti, che inizia alle 6 del mattino con il blocco del Golden Gate, il lungo ponte che collega San Francisco al resto della Bay Area, sta funzionando un pò come modello di riferimento. A New York sono previste tre manifestazioni, di cui solo una autorizzata, e un'intera giornata di picchetti davanti a banche e società finanziarie. Il 1° maggio di Chicago sarà invece l'inizio di tre settimane di mobilitazioni che arriveranno a contestare anche il vertice della Nato che si svolgerà in quella città il 20-21 maggio. Il vertice del G8, inizialmente previsto in contemporanea nello stesso luogo, è stato spostato a Camp David - completamente militarizzato - per timore delle proteste. Di fronte all'oscuramento della giornata di sciopero fatta dei grandi media e dalla quasi totalità delle organizzazioni sindacali, in molte città il movimento si è organizzato per una campagna di volantinaggi davanti alle scuole e ai luoghi di lavoro oltre che per un uso massiccio della rete con l'apertura di centinaia, se non migliaia, di siti web, mailing list, pagine facebook e di hashtag di twitter. A New York ad esempio la SEIU - il potente sindacato dei lavoratori pubblici - pur avendo annunciato nelle riunioni di Occupy Wall Street la propria partecipazione alla manifestazione autorizzata del pomeriggio non la pubblicizza in alcun modo sui luoghi di lavoro. Ancora peggio la situazione sulla West Coast dove i sindacati stanno decisamente boicottando lo sciopero. Un risultato comunque si è già ottenuto. Nei campus universitari, tra le associazioni antirazziste e di migranti, nei gruppi informali di lavoratori precari sono state organizzate una miriade di iniziative e dibattiti per sostenere lo sciopero. Per aggiornare e riappropriarsi, all'epoca di una delle più grandi crisi capitalistiche, di questa forma di lotta dal basso e in modo autorganizzato. E' questo anche un modo per ricostruire una memoria senza miti né nostalgie, con la consapevolezza che il passato non tornerà più e si tratta di inceppare i meccanismi di domino e sfruttamento del capitalismo contemporaneo. Il movimento Occupy ha puntato i riflettori sul dispotismo di un sistema politico-economico che ha varato da molti anni a questa parte leggi, statali e federali, che vietano gli scioperi generali e prevedono multe salatissime fino ad arrivare al licenziamento dei lavoratori che lo fanno. Stanno tuttavia circolando molti manuali, rivolti ai lavoratori stabili e precari, che illustrano i tanti modi per partecipare allo sciopero senza incorrere nel rischio del licenziamento. Nessuno ha indetto formalmente lo sciopero, però c'è. Nessuno ha chiesto l'autorizzazione ai picchetti e ai blocchi, peraltro vietati dalle leggi, però ci sono. E infine, come si dice a Oakland, nessuno ha il monopolio della lotta di classe.
A pochi giorni dallo sciopero generale la frase che si sente pronunciare sempre più spesso a Union Square, la piazza diventata il quartier generale di Occupy Wall Street, che meglio riassume lo stato d'animo generale del movimento è : "Whose time ? Our time". Di chi è il tempo ? Il tempo è nostro.
Bellavita (Fiom): “La Fornero all'Alenia per un'ora? In fabbrica bisogna provare a lavorarci per 45 anni, cara Ministra”

Non sono avvezzo alle false cerimonie. Il vero coraggio è quello dei lavoratori e delle lavoratrici, dei precari, dei disoccupati, dei pensionati, di tutti coloro che si ostinano a combattere per arrivare alla fine del mese, non certo quello di una docente universitaria sicuramente benestante, sabauda nei modi, sprezzante del dissenso e che, senza nessun mandato democratico, ha determinato scelte di una violenza inaudita sulla vite delle persone che il sindacato dovrebbe rappresentare. Sì, violenza, perché costringere chi guadagna, quando li guadagna, poco più di mille euro al mese, a lavorare sino e oltre i 67 anni per una pensione da fame è un atto violento che come un machete si abbatte sull'esistenza di una persona, sulla sua famiglia.
Non paga, la Ministra pretende di cancellare l'art. 18 per dare alle imprese libertà assoluta di licenziamento, per distribuire brioche ai cosiddetti esodati (termine orrendo), per tagliare gli ammortizzatori sociali esistenti e mantenere intatta tutta la precarietà. La Ministra Fornero non ha bisogno di sentire la voce dei lavoratori per conoscere le conseguenze delle sue scelte politiche; sa benissimo che ai lavoratori sta chiedendo un prezzo altissimo, mentre nulla è richiesto ai redditi più alti.
Non abbiamo mai invitato Sacconi o Maroni a un'assemblea in fabbrica, eppure questi ex Ministri del lavoro non hanno mai fatto scelte brutali come quelle compiute adesso dalla Fornero. La ragione del non invito era legata al fatto di considerarli quantomeno avversari. Pertanto, le assemblee le facevamo noi per invitare i lavoratori a lottare contro la loro politica. Per la stessa ragione, abbiamo sempre detto no alle assemblee convocate dal padrone per parlare direttamente con i lavoratori. Forse, a prescindere dal merito, con la venuta della Fornero qualcosa è cambiato, se non nei contenuti, negli schieramenti.
20 aprile 2012

(Umberto Bossi, a proposito di Renzo Bossi, 2009)
Non serve certo un teologo per accorgersi di quanta confusione ci sia sotto il cielo
(on. Federico Bricolo, 2003)


11 aprile 2012
Lega, la crisi è più profonda
di Felice Mometti
www.ilmegafonoquotidiano.it
La crisi era già scoppiata al raduno di Pontida dello scorso anno con la contrapposizione, allora solo simbolica, tra Maroni e Bossi. E’ continuata negli ultimi mesi con la guerra intestina nei congressi provinciali, nell’azzeramento di segreterie e gruppi dirigenti locali, nella lotta per i posti nelle municipalizzate e nelle banche ed infine nello scontro sulle candidature alle prossime elezioni amministrative. Un modello di partito, il più vecchio che siede in parlamento, troppo autoritario e centralizzato che in ultima analisi non ha retto lo “ stato di eccezione permanente” imposto dal governo Monti. Infatti risulta difficile capire la brusca accelerazione della crisi se si guardano solo le ruberie, i fondi neri, l’accaparramento di denaro pubblico e il conseguente corollario di squallidi personaggi. E non si tratta nemmeno, almeno non più, dello scontro tra i conservatori del “cerchio magico”, che gestiscono a piacimento un presunto inconsapevole e malato Bossi, e la schiera dei “barbari sognanti” posizionati dietro il cosiddetto modernizzatore Maroni.
La Lega, così com’è, non ha retto l’urto del governo Monti. Paradossalmente, ma poi non tanto, il partito che sembrava il piu’ attrezzato ad opporsi, agitando spettri razzisti e populisti, alle politiche governative e’ diventato vittima delle proprie contraddizioni interne. Una serie di contraddizioni laceranti che sembrano andare più in profondità rispetto anche alle due crisi precedenti che avevano investito la Lega nel 2001 e nel 2006. Il venir meno di un ampio strato di attivisti, cosa molto diversa dai militanti vestiti di verde con tanto di elmo vichingo ed anche di un generico elettorato, che garantivano partecipazione, impegno ed erano il termometro sociale della Lega. Il formarsi di un ceto di amministratori, parlamentari, ministri e sottosegretari completamente inserito nei meccanismi istituzionali, l’inclusione – seppur con problemi e difficoltà - nei circuiti industriali e finanziari di esponenti leghisti, si sono sommati e hanno fatto emergere in modo virulento una crisi che covava da un po’ di tempo. Si può dire che sia fallita la coabitazione tra i fautori del leghismo territoriale, teso alla mobilitazione permanente, e i sostenitori della “ lunga marcia” attraverso le istituzioni con lo scopo di stravolgerle mediante il federalismo. Il federalismo non si e’ ottenuto, la capacità di mobilitazione della Lega e’ diminuita e lo stesso progetto di sindacato dei lavoratori del Nord non e’ mai decollato.
E’ quasi ovvio che in tale situazione si acuiscano i contrasti interni, soprattutto avendo di fronte un governo che impone molta flessibilita’politica e adattamento istituzionale ( vedi PD e PdL ), tanto da mandare in fibrillazione un partito troppo accentrato e verticale come la Lega. Nel senso che chi non si piega corre il rischio di spezzarsi se tutto sommato rimane dentro l’attuale quadro politico e istituzionale. Ora nella Lega si apre una partita dagli esiti incerti. Il progetto politico di Maroni, l’unico che ne abbia uno, sembra quasi un ossimoro: istituzionalizzare la Lega mantenendo un profilo anti-istituzionale. I fedelissimi di Bossi pensano che passata la tempesta si possa rimettere l’icona al proprio posto e partire con una rabbiosa controffensiva. Entrambi devono però tener conto che la Lega, dopo gli anni di governo con Berlusconi, è profondamente cambiata sia nelle forme del proprio radicamento, più istituzionale che sociale e territoriale, e di aggregazione degli iscritti ed anche dei semplici sostenitori. Uscire dall’angolo, rilanciando il razzismo e la secessione, come è stato fatto nelle due crisi precedenti, non sembra credibile. Allora l’operazione riuscì mantenendo inalterata la struttura del partito, oggi la crisi si concentra in larga misura anche sull’inadeguatezza di un modello di partito pensato per la mobilitazione e che invece si trova sempre più a mediare nelle istituzioni, nei consigli di amministrazione delle municipalizzate, delle banche e delle grandi aziende. Non è escluso, ed è la cosa che temono di più sia Bossi che Maroni, che si inneschi una sorta di scissione silenziosa da parte di molti attivisti e militanti della Lega, una sorta di ritorno a casa manifestando la propria adesione solo sulla scheda elettorale. L’attuale crisi della Lega è un’occasione che la sinistra radicale non deve farsi sfuggire per costruire un’opposizione politica e sociale al governo Monti e all’attuale sistema di dominio e sfruttamento a patto che si ripensi profondamente, abbandoni i politicismi, e punti decisamente all’autorganizzazione e al protagonismo dei soggetti sociali che maggiormente stanno pagando i costi della crisi.
06 aprile 2012
MIRA FUORI DEL COMUNE

Questo Movimento partecipa alle prossime elezioni amministrative del 6 maggio per sfidare sul suo terreno una “politica” sempre più chiusa nel suo fortino, sempre più autoreferenziale e autoritaria, sempre più sorda ai bisogni e alle istanze delle comunità e dei cittadini.
La lista si chiama MIRA FUORI DEL COMUNE a significare non solo la diversità delle idee e degli intenti, ma anche la diversità del metodo partecipativo e dal basso con il quale si vuole ricostruire un’altra politica.
Come già accaduto a Dolo e a Vigonovo, CAT ha deciso di stare dentro questo percorso non solo per una questione strategica rispetto alla difficile battaglia contro le “Grandi opere” ( a Mira sono previste Camionabile, Romea Commerciale e Polo Logistico di Dogaletto) che se realizzate devasteranno irreparabilmente tutto il territorio Rivierasco, ma anche perchè è solo insieme agli altri movimenti impegnati come i comitati su questi temi che si può provare a costruire delle alternative a questa politica e a questo modello di sviluppo.
CAT crede talmente tanto in questo percorso che ha acconsentito che la figura del candidato Sindaco della lista Mira Fuori del Comune, sia uno dei suoi esponenti più in vista e cioè Mattia Donadel. Una scelta difficile, ma frutto di un percorso partecipativo condiviso con il Movimento Mira 2030.
La presentazione della lista e del candidato Sindaco è avvenuta ieri in una conferenza stampa al mercato di Mira, e da questo momento Mattia Donadel ha rassegnato pubblicamente le dimissioni da Coordinatore e Portavoce di CAT, funzioni svolte da oltre 4 anni. Oltre ad Adone Doni, altro portavoce, CAT individuerà un’altra nuova figura di riferimento per tutta questa fase elettorale, ed eventualmente anche per il futuro.
Ora la priorità per CAT, per tutti i suoi attivisti e per tutti i suoi simpatizzanti è fare di tutto affinchè la sfida lanciata a Mira si concluda con un grande successo!
Un bel risultato a Mira ci consentirà di affrontare ancora più forti di prima le difficili battaglie sul territorio.
L’invito a tutti è quindi quello di mobilitarsi e di rendersi disponibili a dare una mano.
05 aprile 2012
Il risultato delle manfrine parlamentari:l’articolo 18 viene modificato, lavoratori e lavoratrici con meno diritti di prima!
Dopo frenetiche consultazioni notturne e con le grida di vittoria del Pd,il nuovo disegno di legge definito di “riforma del mercato del lavoro”,presentato dalla ministra Fornero con la benedizione di Monti appare subito per quel che è: conferma della manomissione dell’articolo 18,demolizione del sistema degli ammortizzatori sociali,con pochissime risorse messe a disposizione per la “grande riforma”,peggioramento della cosiddetta “flessibilità in entrata”,cioè del “contratto di apprendistato” con il mantenimento di tutte le tipologie contrattuali atipiche presistenti ,strumenti di gestione della dilagante precarietà.
La parzialissima modifica del testo originario del governo sull’art.18,non ne cambia la sostanza:in presenza della “manifesta insussistenza” del licenziamento economico ,il giudice “può” decidere il reintegro sul posto di lavoro. Altrimenti scatta l’indennizzo che ,a differenza della prima ipotesi, scende in una forchetta tra 12 e 24 mensilità.
Non si tratta quindi del decantato “modello tedesco” e rimane la gravissima lesione dei diritti dei lavoratori,raggiungendo l’obiettivo di questa ardita “riforma”:rendere tutti più ricattabili e sfondare “simbolicamente” il muro delle residue garanzie collettive esistenti per il movimento dei lavoratori sul terreno dei licenziamenti.
La Cgil ,dopo un lungo silenzio,da il via libera alle modifiche del governo,convocando “iniziative” con Cisl e Uil e cancellando di fatto il pacchetto di ore di sciopero già proclamate.
Ogni indugio va rotto da quanti non vogliono farsi prendere per il naso e non rinunciano alla battaglia per difendere diritti e forza collettiva del movimento dei lavoratori. Bisogna seguire l’esempio dei lavoratori della Piaggio di Pontedera e di altre aziende pisane e livornesi che hanno scioperato oggi contro la “riforma del mercato del lavoro”.La Fiom,i sindacati base e conflittuali,le strutture di lavoratori autoconvocati,i movimenti sociali contro il debito e l’austerità che si sono ritrovati il 31 marzo a manifestare a Milano devono mobilitarsi subito contro questo inganno vergognoso,riprendendo l’iniziativa nelle proprie mani.
Occorre intraprendere la strada della preparazione dello sciopero generale. Occorre combinare la costruzione di un momento di lotta davvero generale capace di fermare il Paese e far pesare la forza dell’insieme del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici con il percorso delle mobilitazioni animate dai movimenti sociali europei contro il debito e le politiche di austerità. Per un vero Primo maggio di lotta in tutte le città europee e per una presenza massiccia a Francoforte dal 18 al 20 maggio, in occasione dell’iniziativa di blocco della cittadella finanziaria del capitalismo europeo.
I lavoratori e le lavoratrici di Sinistra Critica
03 aprile 2012
Ora allarghiamo il movimento contro il debito

Non era scontato che la questione del non pagamento del debito diventasse terreno di iniziativa di massa. Adesso serve allargare, senza forzature organizzative, il blocco sociale e la mobilitazione contro la crisi, il debito e le politiche di austerità.
Una bella giornata contro il potere delle banche e le politiche del governo Monti-Napolitano.
Il sole e il caldo insolito della Milano primaverile hanno visto sfilare un corteo bello, con una partecipazione superiore alle aspettative (15/20 mila persone) e ricco di presenze differenti e plurali.
La giornata già alla mattina ha visto diverse azioni davanti a istituti di credito, tra i quali l’iniziativa di Atenei in Rivolta e Rivolta il debito davanti alla filiale di “Che Banca!” (Mediobanca) di Largo Augusto. Lo striscione “Che futuro! Precario e impossibile grazie a banche e governo” irrideva al sito di “idee per l’innovazione” (chiamato appunto “Che futuro!”) organizzato da “Che banca!” – in quanto tale corresponsabile delle politiche di austerità e di speculazione sul debito dei paesi europei (ricordiamo che Mediobanca ha ottenuto un prestito di 3,5 miliardi di Euro al tasso del 1% dalla Bce…).
Il corteo del pomeriggio ha visto manifestare le forze oggi decisamente e coerentemente all’opposizione del governo Monti-Napolitano – dai sindacati di base (Usb, Cub, Si.Cobas) alle organizzazioni politiche (Prc, Pcl, Sinistra Critica, Rete dei comunisti…), alle diverse espressioni dei movimenti sociali e delle esperienze di lotta di lavoratrici e lavoratori: NoTav, lavoratori di Wagon Lits, cooperative dell’Esselunga, Alcoa, Sanprecario, NoTem, centri sociali, comitati No Debito, comitati di lotta per la casa, disobbedienti, Atenei in Rivolta, Rivolta il debito, collettivi Lgbt e così via.
Una manifestazione che ha offerto uno spazio prezioso a queste espressioni di movimento e a tutte/i quelle/i che volevano mostrare apertamente l’opposizione ai provvedimenti del governo Monti (in particolare per la difesa dell’articolo 18 e contro la riforma del mercato del lavoro) e la consapevolezza del non pagamento del debito come strumento di lotta e di riappropriazione di risorse per costruire politiche alternative – per garantire un reddito sociale e un welfare degno di questo nome, per la riduzione dell’orario di lavoro e la redistribuzione dei lavori, per politiche sociali e di riconversione ambientale, contro grandi opere inutili e dannose, contro le spese militari.
Non era scontato alla fine della scorsa estate che la questione del non pagamento del debito diventasse terreno di iniziativa di massa, o comunque uscisse dal chiuso dei dibattiti intellettuali e tra economisti.
Una mobilitazione di lavoratrici e lavoratori – precari e non -, studenti (molte le/i giovani nel corteo, anche questo fatto non scontato), pensionate/i e tanti che in pensione non riescono ad andarci (ma nemmeno a trovare un lavoro dignitoso), migranti, che hanno mostrato le facce di quei soggetti in carne ed ossa vittime dei provvedimenti di Monti-Napolitano-Bersani-Alfano-Casini.
La ricchezza e la pluralità del corteo chiedono oggi di continuare sulla strada del consolidamento di un blocco sociale e politico di opposizione al governo e alle sue politiche, con una dimensione sempre più continentale.
Da una parte questo significa rilanciare le reti e le esperienze locali e nazionali (ed europee) che affrontano direttamente e concretamente la battaglia per la cancellazione del debito, in particolare attraverso la costruzione di audit di cittadine/i sul debito – strumento per allargare ancor più la consapevolezza di questo vero e proprio ricatto europeo e per agire seriamente sul terreno della partecipazione (quello che viene posto in tutte le espressioni degli “Occupy” con la loro contestazione dell’autoritarismo che permette all’1% di decidere anche per il 99% restante, e ancor più con chiarezza dalle/dagli indignad@s e dalle/dai giovani arabi che hanno ripreso voce e piazze).
In secondo luogo questo corteo chiede una continuità di iniziativa che già nelle prossime settimane deve essere praticato, per arrivare tutti insieme – anche se partendo da diverse valutazioni e da relazioni internazionali differenti – alle giornate di Francoforte del 18/20 maggio con il blocco della Bce e della cittadella delle banche tedesca. Un appello comune che mostri la volontà di azione congiunta sarebbe certamente un segnale importante di una continuità con la manifestazione di Milano (come recitava lo striscione di RiD e AiR “da Milano a Francoforte, assaltiamo il debito”).
Ma prima di quelle giornate ci sarà l’11 aprile con la chiamata della Val Susa in occasione della data di notifica ufficiale dell’occupazione dei terreni privati in Val Clarea, ove permane l’occupazione militare dell’inesistente cantiere per il TAV (interessante la campagna collegata di http://www.sbankiamoli.it/ che propone ai risparmiatori di ritirare in quella giornata i soldi dai loro conti dalla “banche irresponsabili”).
E ancora il 15 aprile internazionale contro le banche proposto da OWS, il 1° maggio di lotta e altre giornate analoghe.
In definitiva questa manifestazione non chiede una forzatura organizzativa che chiuda uno spazio offerto ad un soggetto davvero plurale e ad un movimento ancora in embrione, ma che ha forti ragioni e potenzialità per ripartire da quel 15 ottobre abortito sul nascere. Al contrario chiede di prendersi cura di questo stesso movimento, di rafforzarlo e allargarlo, di rendere più forte e diffuso il blocco sociale e la mobilitazione contro la crisi, contro il debito, contro le politiche di austerità e di attacco ai diritti e alle condizioni di vita di lavoratrici e lavoratori (precari o non ancora tali), giovani, studenti, pensionate/i.
Partire dalle immagini e dalla partecipazione di oggi sotto il sole milanese è una buona spinta per evitare di percorrere strade già più volte fallite e provare a guardare avanti e alle possibilità di diventare un movimento di cui si dovrà tenere conto.
(da ilmegafonoquotidiano.it)